Storia di Giuseppina Panzica, di un finanziere e di un maresciallo che salvarono gli ebrei

I tre Angeli di Ponte Chiasso

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09 giugno 2021

Dopo l’8 settembre 1943 Como era diventata una città molto pericolosa. C’erano ovunque spie, delatori e collaborazionisti dei nazi-fascisti. La firma dell’armistizio di Cassibile con gli Alleati e il proclama del maresciallo Pietro Badoglio inaspriva ancora di più il clima nel nord Italia occupato dai soldati del Terzo Reich. Erano giorni di caos, di militari sbandati, di una Resistenza che si organizzava con l’aiuto dell’Oss, i servizi d’intelligence americani. Vittorio Emanuele iii si era trasferito a Brindisi e gli anglo-americani risalivano la penisola dopo lo sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943. Nella capitale e in altre città italiane i tedeschi in ritirata compivano stragi, razzie, soprusi e rastrellamenti. Chi si rifiutava di restare con gli ex alleati veniva imprigionato e deportato nei campi di lavoro come nel caso degli Internati militari italiani o, peggio, trasferiti nei campi di sterminio come avvenne il 16 ottobre del 1943 con la deportazione degli ebrei di Roma. Gli ex alleati tedeschi erano sospettosi degli italiani: il Patto d’Acciaio stretto il 22 maggio 1939 a Berlino tra Regno d’Italia e Germania nazista era stato spezzato mentre i rapporti tra fascismo ed ebrei, già tesi per l’istituzione delle leggi razziali del 1938, diventarono ancora più difficili dopo la nascita della Repubblica sociale italiana.

Su questo sfondo si staglia la storia di Giuseppina Panzica, nata a Caltanissetta, l’1 agosto del 1905, madre di quattro figli e moglie del finanziere in congedo Salvatore Luca. Una donna coraggiosa che aderì al Gruppo Fra.Ma, acronimo dei cognomi di Ezio Franceschini e Concetto Marchesi, collaborando con il finanziere Gavino Tolis e con il maresciallo Paolo Boetti, suo superiore diretto, nel nascondere e salvare centinaia di profughi ebrei e perseguitati politici, aiutandoli a fuggire nella vicina Svizzera. Tolis prestava servizio alla frontiera di Ponte Chiasso ed era entrato in contatto con la famiglia Luca già dal settembre 1943.

La rete di confine italo-svizzero passava proprio dall’orto di Salvatore Luca, un siciliano che abitava al pianterreno di via Vela n. 1 a Como. Era entrato nel mirino dei fascisti non solo per aver favorito l’espatrio degli ebrei in territorio elvetico, ma anche per la sua condotta antifascista. Luca, calzolaio e guardia di finanza in congedo, nei giorni successivi al 25 luglio 1943 aveva collaborato all’abbattimento degli emblemi del cessato regime sulla Casa del Lavoro di via Bellinzona. Una storia che il tenente colonnello Gerardo Severino, direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza, dopo lunghe ricerche d’archivio ha fatto emergere dai carteggi e dagli scaffali polverosi.

«I protagonisti della Resistenza contro il nazi-fascismo fra il settembre 1943 e l’aprile 1945 furono molti, ma soprattutto militari e partigiani di varia estrazione politica. Questo è noto — spiega Severino —. Non è conosciuto ai molti, invece, il ruolo, non meno decisivo ed eroico, che fu esercitato da altri migliaia di italiani i quali, mossi dai più puri valori umani e cristiani, così come per senso di responsabilità verso un futuro diverso da quello dato dalle atrocità della guerra e dalle povertà provocate dai conflitti, rischiarono la loro stessa vita pur di combattere. Stavolta credere significava dare priorità alla famiglia umana contro ogni forma di barbarie e di ricorso all’uso delle armi — aggiunge Severino —. La ferocia dell’occupante tedesco, ma soprattutto la tracotanza della dittatura fascista, risorta dopo il fatidico 25 luglio 1943, fu ciò che fece innescare la molla del coraggio».

L’adesione al Gruppo Fra.Ma, che operava clandestinamente fra Padova, Milano e la Svizzera fu centrale in tutta l’attività clandestina di Giuseppina Panzica, del maresciallo Boetti e del finanziere Tolis. Gli agenti del Fra.Ma assicuravano rifornimenti alle brigate partigiane operanti nell’alta Italia e, soprattutto, favorivano gli espatri di antifascisti ed ebrei. Inoltre consegnavano le lettere, la valuta, i documenti riservati e i messaggi nelle mani di Tolis, il quale, attraverso la signora Panzica, ne curava poi il passaggio oltre la rete di confine. Un’azione che non si arrestò neppure quando la donna siciliana rimase sola per via della partenza del marito, nel gennaio 1944, in Germania, assieme ai figli maggiori Ignazio e Alfredo. Il lavoro infatti scarseggiava e Salvatore Luca, a Como, non era certo ben visto dai fascisti locali. Nonostante la dura lontananza dal marito Giuseppina continuò la sua opera umanitaria tra mille difficoltà dovendo sopperire anche alla crescita dei due figli più piccoli.

