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La storia

Con la sola forza della fede

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09 giugno 2021

La testimonianza dei missionari comboniani nel Nord Kivu


«La violenza nel Nord Kivu aumenta e a Butembo la nostra missione è nel mirino di gruppi di manifestanti, che sfidano sempre più la presenza delle truppe dell’Onu nella regione. Abbiamo paura di subire da un momento all’altro un attacco, siamo preoccupati perché questa è una guerra a “pezzi”, che decima migliaia di persone ed è pressoché ignorata da media e istituzioni che dovrebbero farsi sentire di più. Ma noi siamo sempre qui, rimaniamo e viviamo con le persone che siamo stati mandati a servire, in nome di Gesù». Parole colme di timore ma anche della forza irriducibile della fede quelle pronunciate da padre Claudino Gomes, missionario comboniano portoghese che nella martoriata città della provincia nel nordest della Repubblica Democratica del Congo svolge il suo apostolato in condizioni di grande instabilità sociale, dove giorni di apparente normalità si alternano a periodi di scontri a fuoco, razzie, violenze, morti e distruzione. Una condizione ancora più insostenibile dopo l’eruzione, il 22 maggio scorso, del vulcano Nyiragongo, venti chilometri a nord di Goma e del Lago Kivu, che ha provocato oltre trenta morti e quattrocentomila sfollati che sono fuggiti in ogni direzione, tra cui Bukavu, nel Sud Kivu, il vicino Rwanda e, appunto, nel Nord Kivu. «Ora la situazione è molto fluida ma le ultime settimane sono state di forte apprensione in seguito a manifestazioni, soprattutto di giovani e adolescenti contro i caschi blu delle Nazioni Unite ritenuti non all’altezza del mandato, che a volte degenerano in conflitti e in qualche vittima», ha raccontato al giornale digitale portoghese «7 Margens». L’ostilità sempre più forte nei confronti della Monusco (la missione dell’Onu per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo) corre sui binari, ha precisato padre Gomes, delle reiterate accuse di non fare nulla per proteggere la popolazione dalla violenza dei gruppi armati che sciamano nella regione e si combattono tra loro.

Ogni attività commerciale a Butembo, città di oltre due milioni e mezzo di abitanti, è stata bandita per più di dieci giorni dai cosiddetti “gruppi di pressione”, spiega il missionario, e per tutta la notte la circolazione è vietata. «Inoltre – ha proseguito — in una riunione dei leader di questi movimenti di base, siamo venuti a conoscenza di un progettato saccheggio della nostra casa di Butembo dove sono accolti sei missionari e diciannove seminaristi che provengono da varie aree dello Stato. I rivoltosi pensano che qui siano nascosti agenti delle Nazioni Unite. Grazie a Dio, uno dei partecipanti a questo incontro è riuscito a convincere gli altri che questo è solo un seminario per religiosi. Ma noi siamo comunque un obiettivo: abbiamo sentito persone gridare “wacomboni watoke”, che in lingua swahili significa “Comboni vai via”». Tempo fa, ha aggiunto padre Claudino, si sono sentite raffiche di mitragliatrice non lontano dalla casa. Qualche isolato più in là una manifestazione è stata poi dispersa da esercito e polizia: durante la fuga, molti giovani hanno saccheggiato e dato fuoco a un ufficio della pubblica amministrazione che sorge accanto all’edificio dei comboniani fatto oggetto di un lancio di pietre. «Danno collaterale — ha osservato padre Claudino — frutto dell’enorme tensione sociale che qui si vive e che potrebbe aumentare».

Non sono solo le violenze di gruppi locali e i conflitti interetnici tra kumu, un’etnia hutu proveniente dal Rwanda, e i nande, etnia maggioritaria di origine ugandese, a rafforzare l’instabilità politica e sociale dell’area che deve fare i conti da decenni anche con i quasi quotidiani massacri e violenze attribuiti alle Forze democratiche alleate (Adf) sorte nella vicina Uganda e stanziatesi nell’area orientale congolese nel 1995 con l’obiettivo di creare uno dei tanti cosiddetti “Stati islamici”. Solo nel 2020, le Adf sono state accusate di aver ucciso più di ottocento civili sia nel Nord che nel Sud Kivu. «Il 10 aprile scorso, a Goma — capoluogo della provincia del Nord Kivu, 400 chilometri a sud di Butembo — si sono verificati diversi decessi nei conflitti interetnici tra i kumu-hutu, tutsi e nande», ha spiegato il missionario. Questi ultimi si sentono sempre più minacciati dalla crescente influenza delle etnie ruandesi, soprattutto nel capoluogo del Nord Kivu, ma anche a Mutembo e Beni, dove hanno usurpato terreni agricoli produttivi, particolarmente quelli di cacao, incendiando case e uccidendo brutalmente contadini. «Abbiamo paura che l’odio che avvolge Goma si possa estendere anche qui», è il timore di padre Claudino. «La Repubblica Democratica del Congo è molto grande ma si sta “balcanizzando”, come dicono alcuni, e sta perdendo il controllo del territorio nazionale».

La drammatica condizione del Nord Kivu ha spinto di recente il comitato permanente dell’episcopato locale (Cenco) e il vescovo di Butembo-Beni, Melchisédech Sikuli Paluku, a elevare l’ennesimo appello alla pacificazione, perché sia messa la parola fine allo stato d’assedio proclamato dal presidente congolese Felix Tshisekedi nelle provincie dell’Ituri e del Nord Kivu, e affinché cessino «conflitti armati e che causano la morte, la desolazione e lo sfollamento delle popolazioni, nella speranza di ottenere una grande mobilitazione per lottare contro le cause profonde di questa insicurezza». Tra le quali: violenze dei gruppi armati che agiscono per occupare terre, sfruttamento illegale delle risorse naturali, ingiusto arricchimento, islamizzazione raadicale della regione a dispetto della libertà religiosa: tutti fattori che hanno lasciato famiglie in lutto, provocato massicci spostamenti di popolazioni e causato una significativa perdita di proprietà danneggiando gravemente l'economia di una regione. «Abbiamo svolto già una missione pastorale a inizio anno, nell’est del Paese, in particolare nelle diocesi di Goma, Butembo-Beni e Bunia, pregando con le popolazioni e conferito con i rappresentanti di diversi strati della società» — hanno dichiarato i vescovi — per consolidare la fraternità tra i popoli e le comunità in modo che gli avversari si impegnino a prendere parte al cammino insieme». Un cammino, ha ribadito il vescovo Sikuli Paluku, fondato su «serenità e prudenza», sull’esempio di san Giuseppe nell’anno a lui dedicato.

di Rosario Capomasi