Attacco jihadista nel Sahel provoca 160 morti

Strage di civili
in Burkina Faso

(FILES) In this file photograph taken on November 11, 2019, an Armoured Personnel Carrier (APC) of ...
07 giugno 2021

I morti li hanno con tati i sopravvissuti alla strage, ricomponendoli per le tre fosse comuni: 160, venti dei quali bambini.

E potrebbe non essere ancora definitiva la conta delle vittime del più feroce attacco jihadista contro le popolazioni civili del Burkina Faso degli ultimi sei anni. Da venerdì, quando si è avuta la prima notizia della tragedia di Solhan, comunità contadina nel nord-est del Paese, le notizie sono peggiorate via via che testimoni arrivavano sul posto del massacro messo a segno da squadracce armate: prima cento, poi 130, infine 160, via via che si recuperavano i corpi per la sepoltura.

L’ennesimo attacco alla popolazione è avvenuto nel cuore del Sahel, in quella zona del Burkina, a ridosso di Mali e Niger che è detta «delle tre frontiere». Dal 2015 è martoriata dagli assalti dei fondamentalisti. I morti sono stati almeno 1400, gli sfollati interni un milione. Ed anche in queste ore la gente continua a fuggire dalle rovine di Sohlan, senza portare con sé altro che la vita. Fuggono verso Sebba et Dori, agglomerati a pochi chilometri di distanza. Le loro case, il bestiame, ogni loro avere non ci sono più.

Per l’atroce ed annosa sofferenza della popolazione burkinabè ha pregato ieri il Papa all’Angelus domenicale: «Desidero — ha detto Francesco — assicurare la mia preghiera per le vittime della strage compiuta la notte tra venerdì e sabato in una cittadina del Burkina Faso, sono vicino ai familiari e all’intero popolo burkinabè che sta soffrendo molto a causa di questi ripetuti attacchi. L’Africa ha bisogno di pace e non di violenza».

Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, si è appellato alla comunità internazionale perché «sostenga uno dei suoi membri nella sua lotta contro la violenza estremista e nel suo bilancio umano inaccettabile».

Si era appena spenta l’eco di un altro massacro nella stessa regione: il villaggio di Tadaryat, era stato attaccato poche ore prima di Sohlan. I morti erano stati 14. Pochi giorni prima altre 16 persone erano state uccise in un assalto ad un villaggio ed in un agguato ad una pattuglia. Ma lo stillicidio di attacchi e sequestri va avanti da circa sei anni quando il Burkina Faso è stato a sua volta travolto dalla violenza fondamentalista che già imperversava in Mali dal 2012.

Il Sahel, fascia desertica subshariana che atraversa le «tre frontiere» di Mali, Niger e Burkina Faso, è il terreno dell’insurrezione jihadista che va avanti dal 2012 con l’invasione del nord del Mali. Ouagadougou è sembrata restarne al riparo per qualche anno. Poi la situazione è precipitata a partire dal 2015. Sul terreno di combattimento massiccia è stata la presenza della missione militare francese Barkhane. E ieri il ministro degli Affari esteri di Parigi Jean-Yves Le Drian ha annunciato una visita nella capitale burkinabè per incontrare il presidente Roch Marc Christian Kaboré: il governo locale, che ha fatto della lotta al terrorismo l’impegno sul quale è stato confermato dagli elettori, non ha i mezzi per arginare le scorribande e quello che sembra un sistematico piano di guerra contro la popolazione civile. Talvolta gli insediamenti sono difesi da volontari civili armati (i cosiddetti Volontari per la difesa della Patria). Era anche il caso di Solhan. Ma non è servito a nulla.