«La signora delle Fiandre» di Giulia Alberico

Il sogno
di Margherita d’Austria
naufragato sugli scogli

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31 maggio 2021

Ha lasciato il suo nome a ville, palazzi, a Roma e non solo; un paese del Lazio, in provincia di Roma, l’antico Castrum Sancti Angeli si chiamerà Castel Madama in suo onore, e dal 1538, data del suo ingresso, celebra un Palio della Regina a lei dedicato: eppure pochi conoscono la sua vita. Ora però è possibile finalmente leggere un ritratto di Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo v (la madre era Jeanne van der Gheynst, nata, come Margherita, a Oudenaarde, nei Paesi Bassi spagnoli, oggi Belgio) grazie a La signora delle Fiandre (Milano, Piemme, 2021, 256 pagine, 17,50 euro) di Giulia Alberico.

È un libro che consigliamo a tutti, perché da una parte contribuisce alla riscoperta di una figura femminile che ha avuto un ruolo non secondario nella politica — e nel costume — dell’Europa intera del xvi secolo, dall’altra ci permette di vivere con gli occhi della protagonista la storia della realizzazione di un sogno, quello della rifondazione del sacro romano impero, sogno poi naufragato sugli scogli, prevedibili, delle resistenze papali, francesi, riformate, e imprevedibili, come la scelta del creatore di quell’impero di ritirarsi presso il convento spagnolo di San Jeronimo di Yuste.

Un secolo di storia scorre di fronte ai nostri occhi: le vittorie dell’imperatore, i suoi amori e i figli naturali come Margherita che saranno però riconosciuti e dotati di potere reale, il rafforzarsi delle resistenze della Riforma che poggiavano non solo sugli elementi religiosi, ma sul desiderio della attiva borghesia delle Fiandre di acquisire un maggior potere economico e strategico, si incontrano con le aspirazioni al ritorno ad un cristianesimo meno legato al potere politico e più attento alle radici evangeliche. La vita di Margherita, tra Fiandre, Roma, Civita Ducale, Parma, L’Aquila, Ortona si incontra con i percorsi di Ignazio di Loyola, oggetto dei sospetti all’interno della Chiesa di Roma e più volte inquisito, di Erasmo e della riscoperta, iniziata il secolo prima, del platonismo, con le figure di Bernardino Ochino, di Michele Serveto e del suo supplizio in territorio riformato, dei Papi Clemente vii e Paolo iii , offrendoci un quadro d’insieme davvero convincente.

La stessa indagine psicologica, non solo della protagonista, ma anche delle figure che si affacciano nella sua vita, se da un lato è riconducibile ad una visione contemporanea di ciò che è stato cinque secoli fa — ed è un effetto prospettico inevitabile, come lo stesso imperatore Adriano di Marguerite Yourcenar insegna — dall’altro pone problematiche che i percorsi storici, soprattutto quelli scolastici, spesso e volentieri eludono. Il pregio di La signora delle Fiandre è quello della naturale fusione di storia, riflessione nel dopo, sentimento, senza che alcuna di queste componenti appaia come separata dal resto. In questo modo le riflessioni della protagonista sull’amore, sempre sfiorato ma mai davvero incontrato per le regole di corte e gli eventi, sugli affetti familiari costretti ad ambigue torsioni dalla predestinazione attuata dai calcoli delle strategie imperiali, le umane empatie e le idiosincrasie non sono calate da una meccanica ricostruzione autoriale: psicoanalisi, metodi biografici, indagini storiche sono tutt’uno con la conoscenza del cuore umano, che, come dimostra questo racconto, non è razionalizzabile con alcuna di quelle componenti.

L’identità femminile della protagonista apparentemente è abbandonata alla deriva del destino di potere — «essere femmina per me era un dato di secondaria se non nulla importanza» — dice di sé la signora, ma in realtà tutta la storia è attraversata dal sottile filo rosso di una femminilità che si interroga su se stessa, sul proprio destino imposto e non scelto. E soprattutto sull’enigma, per lei, della scelta di suo padre, l’imperatore i cui confini non conoscevano tramonto, di abbandonare quel potere così ostinatamente, ferocemente perseguito per ritirarsi in un monastero. Il fatto che egli abbia continuato a seguire da Yuste gli eventi, cosa di cui Margherita sembra qui non aver conoscenza, non cancella quell’enigma, che aleggia con le sue inquietanti possibilità di soluzione in tutta la storia della signora delle Fiandre.

Quella femminilità apparentemente rimossa diviene qui la percezione dell’altro. Un altro che fa capolino inquietamente attraverso i volti degli uomini che avrebbero potuto essere amati se fosse stata una donna come tutte le altre, o con la profondità del silenzio dello “scrigno verde” della grande madre regnante sulle montagne e i boschi degli Abruzzi, o grazie proprio a quella scelta apparentemente periferica di Ortona, ai margini di quell’impero in cui Spagna e Fiandre formavano la spina dorsale eurocentrica. Scelta che, lascia intuire il racconto, ha a che fare con la ricerca dello spazio personale, il margine, il confine a due passi da quel silenzio agognato e alla fine raggiunto dal padre imperatore e dalla mai vissuta madre Jeanne. E sempre corteggiato dalla signora delle Fiandre.

di Marco Testi