Solidarietà e perdono nei giorni della pandemia

Il principio ordinatore
del mondo

 Il principio ordinatore del mondo  QUO-124
04 giugno 2021

La Madonna “che scioglie i nodi” ne ha già ammorbidito uno: la durezza. C’è più comprensione negli ambiti più umili devastati dalla pandemia, e la vita oggi pericolante è apprezzata quanto più la si sente minacciata. Torti di lunga data che opponevano gli uni agli altri si sono sciolti, lontananze che sembravano incolmabili sono sparite, certe separazioni si sono mitigate e talune divisioni sono diventate meno intransigenti. La solidarietà va a braccetto con il perdono, ed entrambi sono praticati in una misura più abbondante in questi mesi infetti.

Per tanti uomini il tempo della pandemia è stato anche quello di un coinvolgimento più sollecito e gratuito con le necessità degli altri, più incline al riconoscimento dei torti fatti e al perdono di quelli ricevuti.

La percezione appena detta, frutto dell’osservazione sul terreno, viene confermata adesso da più di una inchiesta. Nella città di Buenos Aires e nella sua sterminata provincia due persone su tre hanno affermato di aver aiutato una persona o una organizzazione che in qualche modo si prendeva cura di altri. E di questi una buona metà ha dichiarato di aver aiutato persone vulnerabili e collaborato con istituzioni impegnate con la povertà.

Un altro dato che non sorprende è che tale aiuto si è concentrato sul prossimo nel senso letterale della parola, cioè su chi vive nelle vicinanze, sullo stesso territorio in cui si risiede. Solo una minima parte, tra il 5 e il 7 per cento degli interpellati, lo ha fatto a un livello più grande — provinciale, regionale o nazionale — e meno ancora — un 2 per cento — a livello internazionale. Questo significa che il vicino, colui che si incontra nello stesso circondario, muove e commuove più del lontano.

La solidarietà poi — altro dato significativo — è stata su cose primarie, cibo, tetto, vestiario, medicine, consulenze professionali gratuite, fino alla donazione di organi, che apprendiamo aver ha registrato un robusto aumento in questi mesi di dura prova, in molti casi come ultima offerta, quella del proprio corpo, di chi non ce l’ha fatta a sopravvivere.

Nei giorni della grande paura ci sono stati anche momenti di grande perdono.

Un saggio frate argentino avvezzo al confessionale, che a suo tempo ha ascoltato i peccati del Papa suo connazionale, argomenta che: «La misericordia accetta che non io ma un altro è il principio ordinatore del mondo». E così facendo pianta nella vita «un punto di contestazione dell’egoismo, dell’affermazione di sé, una barriera al dilagare dell’intolleranza e della violenza, ma anche un principio attivo di riconciliazione».

Per questo il perdono è più mobilitante; più e più profondamente di qualsiasi autocritica o di un saggio incitamento a correggere i propri vizi. Non che l’una e l’altro non offrano beneficio a chi li pratica: un atteggiamento ironico e l’esercizio di interrogarsi, come anche l’ascolto di buoni consigli, se cordialmente ricevuti, sono indice di un animo malleabile. Solo che il perdono e la correzione sono due cose diverse, appartengono ciascuna a due differenti movimenti dell’animo. L’efficacia del perdono è superiore agli esiti migliori della fatica del ravvedimento.

di Alver Metalli