Nota esplicativa

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11 giugno 2021

1. Il Decreto generale Le associazioni di fedeli disciplina l’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche, e negli altri enti con personalità giuridica soggetti alla vigilanza diretta del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Il Decreto è da leggersi nel contesto della missione affidata al Dicastero, come anche in riferimento al Magistero riguardante le associazioni di fedeli e i movimenti ecclesiali.

2. Al Dicastero, nell’ambito della propria competenza, spetta il compito di accompagnare la vita e lo sviluppo delle aggregazioni di fedeli e dei movimenti laicali (cfr. Statuto, art. 7). Il suo operato è animato dal desiderio di promuovere la crescita delle realtà ecclesiali ad esso affidate, nonché di aiutare i Pastori a svolgere adeguatamente il loro ruolo di guida e di accompagnamento nei confronti delle medesime.

3. Sulla scia del Concilio Vaticano II, che riconosceva nell’apostolato laicale organizzato un’espressione della vocazione e responsabilità missionaria dei fedeli laici (cfr. Apostolicam actuositatem, 1, 18-19), San Giovanni Paolo ii vedeva realizzata nelle aggregazioni di fedeli l’essenza della Chiesa stessa: «Rendere presente il mistero di Cristo e la sua opera salvifica nel mondo» (Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali, 27 maggio 1998). Con intuito profetico, rivolgendosi ai movimenti ecclesiali in occasione della Veglia di Pentecoste dell’anno 1998, lanciò loro una nuova sfida: «Oggi dinanzi a voi si apre una tappa nuova: quella della maturità ecclesiale. Ciò non vuol dire che tutti i problemi siano stati risolti. È, piuttosto, una sfida. Una via da percorrere. La Chiesa si aspetta da voi frutti “maturi” di comunione e di impegno» (Discorso ai movimenti ecclesiali e alle nuove comunità alla Veglia di Pentecoste, 30 maggio 1998).

4. Benedetto xvi approfondiva le implicazioni di questa nuova fase di maturità ecclesiale additando, quale via per comprendere adeguatamente le aggregazioni di fedeli alla luce del disegno di Dio e della missione della Chiesa, una più matura comunione di tutte le componenti ecclesiali, «perché tutti i carismi, nel rispetto della loro specificità, possano pienamente e liberamente contribuire all’edificazione dell’unico corpo di Cristo» (Ai Vescovi partecipanti al Seminario di studio promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, 17 maggio 2008). Egli sollecitava, inoltre, i movimenti ecclesiali a sottomettersi con pronta obbedienza e adesione al discernimento dell’autorità ecclesiastica, indicando tale disponibilità quale garanzia stessa dell’autenticità dei carismi e della bontà evangelica del loro operato (cfr. Messaggio ai partecipanti al ii Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, 22 maggio 2006).

5. Papa Francesco, in linea con i predecessori, suggerisce di comprendere le esigenze richieste dal cammino di maturità ecclesiale delle aggregazioni di fedeli nell’ottica della conversione missionaria (cfr. Evangelii gaudium, 29-30) . Egli indica come prioritari il rispetto della libertà personale; il superamento dell’autoreferenzialità, degli unilateralismi e delle assolutizzazioni; la promozione di una più ampia sinodalità, come anche il bene prezioso della comunione. «La vera comunione — precisa — non può esistere in un movimento o in una nuova comunità, se non si integra nella comunione più grande che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica» (Discorso ai partecipanti al iii Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, 22 novembre 2014).

In riferimento alla maturità ecclesiale, Papa Francesco esorta: «Non dimenticate che, per raggiungere questo traguardo, la conversione deve essere missionaria: la forza di superare tentazioni e insufficienze viene dalla gioia profonda dell’annuncio del Vangelo, che è alla base di tutti i vostri carismi» (Discorso ai partecipanti al iii Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, 22 novembre 2014). Questa è la chiave interpretativa che permette di cogliere il significato ecclesiale del presente Decreto, che mira, nello specifico, a far superare “tentazioni e insufficienze” riscontrate nel modo di esercitare il governo all’interno delle associazioni di fedeli.

6. Nel suo servizio di accompagnamento di oltre cento associazioni e altri enti internazionali sui quali esercita vigilanza diretta, il Dicastero ha avuto modo di osservare prassi di gestione delle responsabilità direttive assai diversificate. Questa esperienza ha sollecitato uno studio e un discernimento che avesse come oggetto la retta conduzione del governo all’interno delle suddette aggregazioni.

