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Il libro che ascolta chi non ha voce

Quelle due bambine
rifiutate dal mondo

 Quelle due bambine  rifiutate dal mondo  letteratura, cultura  e musica del 2011   QUO-122
01 giugno 2021

«La valle delle donne lupo» di Laura Pariani


La “sciura” milanese sale nelle valli dell’Alto Piemonte con il suo registratore. Attraversando un paese deserto dal silenzio assordante («una piccola Pompei di montagna»), la ricercatrice vuole intervistare la Fenísia, di cui le hanno tanto parlato. Nata nel 1928, la donna ha sempre vissuto al Paese Piccolo, prima con la sua famiglia di “sotterra morti”, ora nella solitudine più assoluta. La storia che si dipana è, insieme, meravigliosa e atroce.

Compie dieci anni La valle delle donne lupo (Einaudi 2011), splendido libro in cui Laura Pariani racconta un mondo aspro, duro e inclemente, specie per chi ha avuto la disgrazia di nascere femmina. È il caso di due cugine, la Fenísia e la Grisa, due bambine che stanno sempre insieme: giocano, fanno i compiti, leggono ad alta voce nel loro rifugio segreto, scoprono il mondo, la natura, le lupe, le regole terribili della comunità in cui vivono e, soprattutto — incarnazione di tutto —, scoprono «il prato delle Balenghe». Si tratta di un posto appartato, poco discosto dal cimitero, dove nei tempi antichi venivano sepolte, senza croce o lapide, le donne ammazzate perché colpevoli di aver in vario modo infranto la legge della comunità. Nel racconto, vi sono pagine di una violenza disumana contro di loro, pagine in cui odio, ignoranza e misoginia si mescolano, nella durezza comunitaria senza spiragli.

Perché — e le due bambine lo impareranno subito — è impossibile farsi capire da un mondo che ragiona in modo del tutto diverso; un mondo gretto che nulla tollera. E così, a soli 14 anni e 3 mesi, la Grisa («un bisquí di sette bellezze») verrà fatta internare dal padre in manicomio per aver osato ribellarsi al genitore violento. È il 2 febbraio 1946. Mentre la ragazzina affronterà dal suo carcere-psichiatrico ogni genere di tribolazione, nel carcere di fuori — tra maldicenze e violenze varie — alla Fenísia resteranno solo le lupe a farle compagnia («l’ha mai udito l’ululato di un lupo, la sciura? La Fenísia le conosce tutte, nome per nome, tana per tana. Tutte femmine, tutte solitarie, ché chi più s’abbranca meno stringe. E tante volte lei, soprattutto certe sere d’autunno quando la brutta stagione si approssima e le notti si fanno lunghe, le chiama e ci parla a tuppertù»).

Man mano che l’anziana donna si lascia andare ripercorrendo il racconto della sua vita e della sua comunità (Pariani ricostruisce la voce della Fenísia facendo un uso interessantissimo della lingua), è lei stessa quasi sorpresa di quello che ascolta: «Le pare che la sua vita acquisti forma mentre racconta». Per la forestiera comprendere quello che la Fenísia dice risulta abbastanza difficile; non è solo per il dialetto montanino che l’anziana usa, «ma soprattutto perché il fondale su cui si svolgono i racconti è dipinto a immagini primitive — fame, fatica, odore di neve appena caduta, credenze superstiziose — poco comprensibili per chi è nato fuori dalla valle e in un’altra epoca. Di sicuro la sciura milanese si stupisce come una persona, additata a fondovalle come scontrosa per non dire misantropa, sia capace di aprirsi a un’estranea: quella che per gli abitanti del Paese Grande è solitudine arcigna, trabocca in un fiume di storie».

L’unico sprazzo di luce in tanta violenza e sopraffazione sembra arrivare con la legge Basaglia. Da quando il padre è morto, la Fenísia va regolarmente a trovare la cugina in manicomio. Il medico con cui parla è gentile: alle sue domande, risponde sempre che la Grisa «prosegue invariata». Le hanno provate tutte con lei, «ma anche la chimica recente non può fare prodigi». Siccome la cugina insiste, gliela fanno vedere: la Grisa sorride e non sembra affatto pericolosa, come lei si aspettava dai racconti. «Alla Fenísia i discorsi della cugina non sembrano così sconnessi come paiono ai medici: il fatto di sentire negli orecchi voci di altri è un’esperienza che anche lei fa: qualcosa di inquietante ma non “da matti”». Sembra che tutto sia destinato a rimanere così, invece dopo qualche anno arriva la chiusura dei manicomi: la Fenísia è decisa, «testardamente decisa a firmare tutte le scartoffie certificatizie del mondo pur di riportare la Grisa a casa».

E così, sorprendentemente, le due cugine riprendono la loro vita insieme. Al posto delle due bambine curiose, ci sono ora donne provate dalla sofferenza e dagli anni, eppure è rimasto tutto come allora. La Grisia, ad esempio, ha ancora la passione di aggiustare e inventare cose: nel capanno degli attrezzi, a fianco alla legnaia, ha installato una specie di laboratorio («c’è presèmpio la macchina per non fare volare via le parole e i pensieri: una specie di passamontagna di lamiera da infilarsi intorno al capo. Ché la Grisa è molto preoccupata della possibilità che qualcuno le entri nella testa e la derubi dei propri pensieri. La sua speranza è di riuscire a fabbricarsi una testa nuova»). E tra le cose che le cugine si ritrovano a fare insieme, come tanti anni prima, c’è l’abitudine di leggere insieme qualche pagina a voce alta. «Dei pochi libri che stanno in casa, il preferito è la Bibbia».

Di nuovo, però, irrompe l’odio. E così la Fenísia si trova ancora violentemente privata della Grisa a causa dell’incomprensione, delle maldicenze, della maledizione di essere nate femmine. Questa volta, però, la separazione sarà definitiva. La becchina Fenísia — che sa che «i morti del Paese Piccolo non sarebbero una buona compagnia per una che da piccola fuggì nel bosco: ché chi ha bevuto latte di lupa sarà lupa per sempre» — seppellisce la cugina nel prato delle Balenghe, «ché il pendio in cui nei secoli sono state seppellite le donne ribelli è terra più che sacra». Ed è lì che andrà a coricarsi anche lei quando capirà che è giunto il suo giorno.

È un racconto meraviglioso e duro, La valle delle donne lupo. È il racconto della vita e della morte, dell’esistenza delle donne, della fatica di essere controcorrente, di pensare, di amare, di farsi comprendere. Tutto, però, in un mondo reso ancora più aspro e inclemente dal fatto che c’è una enorme mancanza. Quello della Fenísia e quello che racconta la Fenísia, infatti, è un mondo senza perdono. «Per non sbagliare non bisognava nascere».

di Giulia Galeotti