Un processo sinodale esige di ascoltare e coinvolgere tutti i protagonisti della Chiesa

Il prete non esiste
fuori dalla comunità

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31 maggio 2021

Dall’ultimo numero di «Vita e Pensiero», bimestrale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, riprendiamo stralci di un testo a firma della suora sotto-segretario del Sinodo dei Vescovi.

Cos’è questa sinodalità di cui si parla sempre più oggi come asse centrale del pontificato di Papa Francesco e dell’attuale riforma della Chiesa che sta portando avanti? Per comprendere in cosa consista l’urgenza di sviluppare una Chiesa più sinodale, ovvero — secondo l’etimologia della parola sinodo, «camminare insieme» — una Chiesa dove tutti, laici, pastori, vescovo di Roma, camminano insieme, bisogna prendere le misure della posta in gioco di questa riforma della Chiesa. Riforma resa ancora più necessaria e urgente a seguito della crisi degli abusi sessuali, di cui scopriamo sempre più l’ampiezza, fatto che richiede un vero cambiamento per fare della Chiesa una casa sicura, sradicando ogni forma di abuso. La scoperta della dimensione sistemica di questa crisi e la sconfitta evidente dell’istituzione ecclesiale, nel corso degli anni, nel denunciare e prevenire non solo gli abusi su minori, ma anche ogni sorta di abuso di potere che spesso ne sono all’origine, insieme alla fine di un certo cristianesimo sociologico, tutto questo obbliga oggi la Chiesa a riscoprire e riconoscere umilmente la propria fragilità e la propria dimensione di peccatrice. Questa dinamica chiama la Chiesa a riesaminare le proprie strutture, i processi e le modalità di esercizio del potere al fine di riuscire a trovare cammini nuovi per ritrovare una più grande credibilità. E grazie a ciò, la sua capacità per meglio realizzare la propria missione, con essa autenticamente coerente. A questo scopo una visione globale della Chiesa, vista come una Chiesa sinodale, al contrario di una Chiesa clericale, può aiutarci a intravedere il cammino da prendere per rispondere a questa vocazione missionaria di annunciare il Vangelo a tutti. Bisogna far emergere insieme una nuova forma di Chiesa, e insieme di testimoniare Cristo nella cultura e nelle condizioni concrete delle nostre società secolarizzate e pluraliste.

La sinodalità può essere considerata oggi come una maniera di essere e di agire nella Chiesa che favorisce la partecipazione di tutti i battezzati e delle persone di buona volontà nel quadro di un processo di discernimento che favorisce la corresponsabilità e la comunione al servizio della missione. Questo si traduce con il gesto del “camminare insieme” in una Chiesa pellegrina, una Chiesa in movimento, una Chiesa del popolo di Dio, dove ciascuno possiede una voce, viene ascoltato e prende parte attiva, qualsivoglia sia la sua età, il suo sesso o il suo stato di vita. Nella visione di Papa Francesco, la sinodalità è ugualmente legata alla nozione di conversione pastorale della Chiesa e alla valorizzazione della nozione di popolo di Dio, tema-chiave del suo pensiero teologico. Egli si ispira a una teologia venuta dall’America latina che vede il popolo come entità dinamica che si costruisce attraverso un complesso insieme di interazioni personali; il popolo diventa il vero soggetto della storia, attraverso l’elaborazione di una cultura che gli è propria. Per Papa Francesco, come lui stesso ha affermato nell’intervista ad Antonio Spadaro apparsa nel settembre 2013 su «La Civiltà Cattolica», «l’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen gentium al numero 12. L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare. Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori». Papa Francesco articola i due elementi chiave della teologia del popolo di Dio e della conversione pastorale per esprimere che il solo modo per la Chiesa di sbarazzarsi dei mali del clericalismo, e dunque riformarsi, è il coinvolgimento di tutti i fedeli.

Questa visione dinamica e inclusiva della Chiesa ci fa dunque uscire da un modello puramente gerarchico. Ci invita a guardare alla Chiesa non in maniera statica, come a una fotografia che si fissa su un momento X, ma in modo dinamico e diacronico — come una realtà incarnata, concreta e dunque evolutiva. La sinodalità ci permette di intravedere una Chiesa in movimento, che si muove, tramite un approccio che integra la dimensione del tempo e della storia. La sinodalità è un processo, un cammino aperto che si dispiega nel tempo. Questa visione sinodale presenta la Chiesa nella sua dimensione storica, in uno stato di permanente nascita, in un processo di riforma sempre in atto. Ci fa percepire l’identità della Chiesa come una comunione organica, come un’identità dinamica, non statica. Si tratta di un’identità relazionale, nella comunione radicata nel mistero trinitario e in quello eucaristico. Questa identità di Chiesa in relazione con il popolo di Dio, che cammina in mezzo ai popoli del mondo, si manifesta attraverso il concetto di sinodalità come una Chiesa in pellegrinaggio, in emergenza, in genesi permanente. Ovvero una Chiesa che prende in carico le persone, partendo dalla base verso l’alto, in un approccio generativo che vede la Chiesa costantemente rinascere e reinventarsi, restando sempre la stessa, fedele a quella che è dall’origine. E questo tramite l’azione dello Spirito che crea la novità nella continuità. Questo approccio, capace di percepire e di rappresentare la Chiesa in un mondo mobile, liquido e in cambiamento, è fonte di ispirazione particolare per pensare e vivere la Chiesa in questo tempo di crisi e di identità. Infatti, la sinodalità designa un modo di essere e di lavorare nella Chiesa — giovani e anziani, laici, consacrati e preti, uomini e donne — nel quale esistano l’ascolto reciproco, la condivisione e il discernimento, per arrivare a individuare insieme delle scelte pastorali da assumere di fronte alla crisi e ai bisogni del mondo in una realtà sempre cangiante.

Una Chiesa sinodale è una Chiesa relazionale dove tutto il popolo di Dio cammina insieme, dove tutti, battezzati discepoli missionari, qualsivoglia sia la loro vocazione e la loro posizione, si ritrovano nell’interdipendenza e nella mutualità. Il prete non esiste, dunque, fuori dalla comunità. Non è separato dalle persone presso le quali esercita il suo ministero. Quando diamo priorità alla vocazione battesimale, non possiamo più separare clero e laici, come fa il modello clericale. Il pastore è colui che in qualche modo «rappresenta» la comunità di cui fa parte. Tutti insieme sono chiamati ad essere una comunione in missione animata dallo Spirito Santo, una comunità missionaria dove ciascuno partecipa al discernimento. Da qui deriva il fatto che le decisioni pastorali dovrebbero essere prese nell’ambito di processi sinodali che esigono di ascoltare e coinvolgere tutti i protagonisti nella ricerca di un consenso. Il ministro che conduce e accompagna il processo sinodale assume la decisione finale a partire da tutto questo lavoro spirituale di ascolto e di discernimento. Questa maniera di elaborare insieme le decisioni può esser compresa attraverso la nozione importante di conspiratio, per usare un termine latino (etimologicamente, «respirare insieme», «essere animati dallo stesso spirito»), che possiamo tradurre con la parola «cospirazione» nel senso di unione. Nozione che, secondo le parole del teologo John Henry Newman, si può comprendere come «un respiro comune dei fedeli e dei pastori».

di Nathalie Becquart