Come Chiese e cristiani, è scritto nel documento, «la nostra chiamata divina è quella di essere testimoni e servitori della risurrezione e di una nuova vita in giustizia e pace per tutti, indipendentemente dall’etnia, dalla nazionalità o dalla religione. Ricordiamo insieme coloro che sono morti vicino ai nostri confini, cercando salvezza dalla violenza, dalla guerra o dalla disperazione economica. Condividiamo il nostro dolore nella preghiera». Nel testo sono presenti specifiche riflessioni tra cui un’analisi dell’importanza del ricordo, del “fare memoria” in una prospettiva biblica, che è «molto più di un esercizio mentale. È un riconoscimento che può sia portare che derivare da un’azione appropriata». La commemorazione, si legge in un altro passaggio, è la risposta attuata per risvegliare le coscienze e accrescere la consapevolezza delle persone, per suscitare una reazione positiva, attiva, che in nome della giustizia, del rispetto della dignità delle persone, prevenga future perdite umane. A tal proposito vengono citate le iniziative realizzate in vari Paesi dalle diverse Chiese, come quella evangelica in Germania (Ekd), le comunità di fede finlandesi, il Consiglio delle Chiese cristiane svedesi e la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), di cui vengono ricordati gli appelli alla comunità internazionale e ai governi e le varie collaborazioni di solidarietà con le organizzazioni umanitarie impegnate nelle attività di soccorso e salvataggio in mare. Commentando i dati sui morti degli ultimi tre decenni, il documento rimarca come la migrazione non sia «un peccato, ma molti continuano a descriverla come una minaccia per le comunità europee» con i rischi connessi alla propaganda di alcuni movimenti populisti contro i profughi. Alcuni leader, viene osservato, usano apertamente discorsi d’odio, contribuendo a diffondere «un’immagine negativa del fenomeno, dando nomi disumanizzanti a migranti e rifugiati, ricordando che “l’Europa è piena”», e spingendo l’acceleratore su campagne contro i cosiddetti migranti illegali presenti sul loro territorio. «Tali dichiarazioni — lamentano gli estensori del testo — creano stereotipi che si diffondono in modo crescente tra i cittadini europei, e possono portare ad abusi e atti violenti contro rifugiati e migranti».