Multilateralismo

A rischio la salute
di chi lavora 55 ore
la settimana

 A rischio la salute  di chi lavora 55 ore la settimana   QUO-124
04 giugno 2021

Il lavoro nobilita l’uomo ma lavorare troppo danneggia la salute. Oltre il 9 per cento della popolazione mondiale lavora oltre 55 ore a settimana e il numero è in aumento con grave rischio di disabilità lavorativa o morte prematura.

Il covid, poi, tra gli altri danni che ha provocato, ha anche allungato l’impegno lavorativo visto che il telelavoro, diventato la norma in molti settori, ha sfumato i confini tra casa e lavoro. Inoltre, molte aziende a causa della pandemia sono state costrette a ridurre il personale e chi è rimasto ha finito per vedere allungarsi l’orario di lavoro. Una realtà con cui bisognerà fare i conti ora che il mondo sta faticosamente ripartendo.

A mettere in guardia dai pericoli del troppo lavoro per la salute umana è uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), stilato in collaborazione con l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil).

Secondo l’indagine, che raccoglie i dati di 37 studi sulle malattie cardiache ischemiche per un totale di 768.000 casi e 22 studi sull’ictus con 839.000 partecipanti, secondo le informazioni offerte da 154 Paesi, lavorare più di 55 ore a settimana rappresenta un grave rischio e un aumento della mortalità legata alle malattie cardiache e alle patologie vascolari e cerebrali.

Secondo i dati forniti da Oms e Oil, nel 2016 sono state oltre 745 mila le persone morte per il troppo lavoro, di cui 398 mila vittime di un attacco cerebrale e 347 mila per patologie cardiologiche, che risultano aumentate del 40% dal 2000. Secondo lo studio dunque tra il 2000 e il 2016 il numero di vittime causate da cardiopatie dovute alle troppe ore di lavoro è aumentato del 42%. «Per nessun lavoro vale la pena di correre il rischio di un ictus» ha dichiarato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms. «Lavorare oltre 55 ore a settimana rappresenta un grave danno per la salute» ha detto ancora Maria Neira, direttrice del dipartimento ambiente e salute dell’Oms, secondo cui le ischemie cardiopatiche sono in continua crescita.

Governi, datori di lavoro e lavoratori devono dunque impegnarsi «per concordare limiti per proteggere la salute dei lavoratori» ha detto il capo dell’agenzia sanitaria globale delle Nazioni Unite, secondo cui nel mondo un operaio su dieci fa fronte a settimane lavorative superiori a 55 ore, per un totale di 488 milioni di persone. E i dati ci dicono che a rimanere vittime del troppo lavoro sono in prevalenza gli uomini, in quasi tre quarti dei casi (72% dei decessi), di età compresa tra i 60 e i 79 anni, con alle spalle 55 ore o più di lavoro alla settimana quando avevano tra i 45 e i 74 anni.

Le aree più a rischio sono il Pacifico occidentale e il sud-est asiatico mentre il fenomeno è meno sentito nel Nord America e in Europa. Dunque il numero di ore di lavoro è responsabile di un terzo delle malattie osservate nell’attività professionale, e la minaccia alla salute cresce con gli effetti indiretti del fumo, dell’alcol e della mancanza di attività fisica.

Lo studio delle due organizzazioni delle Nazioni Unite conclude che lavorare 55 ore o più alla settimana è associato a un aumento stimato del 35% del rischio di ictus e a un aumento del 17% del rischio di morire di malattie cardiache ischemiche rispetto all’orario di lavoro da 35 a 40 ore settimanali. «È tempo che tutti i governi, i datori di lavoro e i dipendenti riconoscano finalmente che troppe ore di lavoro possono portare a morti premature» per questo Oms e Oil chiedono ai governi di vietare gli straordinari obbligatori e di fissare limiti massimi per l’orario di lavoro.

Le due organizzazioni delle Nazioni Unite invitano inoltre ad adottare criteri di maggiore flessibilità, come la possibilità di distribuire più equamente l’orario di lavoro tra i dipendenti perché la settimana lavorativa non duri all’infinito. Un po’ come recitava lo slogan degli anni ’70: «Lavorare meno, lavorare tutti».

di Anna Lisa Antonucci