Homo ludens

Spazio fatato
e sospensione della vita

Un dettaglio da «La nave dei folli» di Hieronymus Bosch (1494)
02 giugno 2021

Un mistero al crocevia tra filosofia, storia, psicologia e matematica


Magico e pericoloso, il gioco può essere entrambi. Spazio fatato entro il quale sospendiamo i modi della vita quotidiana, “oasi della gioia” come lo definisce il filosofo Eugen Fink in un saggio del 1957, il gioco nasconde anche un lato oscuro, inquietante, squilibrante perché rischia di annullare il rapporto col reale e produrre dipendenza. Il gioco crea uno spazio artificiale coerente e chiuso, senza finalità determinata e senza tempo, ma proprio questo rappresenta al contempo un’opportunità e un rischio.

Il giocatore d’azzardo evoca un senso di sregolatezza, il pericolo di una vertigine che trasgredisce e mette in scacco, come l’immagine di un volto deformato in un quadro di Bosch.

Soltanto Roger Caillois ha saputo cogliere questa tragica ambiguità del gioco. Nessuno come lui — nonostante il concetto di gioco sia stato uno dei più usati e ri-usati dalla filosofia contemporanea (Gadamer, Wiittgenstein, Benjamin) dalla storia (Huizinga) dalla psicologia (Winnicott) o dalla matematica (la teoria dei giochi di Nash e Von Neumann) — ha saputo cogliere l’enigma del gioco: Possiamo ridurre il gioco a un’idea unitaria? Nel suo I giochi e gli uomini (1958) Caillois traccia una tipologia che riconosce quattro forme: l’agon (la competizione), l’alea (il caso: la roulette, la lotteria, etc.), la mimicry (l’imitazione) e l’ilinx (la perdita di coscienza, lo smarrimento). Tuttavia «queste designazioni non esauriscono ancora l’intero universo del gioco» ma «lo dividono in quadranti ciascuno dei quali è governato da un principio originale». I quattro quadranti si trovano in uno spazio tensionale definito da due principi opposti e complementari, quelli che Caillois chiama la turbolenza e la regola. L’equilibrio è difficile.

Caillois mostra che, nelle sue diverse forme, il gioco affonda le sue radici nella storia umana e, in particolare, nella dimensione del sacro. Moltissimi giochi derivano da antiche pratiche religiose, dalle quali poi si sono separati. Il gioco riproduce la tensione, tipica del sacro, tra tremendum e fascinans, tra il sacro opprime e terrorizza e il sacro che affascina, attrae e libera. «L’aquilone — scrive Caillois — prima di diventare un gioco in Europa, verso la fine del xviii secolo rappresentava nell’Estremo Oriente l’anima staccata, esteriore, del suo proprietario rimasto a terra, ma collegato magicamente alla fragile armatura di carta abbandonata ai vortici dei venti». Attraverso il sacro, il gioco entra in società e ne diventa un elemento determinante. E allo stesso modo del sacro, il gioco richiama tante dimensioni diverse come la maschera, il simulacro, l’eccitazione, l’illusione, l’affidarsi cieco alla fortuna, la socialità, la condivisione o il dono.

Con il suo occhio lucido e rigoroso, Caillois ribalta lo schema di Huizinga: non è la cultura a derivare dal gioco, ma il contrario. Il gioco nasce dalla cultura, è quindi l’espressione di una cultura e di una società, ma allo stesso tempo è anche l’espressione di una distanza possibile, di un margine, di una libertà speciale rispetto al dato grezzo, alla crudezza del fatto, al realismo più duro all’interno di quella cultura e di quella società — “lo spirito di serietà” come lo definisce Petitdemange nella voce scritta nel 1967 per il Dictionnaire de spiritualité delle edizioni Beauchesne —. Il gioco allora rappresenta un “fuori” assoluto rispetto a ogni mondo precostituito. Se — come scrive Petitdemange — la cultura è un equilibrio tra necessità e libertà, il gioco è superiore e anteriore rispetto a ogni possibile cultura. Superiore e anteriore, direbbe Caillois, non significa però necessariamente buono e creativo.

La riflessione di Caillois si fa ancor più pregnante oggi, in un mondo nel quale l’industria dei videogiochi è in costante crescita. Nel 2020 il fatturato mondiale dei videogiochi (159 miliardi di dollari) ha superato quello dell’industria cinematografica (150 miliardi). Un aumento di oltre il 9% in un solo anno. Dominio del virtuale? L’illusione si fa sempre più autonoma, pervasiva, capace di influenzare e manipolare ogni parte della vita dell’utente, finanche la sua immaginazione? Non a caso l’analisi dell’ilinx resta il punto centrale della teoria del gioco di Caillois. L’uomo non è padrone del suo gioco e, se non è consapevole di questo, rischia di restarne vittima. «Due sole categorie di giochi sono realmente creative: la mimicry, nel connubio maschera-vertigine; l’agon, in quello della rivalità regola-fortuna. Le altre si rivelano ben presto devastatrici in quanto manifestano una forza di eccitamento smisurata, disumana, fatale, una sorta di spaventosa e funesta attrazione, di cui bisogna neutralizzare la seduzione».

di Luca M. Possati