Il 13 giugno memoria di sant’Antonio di Padova

L’arcobaleno di parole

 L’arcobaleno  di parole   QUO-131
12 giugno 2021

Antonio, ossia l’arte della parola. È poeta del Cielo, Antonio di Padova, un misero saio e versi d’oro gemmati perché le sue parole non sono semplici, bensì cristalli preziosi di teologia. Fiamme che riescono a entrare nel cuore così dirette e forti da riuscire a penetrare nell’intimo di ognuno, suscitando in qualsiasi persona la ricerca di Dio. In fondo, si sa, le parole ispirate dal Signore hanno questa peculiarità: infondere nell’animo dei fedeli coraggio e speranza. Riescono ad avvicinarlo meglio all’Assoluto.

La devozione popolare però — da tempo — sembra quasi aver relegato questo santo solamente all’iconografia a cui si è tutti un po’ abituati: Antonio di Padova e il pane, il giglio, il Bambino Gesù stretto tra le sue braccia. Tutte immagini che — seppur di indubbia corrispondenza alla verità biografica — bisogna comunque ammettere che non rendono del tutto giustizia al santo. Rimane dunque necessario ricordare che Antonio di Padova fu proclamato da Pio xii , nel 1946, Dottore della Chiesa.

La vita di Antonio è stata sì una partitura musicale costellata da episodi prodigiosi, con il contrappunto di innumerevoli miracoli tramandati da una tradizione orale e scritta che riempirebbe pagine e pagine di libri, ma il Santo di Padova è stato — soprattutto — superbo predicatore. Anzi, per usare un linguaggio di oggi, si potrebbe ben definire un eccelso comunicatore della Chiesa. Se fosse vissuto nel mondo cibernetico, avrebbe inondato il web di video su youtube e cinguettii su twitter, accompagnati da qualche immagine su instagram.

Basterebbe solo leggere qualche frase dei Sermones — la grande opera letteraria e teologica che purtroppo sembra essere troppe volte dimenticata — per rendersi subito conto della forza della sua parola, dello stile, del linguaggio che, seppur ammantato di una elegante e ricercata poeticità, riesce a trasmettere sic et simpliciter il messaggio. «Cristo, che è la tua vita, sta appeso davanti a te, perché tu guardi nella croce come in uno specchio. Lì potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignità umana e il tuo valore. In nessun altro luogo l’uomo può meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce» (Sermones Dominicales et Festivi iii ).

In questa frase sembra quasi vivere ciò che il poeta Khalil Gibran scriverà secoli dopo: «Bellezza è l’eternità che si contempla in uno specchio; e noi siamo l’eternità, e noi siamo lo specchio».

Il poeta Antonio, però, trova l’apice del suo ingegno teologico, della sua sublime poeticità quando il tema dei suoi Sermones è la Vergine Maria. In questo caso, egli tocca vertici poetici che riecheggiano del Medioevo dei trovatori. Un esempio lampante? La sua descrizione di Maria che — a distanza di secoli — affascina il lettore e lo proietta nella luce inestinguibile della Vergine: «Contempla l’arcobaleno, considera cioè la bellezza, la santità, la dignità della beata Vergine Maria e benedici con il cuore, con la bocca e con le opere il suo Figlio, che così l’ha voluta. Ella avvolse il cielo, cioè circondò la divinità, con un cerchio di gloria, vale a dire con la sua gloriosa umanità. Orsù, dunque, nostra Signora, unica speranza! Illumina, ti supplichiamo, la nostra mente con lo splendore della tua grazia, purificala con il candore della tua purezza, riscaldala con il calore della tua presenza. Riconcilia tutti noi con il tuo Figlio, affinché possiamo giungere allo splendore della sua gloria» (Sermones Annuntiationis Beatae Mariae Virginis). Dunque non rimane altro che incamminarsi verso questa via del Cielo, segnata dai versi del santo. Sono loro a dipingere il cuore degli uomini con i colori dell’arcobaleno, grazie all’arte della parola.

di Antonio Tarallo