In Germania una casa comune per cristiani ebrei e musulmani

Luogo di confronto
contro ogni odio

Il modello del progetto definitivo della House of one
04 giugno 2021

Una casa comune per le tre religioni monoteiste, la prima in Germania, in uno dei luoghi forse più desolati di Berlino, la Gertraudenstrasse, che è parte della Bundesstrasse 1, la strada a più corsie che attraversa il centro storico della capitale come un’autostrada: sorgerà qui la House of One, un luogo di fede, preghiera, confronto e crescita per cristiani, ebrei e musulmani, di cui il 27 maggio è stata posata la prima pietra nella Petriplatz, uno slargo della grande arteria, dopo dieci anni di progettazione. La cerimonia, trasmessa in diretta streaming su YouTube, è stata posticipata dal 14 aprile per le restrizioni legate alla pandemia. Il luogo di edificazione non è staro scelto a caso: qui, nel 1350, venne costruita la prima chiesa della città dedicata a san Pietro. Secondo la volontà dei suoi sponsor — la comunità della Chiesa evangelica di Sankt Petri-Sankt Marien, il quartiere della chiesa evangelica Berlin-Stadtmitte, la comunità ebraica di Berlino, il collegio israelita Abraham Geiger nonché il Forum musulmano per il dialogo interculturale — sarà un centro dove «ebrei, cristiani e musulmani potranno convivere in modo pacifico e imparziale», come si legge sul sito che illustra il progetto. Per una scelta ecumenica, la Chiesa cattolica tedesca non è sponsor della House of One perché l’arcidiocesi di Berlino ha spiegato (già nel 2019) come i cristiani siano già ben rappresentati dalla comunità evangelica.

L’edificio, aperto anche ai non credenti, interessati al confronto, allo studio e alla riflessione, sarà a tre livelli, in mattoni, di forma cubica e avrà tre stanze di preghiera separate — una chiesa, una sinagoga orientata verso Gerusalemme e una moschea rivolta alla Mecca — oltre a una sala riunioni centrale attraverso la quale rappresentanti di altre religioni, nonché la società laica, si confronteranno. La struttura sarà alta 40 metri e al centro ospiterà un ampio cortile comune aperto a tutti i fedeli, predisposto ad accogliere fino a 380 persone. Una biblioteca, inoltre, fornirà occasione di dialogo sulle diverse confessioni e visioni del divino e il luogo di comunione sarà sovrastato da una cupola centrale. Elemento comune a tutte le sale è la luce, simbolo interreligioso ricavato attraverso tagli di diverso tipo nelle pareti dell’immobile. Il dialogo tra le religioni e la reciproca comprensione è la chiave per una convivenza pacifica sulla terra, precisano gli ideatori del progetto che sarà più avanti ampliato ad altre fedi.

L’edificazione del complesso durerà quattro anni e costerà 47 milioni di euro ripartiti tra governo federale, Land di Berlino e donazioni private. «L’idea è piuttosto semplice», ha dichiarato Roland Stolte, teologo cristiano che ha contribuito all’avvio del progetto. «Volevamo costruire una casa di preghiera e apprendimento, dove queste tre religioni potessero coesistere mantenendo ciascuna la propria identità». Sugli stessi binari di riflessione anche Andreas Nachama, un rabbino che ha partecipato alla trasformazione di questa visione in realtà, in collaborazione con il pastore evangelico George Hoberg e l’imam Kadir Sanci del movimento Hizmet, il quale ha sottolineato che «ci sono molti modi diversi per raggiungere Dio, e ognuno è un buon modo». Nella House of One, cristiani, musulmani ed ebrei pregheranno separatamente, ma si incontreranno durante festività religiose, commemorazioni e celebrazioni. «E da qui può nascere — aggiunge — lo spunto affinché le istituzioni religiose riescano a trovare nuovi linguaggi e modi per essere rilevanti e per creare collegamenti tra le persone».

Un edificio di crescita culturale, quindi, nel nome del rispetto e della reciproca conoscenza che disperde ogni diffidenza, ha rimarcato il rabbino sottolineando al contempo come la struttura sia «più di un simbolo: è l’inizio di una nuova era in cui dimostriamo che non c’è odio tra di noi». Nessun desiderio di fondere le tre religioni in una, hanno sottolineato gli ideatori del progetto, ma semplicemente voglia di reciproca conoscenza e di dialogo. Anche, però, un invito a superare il difficile periodo che si sta vivendo — contrassegnato da conflitti sociali, bellici e dalla pandemia — tramite il dono dell’incontro e dell’unità di intenti.

di Rosario Capomasi