In dialogo
San Giovanni Battista e l’invito alla conversione

L’ultimo profeta disubbidiente

Antonio Maria Vassallo, «La predica del Battista» (1640)
23 giugno 2021

Essendo Giovanni l’unico figlio di un sacerdote officiante nel tempio di Gerusalemme, sulle sue spalle e su quelle della sua discendenza aronnica gravava il mandato di continuare quella sacra funzione rituale. Quella linea di successione sacerdotale obbligava il Battista non solo a una vita religiosa attiva, ma anche al consolidamento matrimoniale e alla procreazione di un futuro discendente consacrato. L’angoscia, narrata nei Vangeli, vissuta da sua madre Elisabetta e da suo padre Zaccaria (cfr. Luca, 1, 5-6; 25) dinanzi all’impossibilità fisica di avere una discendenza sacerdotale non è però presente nei pensieri di Giovanni. Anzi, è da lui stesso abbandonata in modo consapevole e vocazionale quando si ritira da solo nel deserto della Giudea per condurre una vita simile a quella degli esseni qumramici, ma probabilmente un po’ più eremitica (cfr. Luca, 1, 80). Questo cambiamento genealogico religioso fa vedere che, nel cuore di Giovanni, c’era una ferma percezione che la vita consacrata doveva soddisfare, da quel momento in poi, un’altra dinamica temporale del popolo della promessa. Per Giovanni, la voce e la presenza di Dio si sarebbero presentate, a partire da allora, conformemente a una rinnovata inculturazione e contestualizzazione del kairos divino. Il suo apparente abbandono del mandato sacerdotale paterno era tuttavia compreso in maniera profetica dallo stesso suo padre Zaccaria. Lui stesso aveva annunciato nel suo Benedictus: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati, grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio» (Luca, 1, 76-78). Quanto abbiamo bisogno oggi, noi religiosi e laici del popolo di Cristo, di saper comprendere i limiti dei mandati culturali rivestiti di religiosità ancestrale per poter capire i tempi in cui ci è dato vivere! Forse sono tempi per aprire vie per nuove comprensioni che inculturino e incarnino il Vangelo in un mondo che chiede movimenti nuovi, profetici e audaci.

Nella sua riapparizione pubblica nei fiumi battesimali, Giovanni Battista si libera di un’altra tradizione di sicurezza in termini di discendenza religiosa. Quella del suo stesso popolo e dei suoi capi sacerdotali che continuavano ad aggrapparsi alla loro “immunità abramitica” dinanzi a Dio. Quella situazione di comodità ancestrale è vista da Giovanni, dinanzi allo sguardo confuso dei suoi colleghi e congeneri religiosi, come una stolta fiducia che non sarebbe servita loro di fronte al giudizio che lui era venuto ad annunciare. Il testo lucano lo narra in modo drammatico: «Diceva dunque alle folle che andavano a farsi battezzare da lui: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente? Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: ‘Abbiamo Abramo per padre’! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre”» (Luca, 3, 7-8). Risulta quanto meno interessante considerare che quell’abbandono della sua eredità sacerdotale familiare non era solo una questione di missione personale, ma anche e soprattutto una rottura rispetto al sistema. Rottura religiosa che era basata sul pentimento e sul cambiamento di epoca nell’orologio del popolo di Dio con l’avvento messianico che avrebbe segnato una nuova e definitiva era nella storia universale. Per essere preparati a questa nuova epoca, i religiosi ebrei, che stranamente andavano incontro al Battista itinerante — «Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Luca, 3, 3) —, non dovevano restare attaccati a quel gesto esterno di purificazione, né alla loro pura discendenza. Tutto ciò non era invalidato “di per sé”, ma risultava inutile se non era preceduto da una conversione integrale assimilabile ai tempi e alle esigenze dell’imminente avvento del Regno di Dio. Da allora, sia le persone sia i popoli che considerano la propria eredità religiosa come un patrimonio immacolato sotto lo sguardo di Dio in ogni tempo, devono immergersi nelle acque di un nuovo Giordano. Se, a detta di Eraclito, nessuno si bagna due volte nello stesso fiume, le nuove acque del fluire dei tempi ci chiedono spesso un nuovo bagno di spiritualità e di umanità. Un nuovo battesimo non sacramentale, che ci risvegli dal nostro comodo torpore religioso e ci rinnovi e converta alla realtà sempre viva del contro-sistema del Regno di Dio e della sua giustizia.

D’altro canto, questo predicatore escatologico con semiotica proveniente dall’apocalittica ebraica, ha diffuso la sua chiamata alla conversione visibile e necessaria di tutti gli attori sociali e politici come un segnale del cambiamento di epoca nell’economia dei tempi di Dio. Perciò la sua chiamata si estende agli esattori delle tasse e ai soldati agli ordini dell’impero, come pure alla gente in generale. I primi dovevano non esigere più di quanto fissato (cfr. Luca, 3, 13), i secondi non dovevano fare false denunce né praticare l’estorsione (cfr. Luca, 3, 14) e tutti dovevano condividere i propri beni e alimenti con i bisognosi (cfr. Luca, 3, 11). Pertanto, partendo dalla casta sacerdotale, e passando per i poteri politici e il popolo, il battesimo rituale doveva implicare la piena consapevolezza che qualcosa di nuovo stava per accadere e bisognava esserne all’altezza. Era Cristo. Lo stesso Battista, che riconosceva di non essere degno di sciogliere neppure il legaccio dei [suoi] sandali (cfr. Luca, 3, 16), gli attribuiva il simbolismo di possedere le chiavi del battesimo in Spirito santo e fuoco (cfr. Luca, 3, 16). È necessaria una memoria storica assiale della nostra appartenenza di fede, a partire dai ministri religiosi, e verso le strutture rivestite di un’apparente patina di eredità misericordiosa. Papa Francesco, il 20 gennaio 2018, nell’incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i seminaristi delle circoscrizioni ecclesiastiche del nord del Perú durante il suo viaggio apostolico in quel Paese latinoamericano, ha affermato: «Giovanni era l’uomo ricco della memoria della promessa e della propria storia. Era famoso, aveva una grande fama, tutti venivano a farsi battezzare da lui, lo ascoltavano con rispetto. La gente credeva che lui fosse il Messia, ma lui era ricco di memoria della propria storia e non si è lasciato ingannare dall’incenso della vanità. Giovanni manifesta la coscienza del discepolo che sa che non è e non sarà mai il Messia, ma solo uno chiamato a indicare il passaggio del Signore nella vita della sua gente».

Che un rinnovato sguardo di questo ultimo profeta disubbidiente al suo mandato e alle sicurezze ancestrali, ma obbediente ai temi innovatori dell’orologio di Dio, ci aiuti oggi ad aprire nuove vie per indicare il passaggio del Signore nella vita della nostra gente.

di Marcelo Figueroa