«Per una democrazia post-razziale» di Filomeno Lopes e Roberto Mancini

La sfida delle migrazioni
nel futuro di Europa e Africa

 La sfida delle migrazioni  nel futuro di Europa e Africa  QUO-137
19 giugno 2021

Raccontare la sfida dell’immigrazione e sollecitare una risposta diversa da parte della politica, della società e in particolare dei cattolici che vivono in Italia e nell’intera Europa. È quanto si propongono Filomeno Lopes, originario della Guinea-Bissau naturalizzato italiano, scrittore e giornalista della Radio Vaticana, e Roberto Mancini, docente di filosofia teoretica all’università di Macerata e saggista, nel libro Per una democrazia post-razziale (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2021, pagine 251, euro 20), un testo che si presenta come una riflessione a due voci, due punti di vista differenti ma alla fine convergenti e, come recita il sottotitolo, viene proposto come una “lettera aperta ai vescovi dell’Italia e dell’Africa sul problema dell’immigrazione”.

In realtà la lettera, che apre il volume, è firmata solo da Lopes. La seconda parte, quella di Mancini, è un controcanto alle tesi del coautore, con l’obiettivo condiviso di porre i credenti di fronte alle grandi questioni dell’accoglienza e del rapporto tra Europa e Africa. L’originalità sta nel trattarle incrociando lo sguardo del sud del mondo con uno proveniente dal nord, perché, come sottolinea lo storico Andrea Riccardi nella prefazione, «i migranti non sono solo una questione europea o africana, ma eurafricana. Anzi loro stessi pongono una dimensione — l’EurAfrica — su cui sarà necessario riflettere per le molte questioni che riguardano il futuro dei due continenti».

Nella parte affidata a Lopes si coglie tutta la passione di chi, per esperienza personale, conosce le paure e le angosce suscitate negli europei dagli arrivi di immigrati clandestini e i comportamenti razzisti che ne derivano. «In mancanza di una vera politica dell’immigrazione in Italia e in Europa — sottolinea infatti —, l’afronegrofobia, praticata oggi come forma di sdoganamento politico del “razzismo dilettante”, viene temporaneamente usata in molti Stati europei come sostituto», perché si è «sicuri degli effetti del terrorismo di afronegrofobia ormai impiantata nella mente e nel cuore dei cittadini europei di oggi come principale causa di tutti i malesseri» del continente.

L’autore non nasconde preoccupazione e amarezza nel constatare che tali posizioni negative appartengono anche a non pochi credenti — «cattolici del respingimento» li chiama Mancini — che pure dovrebbero avere un atteggiamento più accogliente e solidale. «Fedeli cattolici — sottolinea Lopes — che cambiano luoghi di culto pur di non sentire parlare di “accoglienza ai negri”. Altri che arrivano addirittura ad aggredire con parole pesanti parroci, contrari al loro pensiero, esternando parole che la politica della volgarità attuale ha semplicemente sdoganato come sinonimo di “libertà e sincerità” e dove oltretutto si scambia la maleducazione con la libertà o sincerità». Ma l’autore vuole andare oltre le sterili e gridate polemiche politiche, perché, come precisa Riccardi, «è un problema troppo serio per essere trattato in modo strumentale, superficiale e scontato». E il motivo è semplice: «Innanzitutto — aggiunge lo storico — non si considera la questione umana degli immigrati, che meritano ascolto e attenzione. Inoltre, si dimentica che il futuro dell’Italia e degli altri Paesi europei ha bisogno della loro presenza e del loro lavoro».

Ma se una delle domande poste da Lopes è tanto semplice quanto provocatoria — «dalle istituzioni ecclesiali possiamo osare ancora attendere una posizione profetica su questo dramma del razzismo in Europa?» — per Riccardi il cattolicesimo europeo «non ha solo il problema del nazional-cattolicesimo (il quale — se va bene — dice: “Aiutiamoli a casa loro”), ma vive la sfida della maturazione di una cultura che sia allo stesso tempo evangelica, ma proponibile ai laici per i suoi valori umani: una lettura geopolitica e storica della nostra situazione e del nostro tempo, che guardi al futuro e si proietti creativamente in avanti». E proprio su questo insiste in particolare Lopes, che considera i cattolici e le Chiese un elemento essenziale, anzi decisivo, per far maturare una coscienza nuova. Non solo in Europa, ma anche tra i cattolici africani, che dovrebbero cominciare a prendere coscienza della reale portata del fenomeno migratorio. Ai vescovi locali Lopes chiede dunque di avviare un dialogo con quelli europei con l’intento comune di costruire un futuro diverso, nella consapevolezza che è impossibile affrontare la questione da una sola parte. In realtà l’autore si spinge oltre e avanza la proposta di un sinodo eurafricano, suggerendo che si apra o si chiuda a Lampedusa, l’isola che, tra sbarchi, naufragi e morti, è diventata il luogo del drammatico incontro dei due continenti.

Prendendo spunto dalle riflessioni di Lopes, Mancini sviluppa la sua analisi affrontando la questione del razzismo nella società italiana e delle sue radici nella coscienza collettiva e individuale. Si sofferma poi sull’importanza del legame originario e universale tra gli esseri umani, senza dimenticare un richiamo alla Costituzione, per giungere al cuore della questione: la «riscoperta, da parte nostra, della vita e dell’esperienza di vissuta di Gesù di Nazaret». «Se il cristianesimo è vivere come Gesù — scrive al riguardo Mancini — dunque identificarsi con il suo modo d’essere, accogliendo così la condizione di figlio o di figlia, allora il razzismo è semplicemente abolito».

Il filosofo ritiene che «riflettere sulla fraternità e sulla sororità è indispensabile per andare in profondità nel contrasto al razzismo e al risanamento che conduce a superare la logica dell’esclusione degli altri». E propone tre parole-chiave per risolvere la «contraddizione insostenibile» costituita dalle migrazioni di massa: accoglienza, restituzione e cammino comune. «L’accoglienza — spiega Mancini — è il contrario di quel respingimento che considera gli altri, e soprattutto quelli che più sono in pericolo, come bestie, oggetti o entità da ignorare. La restituzione dei diritti è il contrario della continua espropriazione che gli antichi colonizzatori europei fecero e continuano a fare in forme aggiornate. Il cammino comune è quello che si deve cominciare a svolgere quando comprendiamo finalmente che la risposta che sapremo dare al grido dei migranti è la base per la società futura».

Infine, come Lopes, anche Mancini chiude con una proposta: l’“anno del Ritorno”. Un anno, spiega, che dovrebbe coinvolgere tutta la Chiesa italiana, «in modo che i cattolici possano rispecchiarsi dinanzi a un testo ineludibile, quello del capitolo 25 del Vangelo di Matteo», per essere pronti «ad accogliere come loro membri fratelli e sorelle provenienti da altri Paesi, dunque di comunità etnicamente miste, unite nella fedeltà a Gesù Cristo e ne contempo aperte alle persone e alle comunità di altre fedi». Questo perché, conclude il filosofo, «non è più possibile parlare degli “stranieri” senza parlare con loro, senza ascoltarli, senza imparare dalle loro storie e dalla loro intelligenza, senza fare strada insieme».

di Gaetano Vallini