Lo slancio ecumenico di Malines

Attorno al tavolo del dialogo

DePech_14_x.jpg
14 giugno 2021

«L’amicizia tra lord Halifax e padre Fernand Portal e il loro mutuo riconoscimento di una fede cristiana condivisa hanno favorito la riunione di un piccolo gruppo di esperti attorno a un tavolo a Malines. Nei cento anni successivi abbiamo continuato a renderci conto che è necessario allargare il tavolo, includere più rappresentanti di ciascuna delle nostre comunioni, incoraggiandoli a partecipare al dialogo e a riconoscere la comunione che già esiste tra di noi»: con queste parole il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha evocato la memoria delle due figure fondatrici delle Conversazioni di Malines — una serie di cinque incontri informali tra anglicani e cattolici svoltasi negli anni Venti del secolo scorso con l’approvazione dell’arcivescovo di Canterbury e della Santa Sede — durante il convegno organizzato nei giorni scorsi a Roma dalle ambasciate belga e britannica presso la Santa Sede per ricordare il centenario di quello che fu «uno dei primi dialoghi bilaterali dei tempi moderni» tra cristiani.

Anche se le conversazioni si sono interrotte nel 1926 dopo la morte del cardinale Désiré-Joseph Mercier, arcivescovo di Malines e guida dell’iniziativa, l’amicizia tra Portal e Halifax si estese includendo numerosi esperti in teologia delle due confessioni. «Ricerche recenti hanno rivelato che degli incontri fra teologi cattolici e anglicani hanno avuto luogo in Inghilterra negli anni Trenta con il sostegno dell’arcivescovo di Westminster, il cardinale Bourne», ha sottolineato Koch. Con il Concilio Vaticano ii e l’incontro del 1966 tra Paolo vi e l’arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey, i rapporti tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana «si fecero più consolidati e ufficiali», ma per tutti gli anni Sessanta ci sono state anche «sensibilità e tensioni storiche che hanno richiesto attenzione», ha spiegato il capo del dicastero, evocando in particolare il caso dei vescovi cattolici di Inghilterra e Galles che «si sentivano talvolta esclusi dalle discussioni tra Canterbury e Roma, come già era accaduto in alcuni dei primi tentativi di dialogo teologico».

Esprimendosi in diretta video dal Belgio, il cardinale Jozef De Kesel, arcivescovo di Malines-Bruxelles, ha evocato dal canto suo «due motivi per i quali le Conversazioni di Malines non vanno dimenticate». Innanzitutto per il loro carattere «innovativo» e «per niente scontato all’epoca». Certo — ha ammesso il porporato — «nel 1920 la Conferenza di Lambeth aveva lanciato un “Appello all’unità di tutti i cristiani”» e questo «sicuramente spinse il cardinale Mercier a rispondere alla richiesta di lord Halifax». Tuttavia, per quanto riguarda le posizioni ufficiali della Chiesa, «si notava una grande riservatezza, in particolare dal lato cattolico». Un secondo motivo «per cui è così importante non dimenticare questa lotta d’avanguardia» è il passaggio della società occidentale da una cultura religiosa a una cultura secolare. «Viviamo in una cultura pluralistica in cui la fede in Dio non è più scontata — ha dichiarato De Kesel — e questa è una situazione che richiede l’unità nella nostra testimonianza al mondo».

Tra gli altri partecipanti, invitati al convegno da remoto, c’era Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury dal 2003 al 2013, il quale ha osservato quanto le Conversazioni di Malines continuano a influenzare il dialogo tra la Comunione anglicana e la Chiesa cattolica, «estendendo il campo dell’ecumenismo» e «migliorando la comprensione della diversità teologica all’interno delle nostre confessioni». Gli incontri svoltosi dal 1921 al 1926 nell’arcivescovado di Malines «hanno definito lo stile e il tono del dialogo ecumenico così come lo conosciamo oggi», ha affermato Williams. L’esperienza vissuta dai partecipanti, così come i documenti che ne sono derivati, «hanno molto da dire» e ci invitano «a riavviare un dibattito ecclesiologico che ci permetta di identificare nuove possibilità» per un rinnovo delle Chiese cristiane «come segno di speranza e promessa di una comunione universale e veramente umana».

Ai lavori erano presenti, tra gli altri esperti, padre Thomas Pott, dell’abbazia benedettina di Chevetogne, in Belgio, che si è soffermato su «cosa può imparare l’odierna cultura del dialogo cattolico e teologico dal “sogno ecclesiologico”» degli ospiti di Malines, padre Agbonkhianmeghe Orobator, presidente della Jesuit Conference of Africa and Madagascar, nonché Alana Harris, docente di storia moderna al King’s College di Londra.

di Charles de Pechpeyrou