7. In seno alle associazioni di fedeli, l’autorità viene attribuita dalla libera volontà degli associati a norma degli statuti, e va esercitata come servizio per il buon governo dell’ente, in riferimento alle finalità specifiche nell’adempimento della missione ecclesiale. Infatti, i carismi che hanno suscitato la nascita di variegate realtà aggregative sono stati elargiti dallo Spirito Santo ad utilitatem di tutto il Popolo di Dio, non solo a beneficio di chi li riceve (cfr. Iuvenescit Ecclesia, 5-7). Di conseguenza, l’orizzonte ultimo sullo sfondo del quale concepire ogni dimensione della vita delle realtà aggregative rimane la Chiesa, non l’ambito ristretto dell’associazione internazionale o, ancor meno, di ciascun singolo gruppo locale. Dunque, anche il governo nelle associazioni di fedeli è da intendersi in una prospettiva di comunione ecclesiale, e si esercita a norma del diritto universale e di quello proprio, sotto la vigilanza dell’autorità ecclesiastica (cfr. cann. 305, 315, 323 Codice di diritto canonico; Lumen gentium, 12 b; Iuvenescit Ecclesia, 8).

8. Nell’ambito della vigilanza che gli compete, il Dicastero — a seguito di un attento studio del Magistero e del diritto della Chiesa, nonché di una prudente consultazione interdicasteriale — ha identificato alcuni criteri di ragionevolezza in merito a due aspetti necessari per un retto esercizio del governo: la regolamentazione dei mandati degli organi di governo a livello internazionale e la rappresentatività di questi ultimi. Il Decreto generale promulgato in data odierna — che gode dell’approvazione in forma specifica del Sommo Pontefice — disciplina tali mandati quanto a durata e a numero e, per le associazioni, la partecipazione dei membri nella costituzione degli organi centrali di governo.

9. Non di rado la mancanza di limiti ai mandati di governo favorisce, in chi è chiamato a governare, forme di appropriazione del carisma, personalismi, accentramento delle funzioni nonché espressioni di autoreferenzialità, che facilmente cagionano gravi violazioni della dignità e della libertà personali e, finanche, veri e propri abusi. Un cattivo esercizio del governo, inoltre, crea inevitabilmente conflitti e tensioni che feriscono la comunione, indebolendo lo slancio missionario.

10. Parimenti, l’esperienza ha mostrato che il ricambio generazionale degli organi di governo mediante la rotazione delle responsabilità direttive, apporta grandi benefici alla vitalità dell’associazione: è opportunità di crescita creativa e spinta per l’investimento formativo; rinvigorisce la fedeltà al carisma; dà respiro ed efficacia all’interpretazione dei segni dei tempi; incoraggia modalità nuove e attuali di azione missionaria.

11. Il Decreto abroga ogni norma ad esso contraria, in vigore negli statuti delle aggregazioni e degli enti interessati.

12. In merito alla rappresentatività, il Decreto prevede che i membri pleno iure di un’associazione partecipino, almeno indirettamente, al processo di elezione dell’organo centrale di governo a livello internazionale (Art. 3).

13. Per quanto concerne il rinnovo delle cariche di governo, il Decreto limita a cinque anni la durata massima di ciascun mandato nell’organo centrale di governo a livello internazionale (Art. 1), ad un massimo di dieci anni consecutivi l’esercizio di qualsiasi incarico in tale organo (Art. 2 § 1) con possibilità di rielezione solo dopo la vacanza di un mandato (Art. 2 § 2), eccetto il caso di elezione a moderatore, incarico che potrà essere esercitato indipendentemente dagli anni già trascorsi in altro incarico nell’organo centrale (Art. 2 § 3); la funzione di moderatore può essere svolta per un massimo di dieci anni in assoluto, dopodiché non si può più accedere a tale incarico (Art. 2 § 4).

14. Consapevole del ruolo chiave svolto dai fondatori in diverse associazioni o enti internazionali, il Dicastero, al momento di approvarne gli statuti, ha spesso concesso stabilità agli incarichi di governo attribuiti ai fondatori stessi. In tal modo, si è cercato di concedere un tempo sufficiente per far sì che il carisma da essi ricevuto trovi adeguata collocazione nella Chiesa e sia fedelmente recepito da parte dei membri. In forza di questo Decreto, il Dicastero si riserva di dispensare i fondatori dai limiti stabiliti (Art. 5), se lo riterrà opportuno per lo sviluppo e la stabilità dell’associazione o dell’ente, e se tale dispensa corrispondesse alla chiara volontà dell’organo centrale di governo.

15. Il Dicastero è fiducioso che tale Decreto venga recepito nel giusto spirito di filiale obbedienza e di comunione ecclesiale, di cui hanno dato prova in modo esemplare tante associazioni di fedeli e enti internazionali, e che ne venga colta appieno la motivazione pastorale, nata dal desiderio della Chiesa-madre di far progredire questi suoi figli verso la piena maturità ecclesiale auspicata. Il Dicastero rende grazie al Signore per il dono prezioso costituito da queste realtà internazionali, impegnate ad annunciare Cristo Risorto e a trasformare il mondo secondo il Vangelo.