Se il vincitore del Giro traccia una croce sul petto

 Se il vincitore  del Giro traccia  una croce sul petto  QUO-134
16 giugno 2021

Con il pollice traccia il segno della croce sul petto quando vuol significare amicizia che diventa fraternità: così si presenta il ciclista colombiano Egan Bernal che a Papa Francesco, stamani durante l’udienza generale nel cortile di San Damaso, ha consegnato la maglia rosa e la bici della vittoria, lo scorso 30 maggio, al Giro d’Italia. Nel 2019 ha vinto anche il Tour de France, ad appena 22 anni.

Egan Arley Bernal Gómez — questo il nome completo — non ama parlare delle sue imprese in bici. Tiene tra le mani una corona del rosario che gli ha dato mamma Flor. «La vera campionessa è lei» dice Egan («L’Osservatore Romano», nell’edizione del 2 giugno scorso, ha delineato con un’intervista il profilo della donna ). Egan è qui con la fidanzata Maria Fernanda Motas, veterinaria di Bogotá. Una storia d’amore semplice, lontana dai riflettori.

Stamani Egan e Maria Fernanda sono arrivati prestissimo a San Damaso: e in fondo è normale per uno che di mestiere arriva primo. E hanno pregato insieme, seduti nel posto loro assegnato. Con il rosario di mamma Flor.

Chiaro che poi si finisce a parlare di sport. «I sacrifici sono altri, c’è chi lavora duramente per un salario bassissimo, nel ciclismo conta la passione» taglia corto il campione, con la consapevolezza di chi conosce povertà e fatica del lavoro nei campi.

Ma Egan conosce bene la tradizione popolare ciclistica in Italia — del resto ha esordito in Sicilia nel 2015 — e resta affascinato nel ricordo che proprio a San Damaso nel 1974 Paolo vi diede il via a un Giro d’Italia con accanto Eddy Merckx e Felice Gimondi. Anche quel suo naso particolare — più simile a quello di Coppi che a quello di Bartali — contribuisce a renderlo già un “eroe” da leggenda. E poi è nato il 13 gennaio, ventisette anni dopo lo stesso giorno di Marco Pantani.

Ma è proprio quel tracciare il segno della croce sul petto che, forse, “racconta” chi è Egan più di una vittoria al Giro e al Tour: «In famiglia il segno della croce ce lo scambiamo sempre, soprattutto con mio fratello Ronald che ha dieci anni meno di me». Un gesto fatto in tutta semplicità, intimo, spontaneo. Non c’è nulla che possa assomigliare a un rito scaramantico. È un gesto cristiano e di certo la famiglia Bernal Gómez non si vergogna a farlo in pubblico.

Egan sa benissimo di essere diventato un simbolo di riscatto per la sua gente in Colombia e in popolarità ha superato persino le star del calcio. Sa di essere anche un modello da imitare. Non si tira indietro, come in una tappa di montagna. Quel gesto della croce Egan lo traccerebbe sul petto di ogni colombiano, soprattutto dei più giovani che cercano speranza e identità, per aiutarli a superare tentazioni di violenza, cercando di costruire un futuro dove tutti, soprattutto i più poveri, abbiano sempre più accesso alla sanità e all’educazione.

«La felicità è nelle piccole cose» dice. Lo ha capito guardando mamma Flor e papà German, confida commosso. Sopravvissuto a un parto travagliatissimo e poi a una polmonite, a cinque anni vide sfrecciare un gruppo di ragazzini in bici e decise di fare il ciclista. Non c’erano soldi per una bici ma quando un amico di famiglia gliene fece avere una... sappiamo come è andata a finire. E oggi di bici ne ha consegnata una al Papa.

A Francesco stamani è stato donato anche un monopattino elettrico (con la simbolica “targa” scv 1) «come segno di mobilità sostenibile a impatto zero sull’ambiente»: l’iniziativa è di Assosharing, la prima associazione del comparto sharing mobility, un settore che conta oltre cinque milioni di utenti iscritti in Italia. L’obiettivo, spiega il presidente Matteo Tanzilli, «è proporre linee guida condivise per l’industria della mobilità e con particolare attenzione alle tematiche di programmazione e sostenibilità ambientale a supporto delle città del futuro per una migliore qualità della vita».

Nella giornata internazionale in cui si celebra il lavoro domestico, proprio il 16 giugno, le Acli Colf hanno consegnato simbolicamente al Pontefice la loro bandiera come segno di ringraziamento per le parole con cui dà dignità alle persone e al lavoro. L’obiettivo, spiegano i responsabili, è di tutelare e promuovere i diritti delle migliaia di persone occupate nel settore domestico — con un servizio fondamentale in tante famiglie italiane — e anche della cura, spesso vittime di abusi oltre che di scarsa considerazione sociale.

Un «pellegrinaggio di speranza per rinascere e non solo per ripartire»: è con queste parole che il vescovo di Forlì-Bertinoro, monsignor Livio Corazza, ha presentato a Francesco l’iniziativa del pellegrinaggio diocesano.

Accanto a lui monsignor Cristian Dumitru Crişan, giovane vescovo ausiliare dell’arcieparchia di Făgăraş e Alba Iulia dei romeni, e monsignor Nil Yuriy Lushchak, vescovo ausiliare della diocesi di Mukachevo di rito bizantino in Ucraina, che ha portato una grande icona della Sacra Famiglia per la benedizione del Papa.

Dopo aver ascoltato tante storie personali, molte legate al Covid, altre all’esperienza della malattia e della disabilità, Papa Francesco ha baciato le mani dei quattro nuovi sacerdoti ordinati, il 12 giugno, per la diocesi di Brescia: don Attilio Vescovi, don Simone Toninelli, don Michele Rinaldi e don Filippo Zacchi. Ad accompagnarli i genitori e i superiori del Seminario. «La nostra preparazione al sacerdozio — dicono — è stata scandita prima dalla beatificazione e poi soprattutto dalla canonizzazione del Papa bresciano Paolo vi . Ci siamo accostati alla sua figura scoprendo una bellissima testimonianza che ci aiuterà nella nostra missione».

di Giampaolo Mattei