Hic sunt leones

L’Africa afflitta dal covid
ma non solo...

Infermiera parla con anziani sudafricani mentre aspettano di ricevere il vaccino anti-covid a Johannesburg (Ansa)
11 giugno 2021

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la popolazione africana ha ricevuto finora meno del 2 per cento delle dosi di vaccino contro il covid-19 somministrate in tutto il mondo. Considerando che il continente è popolato da un miliardo trecento milioni di persone che rappresentano il 16 per cento della popolazione a livello planetario, il raggiungimento dell’obiettivo di vaccinare il 60 per cento degli abitanti entro la metà del 2022, come auspicato a Pretoria, in Sud Africa, dal presidente francese Emmanuel Macron, non pare essere un dato scontato.

Al 6 giugno, l’Africa contava 4.901.043 contagi e 131.981 decessi legati al covid-19. Il Sud Africa rappresenta il Paese più colpito del continente, con 1.686.041 casi e 56.832 decessi. A seguire, Marocco (521.195 casi e circa 9.173 decessi), Tunisia (352.303 casi e 12.902 decessi), Etiopia (272.632 casi e 4.193 decessi) ed Egitto (266.350 casi e 15.268 decessi). Le vaccinazioni vanno molto a rilento in Africa per una serie di fattori che interagiscono tra loro. Anzitutto vi è un evidente deficit di finanziamento da parte dei governi, a cui si aggiunge la debolezza sistemica del sistema sanitario continentale. Inoltre, la catena di approvvigionamento in molti casi è fatiscente, per non parlare dei criteri di ammissibilità e prioritizzazione che appaiono indefiniti per garantire che le popolazioni più vulnerabili ricevano l’accesso il prima possibile.

Il programma Covax — sostenuto dall’Oms e da altri organismi multilaterali — mira a fornire all’Africa 600 milioni di dosi, sufficienti per vaccinare almeno il 20 per cento della popolazione. Dulcis in fundo, le vaccinazioni sono anche duramente ostacolate dalla diffusa percezione, da parte di una quota della popolazione, della inaffidabilità dei lotti AstraZeneca resi disponibili nell’ambito del programma Covax, finalizzato a garantire l’accesso al vaccino nei Paesi in via di sviluppo. Si tratta dell’effetto devastante delle campagne di disinformazione proveniente dai media occidentali, soprattutto attraverso internet; una sorta di «infodemia» che deve essere contrastata da parte dei governi locali. Le popolazioni afro sono solitamente abituate alle campagne di vaccinazione, ma in questo caso l’influenza delle cosiddette fake news ha rafforzato lo scetticismo nell’immaginario collettivo.

Un sondaggio internazionale di Ipsos, sulla sua piattaforma online Global Advisor, dal 25 al 28 febbraio 2021, per conto del World economic forum (Wef) ha indicato che in Sud Africa, circa il 64 per cento dei partecipanti sarebbe disposto a farsi vaccinare. Finora, in questo Paese sono state vaccinate un milione di persone, circa la metà con il vaccino Johnson & Johnson, somministrato in dose singola e il resto con il vaccino Pfizer. Da rilevare che nel frattempo non pochi esponenti della comunità scientifica africana esprimono senza inibizione di sorta il loro malessere per la sproporzione che si registra nei Paesi Occidentali tra l’interesse profuso per debellare il covid-19 e ciò che viene operato per contrastare le tradizionali patologie endemiche che affliggono il continente africano, come ad esempio la malaria. In un’intervista rilasciata al quotidiano statunitense online «Washington Post», l’epidemiologo Halidou Tinto, direttore regionale dell’Istituto di ricerca in scienze della salute del Burkina Faso ha dichiarato senza mezzi termini: «Siamo tutti frustrati in Africa nel vedere come il covid-19 riceva così tanta attenzione rispetto alla malaria», precisando che «se la malaria riguardasse l’Occidente, l’attenzione sarebbe molto più evidenziata».

