Non più schiavi, ma figli

C’è equilibrio
solo in movimento

Arcabas, «Angelo in bicicletta»
08 giugno 2021

Dal triciclo alla bicicletta avviene un salto in cui l’io si struttura e l’orizzonte si allarga. Con un’emozione che non tornerà identica in nessun’altra età, nemmeno quando ci troveremo per la prima volta liberi di guidare un’automobile. C’è infatti come un miracolo da accogliere dopo i primi tentativi, un po’ col fiato sospeso e in uno stato di perfetta concentrazione: l’equilibrio in movimento. Pedalare da soli. Qualcosa di simile ai primi passi mossi finalmente in autonomia, ma questa volta con un di più di velocità, di consapevolezza. Possiamo dire: di libertà. È infatti la prima esperienza di una tecnica che alleggerisce il corpo e proietta lontano, fuori dal recinto domestico.

Oggi si offre così al bambino ciò che in altri tempi e in altri luoghi è conquista ambita di un adulto: uno strumento per muoversi oltre il villaggio, alla volta del lavoro, di un mercato, di un amore, di persone altrimenti sconosciute o irrimediabilmente lontane. Il 25 aprile 1945, mentre gli italiani festeggiano la liberazione, papà Leonardo Martini fa ottanta chilometri in bicicletta per andare da Torino a Cuneo e annunciare al figlio Carlo Maria, novizio gesuita, la fine della guerra. Il ricordo di quel viaggio si imprime nella memoria del futuro cardinale come parabola di una gioia che urge. Felici quelle due ruote, che senza evocare traffico, rumore e inquinamento, interpretano la nostra chiamata a uscire, ad andare verso ciò che supera condizioni già date. Sintesi mirabile di creatività e di tecnologia, volto amico di una modernità che sblocca e collega i diversi, di un’era in cui star fermi è impossibile.

Lo coglie bene a metà del Novecento Madeleine Delbrêl, mistica delle periferie parigine: «“Andate...”, dici a ogni svolta del Vangelo. Per essere con Te sulla Tua strada occorre andare anche quando la nostra pigrizia ci scongiura di sostare. Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano. Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi se non in movimento, se non in uno slancio. Un po’ come in bicicletta che non sta su senza girare, una bicicletta che resta appoggiata contro un muro finché qualcuno non la inforca per farla correre veloce sulla strada». Assistente sociale, a contatto con le lotte e con l’irriverenza di una città operaia, Delbrêl tratteggia una spiritualità dinamica e sgravata della vecchia sacralità.

Sacro, nel suo vivere e nel suo scrivere, è il soffio leggero di uno Spirito che muove la Chiesa fuori da sé stessa a trovare diversamente se stessa. Impigrita, «appoggiata contro il muro» è una missione che va piuttosto inforcata e fatta correre veloce, con la fretta che fu delle donne sin dal mattino di Pasqua. La risurrezione è rottura di ogni vecchio equilibrio, rovesciamento di quanto trattiene nel sepolcro: l’urgenza di andare — l’aria nei capelli, la luce negli occhi, la velocità di chi non può esser trattenuto — fa della bicicletta ciò che nei vangeli ancora manca, il sostegno di uno slancio che porterebbe in capo al mondo.

Riconoscervi il simbolo di un’ulteriore missione può riconciliare una Chiesa anziana di storia e sovraccarica di tesori con l’epoca informale, destabilizzante e convulsa che da due secoli è iniziata. In essa tutto corre. Tutto si muove. La grazia non avrà il roboante frastuono dei motori, né delle fanfare, ma qualcosa della sobrietà silenziosa di una due ruote.

Adolescenti che sfrecciano per le vie di un quartiere e si radunano nell’angolo di un parco o della piazza; genitori con sellino anteriore e posteriore, che pedalano sussurrando emozioni ai propri figli; anziani che tornano dalla spesa o da un pomeriggio nell’orto, di quelli che — stanchi — fanno della bicicletta un appoggio più che una macchina da corsa. Il ritmo della vita è vita, desiderio, un oltre continuo. Di quest’apertura, di un’uscita grandiosa dal dominio del controllo e del già scritto, è intrisa la modernità. Dal suo interno raggiunge il cattolicesimo una chiamata all’incertezza, che prova una fede sorta in principio come appello a partire, a lasciare, a rischiare.

Scrive ancora Delbrêl: «La condizione che ci è data è un’insicurezza universale, vertiginosa. Non appena cominciamo a guardarla, la nostra vita oscilla, sfugge. Noi non possiamo star dritti se non per marciare, se non per tuffarci, in uno slancio di carità». E perché sia esplicito lo scarto rispetto a un passato da noi anche troppo rimpianto, continua: «Tutti i santi che ci sono dati per modello, o almeno molti, erano sotto il regime delle Assicurazioni, una specie di società assicurativa spirituale che li garantiva contro rischi e malattie, che prendeva a suo carico anche i loro parti spirituali. Avevano tempi ufficiali per pregare e metodi per fare penitenza, tutto un codice di consigli e di divieti. Ma per noi è in un liberalismo un poco pazzo che gioca l’avventura della tua grazia. Tu ti rifiuti di fornirci una carta stradale. Il nostro cammino si fa di notte. Ciascun atto da fare a suo turno s’illumina come uno scatto di segnali».

Liberalismo qui non è capriccio, ma più radicale obbedienza: nulla chiede tanta attenzione quanto l’avanzare su due sole ruote, in equilibrio precario, con lo sguardo in avanti e l’orecchio teso a eventuali pericoli. Minori garanzie, sentieri nuovi, incontri da osare. Per avvertire una promessa, invece che una minaccia, in tanta libertà: occorre ritornare come bambini e sperimentare la presenza di papà. È lui, a un certo punto, ad aver tolto le rotelle alla nostra piccola bici, ad aver lasciato il nostro braccio per lasciarci andare. Una madre ha talvolta troppa paura che noi cadiamo, preferirebbe farsi male al nostro posto. La Chiesa madre, però, splende di bellezza solo quando non rinnega la stima del Padre per il nostro andare e impara la sua serenità di fronte al nostro cadere. La parabola della bicicletta è quella del nostro essere non più schiavi, ma figli. Ne va quindi del vangelo allo stato puro. Nelle città europee sempre più verdi, in cui il traffico cede spazio alle piste ciclabili e tempo a famiglia e amici, il cristianesimo può tentare ancora di non farsi dimenticare. E allargare l’orizzonte.

di Sergio Massironi