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La storia

I fiori dell’ospitalità

 I fiori dell’ospitalità  QUO-140
23 giugno 2021

Il percorso di integrazione e fede di Edison e Great: la fuga dalla Nigeria e l’incontro in una casa di accoglienza a Caltanissetta. Dove si sono sposati 
e svolgono attività di volontariato


Edison e Great sono finalmente sposi. Il coronamento del loro amore è frutto di un percorso di fede e di speranza che inizia in Nigeria e termina in Sicilia. È un viaggio immortalato da poche istantanee significative: la partenza, l’attraversamento del Mediterraneo, l’accoglienza, il lavoro, la nascita di una figlia, il matrimonio. A «L’Osservatore Romano» Great racconta tutta la sua gioia. «Sono molto grata di essere qui. Sono tutti molto premurosi e gentili con noi. Non ho alcun rimpianto per tutto quello che ho dovuto lasciare». Arrivati in Italia sei anni fa, si sono conosciuti a Casa Santa Barbara, il progetto di Migrantes Caltanissetta per l’accoglienza di profughi, nato in collaborazione con Unione internazionale superiore generali (Uisg) e con l’omonima parrocchia sicula. «Cercavamo una sistemazione per una famiglia che aveva appena avuto una bimba. La casa dove abitavano era fatiscente, quindi non poteva accogliere l’arrivo di una neonata», ricorda Donatella D’Anna, direttrice dell’ufficio locale per le migrazioni della Cei. «Il suo invito all’accoglienza mi è entrato nel cuore. Così ho messo a disposizione un appartamento inutilizzato che si trova all’interno del complesso parrocchiale», aggiunge don Marco Paternò, parroco di Santa Barbara. Dall’unione di queste due esigenze nasce questa esperienza di ospitalità basata sull’autogestione degli spazi. Una scelta dettata dalla volontà di garantire la massima autonomia e dignità ai migranti. La casa d’accoglienza ha aperto a marzo 2020, poco prima del lockdown. Edison e Great sono stati i primi ospiti a cui si sono aggiunti altri ragazzi. La struttura è composta da camere con bagno privato e da spazi condivisi: cucina, refettorio, salotto, cappella. Anni fa in quei locali vivevano le suore francescane del Signore. La casa si trova nel quartiere Santa Barbara, un sobborgo di Caltanissetta. «È un vero e proprio villaggio con una forte identità», spiega D’Anna. «Per questo motivo all’inizio l’integrazione è stata un po’ difficile. Perché era una presenza nuova. Poi, giorno dopo giorno, la comunità li ha accolti». Il sacerdote parla dell’iniziale “perplessità” degli abitanti: «Ricordo che qualcuno era preoccupato, soprattutto tra coloro che erano più esterni alla vita ecclesiale. Venne a parlarmi e io gli ho spiegato il senso di questa accoglienza».

Superato il timore iniziale misto a imbarazzo e curiosità, il processo di accoglienza è stato naturale. «Si sono presentati nella loro semplicità e si sono fatti voler bene per quello che sono», dice il prete. L’integrazione richiede tempo ma è un processo umano spontaneo e di carità fatto di piccole cose, di situazioni ordinarie, quotidiane: un saluto, l’acquisto della carne dal macellaio, la passeggiata estiva lungo le vie del centro, i modi discreti, i dolci occhi neri della bimba di Edison e Great che frequenta l’asilo del quartiere. «Penso sia un segno evangelico — prosegue don Marco — il fatto stesso che la comunità sappia che c’è questa realtà, dice più di tante parole. A volte la gente è stanca di un Vangelo parlato, ma ci sono dei segni che indicano una fattività, una concretezza, un’operatività». Oggi i parrocchiani si alternano nelle visite ai migranti. Nel quartiere tutti si salutano. Insomma, i ragazzi sono parte integrante della comunità.

«Casa Santa Barbara non è una comunità come tante altre. I ragazzi sono seguiti dal parroco e dagli operatori esterni di Migrantes e della Caritas, ma alcune famiglie-tutor li hanno “adottati” e se ne prendono cura», spiega D’Anna. È quanto prevede il “Progetto Apri” di Caritas italiana, che coinvolge la comunità nell’accoglienza dei migranti, rafforzando l’autonomia e l’integrazione. Per esempio, li accompagnano a fare una visita medica o una commissione. Oltre a ciò, ogni ospite segue un percorso personalizzato. Nell’ultimo anno Edison e Great hanno ottenuto i documenti e mentre lui lavora in un’azienda agricola, lei fa le pulizie e studia per prendere la patente. Tutti i migranti frequentano corsi di alfabetizzazione e di lingue. C’è un ragazzo del Camerun che fa l’operatore socio-assistenziale. Un giovane somalo studia all’istituto alberghiero e lavora nel comparto agricolo. Tutto questo è merito della rete dell’ospitalità ecclesiale che si è aperta a una pluralità di soggetti come scuole e aziende del territorio, che offrono esperienze lavorative retribuite con regolare contratto. Ciò permette di “ricucire gli strappi” del sistema d’accoglienza, dichiara la direttrice di Migrantes, perché «pur essendo da tanti anni nel circuito, purtroppo hanno ancora delle lacune: non parlano l’italiano e non sono preparati all’inserimento sociale e lavorativo».

Oggi Edison e Great sono una coppia solida che compie un cammino di fede. Sono attivi nella comunità nigeriana di Caltanissetta e nella vita parrocchiale, dove svolgono volontariato e cantano nel coro. In vista del matrimonio e della nascita del secondo figlio, Migrantes ha trovato loro un appartamento in cui vivere. «Loro sono un esempio di accompagnamento sotto tutti i punti di vista: umano, lavorativo, formativo, burocratico, ma soprattutto dal punto di vista della fede cristiana», conclude don Marco. Il battesimo della bambina, la catechesi per i coniugi e il matrimonio «sono avvenimenti molto belli che indicano le tappe di un processo di integrazione raggiunto con molta pazienza e collaborazione da parte loro». Non c’è niente di più bello di un’accoglienza da cui germoglia una famiglia che fruttifica una comunità.

di Giordano Contu