È morto don Mario Riboldi

Nomade tra i nomadi

 Nomade tra i nomadi  QUO-129
10 giugno 2021

«Un uomo dotato di intuito profetico, che aveva capito già prima del concilio Vaticano ii che il Vangelo si vive accanto agli ultimi». Così don Marco Frediani — incaricato per la Pastorale dei nomadi nella diocesi di Milano — ha ricordato don Mario Riboldi, “il prete degli zingari”, scomparso martedì 8 giugno a 92 anni in una casa di riposo vicino a Como. La sua è stata un’esistenza dedicata ai nomadi, fin dagli anni cinquanta, vivendo in mezzo a loro, come loro, in una roulotte, viaggiando con loro e portando loro ogni giorno la Parola del Signore che ha tradotto nelle lingue rom e sinti. Un nomade tra i nomadi, che diede un contributo fondamentale al cammino verso gli altari di Ceferino Giménez Malla, il primo beato gitano, e nell’organizzazione dello storico incontro di Paolo vi con rom e sinti il 26 settembre 1965 a Pomezia grazie all’entusiasta collaborazione di don Bruno Nicolini, fondatore dell’Opera nomadi. Una dedizione, una prossimità verso queste comunità che venne riconosciuta nel 1971 con l’incarico diocesano per la Pastorale dei nomadi, abbandonato soltanto nel 2018 per le peggiorate condizioni di salute. Antesignano della “Chiesa in uscita”, aveva già intuito che non si fa evangelizzazione da seduti ma solo andando sul posto con zaino in spalla, sandali ai piedi e immenso spirito evangelizzatore. Fin dai primi anni del suo ministero sacerdotale, quando nel 1957, fu inviato a Gnignano, al confine tra le provincie di Milano e Pavia, dove la sua parrocchia era proprio di fronte a un campo nomadi. «Quando vide le prime carovane — ha raccontato don Frediani, che ha condiviso lunghi periodi di vita itinerante con il sacerdote — don Mario si fece subito una semplice domanda: “Chi porta il Vangelo a queste persone?”». Più della predicazione, non si stancava mai di ripetere, è importante la preghiera, «perché la conversione non è un frutto dei nostri sforzi ma un dono di Dio. Non voglio mica fare l’operatore, sono un prete che si è sentito chiamato a portare il Vangelo fra chi, troppo a lungo, troppo spesso, è stato ignorato dai cattolici, a volte ancora così chiusi nelle loro parrocchie». Lui, la sua parrocchia, l’aveva portata o, meglio, l’aveva incontrata sulle strade, nei campi, invitando con il suo esempio i credenti a non discriminare ma a comprendere.

di Rosario Capomasi