La sfida della sicurezza alimentare

Improving rural growth is critical for equitable development across Indonesia. The Australia ...
04 giugno 2021

In un globo sempre più piccolo “diritto al cibo” e “sicurezza alimentare” si declinano in modo perfino contrastante, fino a sfiorare due estreme interpretazioni: da una parte, infatti, in materia di corretta alimentazione, si legifera con linee guida tese a ridurre l’obesità nei Paesi sviluppati, in cui occorre ripensare il consumo di cibo, poiché l’eccessiva disponibilità e un distorto rapporto con lo stesso figurano tra i maggiori rischi per la salute. Dall’altra, a livello internazionale, gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030 prevedono l’eliminazione della fame per tutta la popolazione del mondo, imponendo come prioritaria una più equa distribuzione delle risorse agroalimentari ed un accesso sicuro al cibo. Questa apparente contraddizione conferma la crescente disuguaglianza tra l’emisfero nord del pianeta e il sud: un emisfero sempre più popoloso, soprattutto dopo la crisi pandemica, che ha ulteriormente indebolito economie già depresse. «L’ambizioso obiettivo “fame zero”, raggiungibile solo mediante la cooperazione internazionale e azioni concrete dei Paesi che hanno sottoscritto reciproci accordi in tal senso, svela una realtà ancora presente in tante parti del globo» sottolinea Irene Canfora, professoressa ordinaria di Diritto Agroalimentare dell’Università di Bari, nonché autrice di oltre 150 pubblicazioni scientifiche di politica agricola, diritto agroalimentare ed agroambientale.

Eliminare la fame nel mondo implica una relazione equilibrata, e non predatoria, con il suolo, soprattutto laddove, ovvero nei Paesi più poveri, le imprese del primo mondo, spesso multinazionali, acquisiscono forniture di materie prime a basso prezzo...

Certo, perché queste sono zone dove praticare monocolture o acquisire terre coltivabili è più vantaggioso anche per i bassi costi di produzione. Per raggiungere l’obiettivo fame zero, le terre coltivate nei Paesi del Sud del mondo dovrebbero assicurare gli approvvigionamenti innanzitutto alle comunità locali, limitando drasticamente lo sfruttamento indiscriminato di risorse naturali non destinate all’alimentazione. Sul piano giuridico, le misure proposte portano l’attenzione sulle regole della contrattazione della filiera agroalimentare con i Paesi in via di sviluppo, affinché siano garantite eque relazioni contrattuali ed adeguata remunerazione dei produttori; sui meccanismi giuridici dei contratti di investimento in terre agricole, per contrastare il land grabbing, ovvero l’accaparramento di terre in Paesi economicamente deboli, disposti a cedere il fattore di produzione degli alimenti ad acquirenti stranieri. Di tale fenomeno, già nel 2019, se ne occupò Caritas Italiana.

Sul piano opposto si muovono le politiche per l’alimentazione rispondenti all’interpretazione di diritto al cibo, inteso come nutrimento sano e appropriato...

L’impressionante divergenza tra l’obiettivo “fame zero” e le politiche di lotta all’obesità è ancora più evidente, considerando che lo sguardo è rivolto soprattutto all’educazione infantile. In tal senso, preoccupano i messaggi veicolati ai minori attraverso diverse forme di pubblicità, capaci di influenzare soggetti deboli che recepiscono e assorbono immagini semplificate e dirette, non possedendo ancora la maturità per discernere le caratteristiche del prodotto.

Anche se gli aspetti della società dei consumi più preoccupanti per la salute e la sicurezza alimentare dei cittadini non si esauriscono nell’educazione nutrizionale?

Con le dovute proporzioni, il raggiungimento dell’obiettivo di sviluppo sostenibile sulla riduzione della fame interessa ormai intere fasce di popolazione anche in Paesi insospettabili: la distribuzione della povertà si registra in aree economicamente sviluppate, Europa compresa. Qui si avverte l’esigenza di intervenire, con scelte di politica legislativa, sulla carenza di alimenti e beni di prima necessità che colpisce le fasce più vulnerabili della popolazione.

Questa situazione impone un approccio più solidale e reali politiche di welfare di tutto il continente?

Un esempio sono le legislazioni sulla riduzione degli sprechi alimentari e il recupero dei prodotti invenduti o vicini alla scadenza a favore dei meno abbienti, adottate negli ultimi anni da molti Paesi, come Francia e Italia. In Italia è decisivo il ruolo delle organizzazioni del terzo settore, impegnate nel sociale, che fanno da cinghia di trasmissione tra le imprese della distribuzione alimentare e le persone vulnerabili, interpretando così nuove forme di solidarietà. Segno dell’evidente divario tra una produzione alimentare che risponde sempre più ad un modello di economia in corsa e la condizione reale di crescente povertà: tutto ciò richiede necessariamente un intervento correttivo nell’impianto legislativo, anche con un diretto coinvolgimento degli enti locali.

È quasi scontato ricordare che liberalizzazione dei mercati e globalizzazione hanno l’effetto di allargare gli scambi, ma anche di favorire la permeabilità tra i Paesi del globo. Si pensi ai flussi migratori alle soglie dell’Europa, dei quali la nostra economia si giova soprattutto per la produzione agricola, fonte primaria nella produzione di cibo.

La produzione agricola, così come il diritto agrario che la regola, scriveva Antonio Carrozza nel discorso inaugurale della Associazione Mondiale degli studiosi di Diritto Agrario «è strumento di pace e benessere sociale». Ed è attraverso le regole per garantire una produzione agricola equamente distribuita e adeguata alla produzione di cibo per tutti che si può immaginare di avvicinarsi all’obiettivo “fame zero”. E solo in questi termini si creano condizioni di sicurezza per la popolazione mondiale.

di Silvia Camisasca