«Nell’aprile del 1944, sia il giovane finanziere sardo che la signora Panzica furono segnalati al controspionaggio tedesco, probabilmente, riteniamo noi, su delazione anonima di qualche contrabbandiere della zona. Altra ipotesi potrebbe essere quella di qualche collega finanziere di Tolis e Boetti rimasto fedele alla Rsi o molto semplicemente un fascista di Ponte Chiasso — aggiunge Severino —. La Gestapo, a sua volta, e questo è un dato ufficiale, li segnalò al Comando della Polizia Confinaria Germanica di Ponte Chiasso, la quale si mosse con tutti i suoi mezzi. Fu così che il 24 aprile del 1944 il finanziere Tolis cadde nella trappola, colto sul fatto nei pressi dell’orto della famiglia Luca, mentre passava due involucri che contenevano complessivamente la somma di 234.000 lire all’eroica signora Giuseppina».

Il bandolo della matassa portava diritto ai finanzieri comaschi accusati di correità nell’aiuto alla fuga di antifascisti ed ebrei sia dal Prefetto di Como Francesco Scassellati Sforzolini che dalla Polizia di confine germanica. Proprio Scassellati Sforzolini, in un memorandum del 22 febbraio 1944 trasmesso al Questore di Como, scriveva: «Continua l’afflusso di elementi, ebraici in massima parte, che sconfinano, aiutati da allogeni. Il posto di ritrovo è in via Brogeda, da dove, all’imbrunire, passano la rete di confine; si sono notati passaggi con bagagli particolarmente pesanti. Sul tratto di confine che dalla Posta di Ponte Chiasso corre, quasi in campagna e fino al Ponte di Maslianico, la sorveglianza, dopo l’imbrunire, si fa molto relativa. Le Guardie di Finanza concorrono ad aiutare i passaggi clandestini» (fonte: Archivio di Stato di Como, Fondo «Prefettura, Gabinetto 1943-1945», u.v. 1943-44, Scassellati, b. iv , fasc. 379, «Comuni. Stabio frontiera», Promemoria per il questore, Como, 22 febbraio 1944/ xxii ).

Al danno si aggiunse poi la beffa: secondo una relazione redatta dal Comando della Finanza di Como venne eseguita una perquisizione domiciliare presso l’abitazione di Giuseppina Panzica che portò al rinvenimento di una lettera indirizzata a tale Oscar Orefice di Lugano «nella quale si accennava a persone di razza ebraica che avrebbero transitato clandestinamente la frontiera». Fu la prova provata che inchiodava Tolis e la signora Giuseppina che pagarono in prima persona con l’arresto. Tolis, così come riporta il suo stato di servizio conservato negli archivi della Guardia di Finanza venne «arrestato dalla polizia germanica per contrabbando di valuta e internato in Germania». Un’accusa davvero infamante per chi, come il finanziere sardo, aveva rischiato la propria vita negli otto mesi di occupazione tedesca. Purtroppo Gavino Tolis non ritornò mai più in Italia. Finì i suoi giorni nel campo di prigionia di Mauthausen, “passando per il camino” di Gusen.

Sorte diversa la ebbero il maresciallo Paolo Boetti, padre di due bimbe in tenerissima età e Giuseppina Panzica. Boetti, finito anch’egli a Mauthausen qualche mese dopo il finanziere Tolis, fece ritorno in Patria. Molto più drammatico fu il calvario vissuto dalla donna che iniziò con la straziante idea di dover lasciare soli a casa i figli Rosaria, di 12 anni, e Giuseppe di 9 anni, successivamente rinchiusi in collegio. La donna venne trasferita prima nel carcere comasco di San Donnino, poi nella casa di detenzione di San Vittore, a Milano. Infine venne deportata prima nel lager di Bolzano e poi nel campo di sterminio di Ravensbrück. Qui subì violenze e sopportò indicibili torture, ma la speranza di poter rivedere i propri figli e la fede in Dio l’aiutarono a superare le più terribili sevizie e a ritornare a Ponte Chiasso nell’ottobre del 1945 dopo una lunga degenza negli ospedali alleati, aperti subito dopo lo smantellamento dei famigerati campi di sterminio.

Per la sua attività resistenziale e di aiuto agli ebrei il finanziere Gavino Tolis ha ricevuto nel 2010 la Medaglia d’Oro al merito civile “alla memoria”, così come l’ha ricevuta alcuni anni dopo anche Boetti. Il 14 marzo 2018, infine, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito la Medaglia d’oro al merito civile anche alla coraggiosa nissena. La ricostruzione archivistica effettuata dal tenente colonnello Severino è stata determinante nel far emergere le storie dei tre “Angeli di Ponte Chiasso” che oggi sono ricordati in Sardegna: alcune vie cittadine portano il nome di Gavino Tolis, la Caserma delle Fiamme Gialle di Sassari, così come al maresciallo Boetti verrà prossimamente intitolata la Caserma della Tenenza di Mirandola, in provincia di Modena.

A Caltanissetta, città natale di Giuseppina Panzica, l’Associazione Onde Donneinovimento ha contribuito a fare memoria ricordandola lo scorso 25 aprile in via Piazza Armerina, dove nacque e visse la sua giovinezza e dove presto verrà apposta una targa che la ricorda dopo l’impegno preso dall’amministrazione comunale. Sul maresciallo Boetti e sul finanziere Tolis Gerardo Severino, che ha dedicato gran parte della sua vita professionale alla cultura della memoria, ha dedicato rispettivamente i libri 21 giugno 1944: Destinazione Mauthausen e Il contrabbandiere di uomini.

di Vincenzo Grienti