In effetti, le cifre parlano chiaro: secondo l’ultimo rapporto mondiale sulla malaria, pubblicato il 30 novembre dello scorso anno, ci sono stati 229 milioni di casi di malaria nel 2019 rispetto ai 228 milioni di casi registrati nell’anno precedente. Considerando che, stando allo stesso rapporto Oms, nel 2019 il continente africano ha rappresentato il 94 per cento di tutti i casi e i decessi di malaria a livello mondiale è evidente la discrasia in confronto al covid-19 che in Africa ha causato poco più di 130mila decessi.

Questo certamente non significa affatto che il coronavirus debba essere preso sottogamba dalle popolazioni africane e dai loro governi, ma è evidente che il sistema sanitario africano, che detiene solo il 3 per cento del personale medico mondiale, è preso da ben altri problemi. Basti pensare, oltre alla malaria, alla lunga serie di malattie endemiche come quelle tropicali neglette, per non parlare dell’aids, della tubercolosi o della famigerata ebola. Come se non bastasse, in Africa le malattie non trasmissibili, come ipertensione, malattie cardiovascolari e diabete, sono in aumento. A tutto questo occorre aggiungere la drammatica situazione economica in cui versano le economie africane. Si tratta del peggiore effetto collaterale scatenato dalla pandemia di covid-19. Diseguaglianze e povertà sono destinate ad aumentare in contrasto con l’impegno del consesso delle nazioni di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile nel 2030 (SDGs agenda 2030). Il crollo del turismo e delle esportazioni, la volatilità sulle piazze finanziarie internazionali del prezzo delle commodity (materie prime), petrolio in primis, e il declassamento operato dalle agenzie di Rating nei confronti di molti Paesi africani, hanno messo in ginocchio il continente. I governi dei Paesi africani sono peraltro già fortemente indebitati verso numerosi creditori stranieri, con il risultato che nei tre anni a venire l’ammontare del debito dei Paesi africani sarà di oltre 900 miliardi di dollari. Ciò che fa la differenza, ad esempio, con un Paese come l’Italia, sta nel fatto che il debito pubblico, per la sua gran parte, è tenuto da soggetti italiani e ora peraltro verrà anche mutualizzato con gli altri Paesi europei. Come potranno i governi africani far fronte alla questione debitoria e allo stesso tempo aumentare gli sforzi per assistere le popolazioni in una situazione in cui il sistema sanitario continentale è in sofferenza, peraltro con la previsione di una diminuzione significativa dell’aiuto allo sviluppo? Quest’ultimo, ricordiamolo già ora, è poca cosa: infatti la media europea è circa lo 0,4 per cento del prodotto interno lordo.

La contrazione degli aiuti internazionali potrà essere scongiurata solo a condizione che vi sia una decisa assunzione di responsabilità condivisa nel contrastare la crisi economica innescata dalla pandemia. Il G20 dei ministri degli Esteri e della Cooperazione allo sviluppo, in programma a Matera il prossimo 29 giugno, potrebbe essere l’occasione giusta per affermare questo indirizzo politico. D’altronde, l’interesse internazionale sull’Africa dovrebbe essere motivato dal fatto che se abbandonato a se stesso questo continente potrebbe diventare un gigantesco focolaio di varianti del coronavirus. Come sottolineato dal rapporto commissionato dall’Oms, redatto dall’International panel on pandemic preparedness and response (Ipppr) e pubblicato lo scorso 12 maggio, è evidente che occorre passare dalle parole ai fatti. Questo concretamente significa, ad esempio, che i Paesi ad alto reddito, con una pipeline di vaccini covid-19 in grado di garantire una copertura adeguata, «dovrebbero impegnarsi a fornire almeno 1 miliardo di dosi di vaccino ai 92 Paesi a basso e medio reddito come quelli africani, entro il 1° settembre 2021 e oltre 2 miliardi di dosi entro la metà del 2022».

Al contempo, «i principali Paesi produttori di vaccini e le aziende dovrebbero riunirsi, sotto gli auspici congiunti dell’Oms e dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), per convenire sulla cessione volontaria delle licenze e il trasferimento di tecnologia con la clausola che i diritti di proprietà intellettuale decadrebbero immediatamente se la cessione volontaria, inclusa la condivisione delle tecnologie, non avverrà entro 3 mesi». Prima che sia troppo tardi.

di Giulio Albanese