PER LA CURA DELLA CASA COMUNE
Reportage dalla regione dell’Argentina dove la deforestazione colpisce più che in Amazzonia

Il Gran Chaco
e i frutti del Paraíso

 Il Gran Chaco e i frutti del Paraíso  QUO-121
31 maggio 2021

La “4x4” si inoltra nell'intricata macchia boscosa, i rami spinosi e ritorti sfiorano la carrozzeria ed i vetri, la terra — sottile come il talco — si sgretola e si alza al passaggio delle ruote, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere. Poco più avanti una chuña — un uccello corridore che sembra il “Beep Beep” della Warner Bros — saltella agile e si perde nell'intricato labirinto di cactus e rovi tipico della regione. Siamo nel secondo polmone verde più grande d'America, il Gran Chaco, pochi chilometri a sud della località Los Blancos, Provincia di Salta, Argentina.

ll Gran Chaco è una delle zone più povere dell'America Latina, in molti aspetti simile all'Africa profonda, un polmone verde, culla di decine di culture indigene, oggi minacciate dalla deforestazione. Secondo un rapporto del Wwf del 2021 sullo stato delle foreste del mondo, è la seconda regione con il più alto tasso di deforestazione del pianeta, ancor prima dell'Amazzonia. I numeri sono impressionanti, in soli 7 anni ha perso 4 milioni di ettari, caduti sotto i cingolati dei bulldozer per essere trasformati in latifondi di soia e pascoli. In questa parte del Chaco sopravvivono comunità di indios wichi, famosi per la loro abilità nel realizzare tessuti con la fibra di “chaguar”, una pianta della famiglia delle bromelie e per la loro capacità di ricavare rimedi naturali dalle essenze erbacee che raccolgono nei boschi. La deforestazione distrugge il mondo dal quale originano e si alimentano.

Si può ancora salvare molto, ma bisogna fare in fretta. Nei pressi della Finca El Paraiso, c'è un paraje (un piccolo gruppo di capanne) che, per le strane coincidenze della vita, si chiama La Salvación. E, chissà, è proprio il cielo che ha voluto che questo piccolo angolo di paradiso verde, 4000 ettari di foreste e lagune, fosse donato in eredità all'Università cattolica di Salta (Ucasal) circa 40 anni fa. Nella finca vivono oggi 5 famiglie di allevatori creoli che assieme al team di esperti ricercatori dell'università e a “Museo Verde”, hanno avviato da alcuni anni un ambizioso progetto di cercare di vivere in armonia con l'ambiente e combattere allo stesso tempo la fame e la povertà. Nato da un'idea di Gherardo La Francesca, il Museo Verde è una giovane associazione con un obiettivo preciso: aiutare a promuovere e conservare le culture indigene del Gran Chaco americano. È per questo che durante gli ultimi anni ha promosso la creazione di piccoli musei in 5 distinte comunità di Argentina e Paraguay. Da alcuni anni promuove collaborazioni internazionali per promuovere attività legate allo sviluppo sostenibile nella regione. È in questa ricerca di alternative economiche alla deforestazione che ha conosciuto il lavoro della Ucasal nella Finca El Paraíso. L'Università Cattolica di Salta ed il Museo Verde, dunque, utilizzeranno questo territorio come un grande laboratorio a cielo aperto, per sperimentare un modello di sviluppo sostenibile che possa essere replicato nel resto della regione. Don Picciu, l'anziano padre di Lucas, un ragazzo nato nella Finca e che oggi collabora con l'Università, non ha dubbi: “Bisogna unire gli sforzi”.

L'impresa non è facile: bisogna individuare attività economiche competitive con la coltivazione intensiva della soia, che siano alla portata delle comunità locali. Si parte da una situazione svantaggiosa, in quanto occorre recuperare un terreno eroso da decenni di pratiche agricole insostenibili e irrazionali. In tutta la regione, l'estrazione sregolata del legname dei boschi e l'eccessiva presenza di bestiame, hanno contribuito alla compattazione e salinizzazione del suolo, rischiando di trasformare questa zona in un deserto.

La mancanza di risorse ha accentuato le tensioni locali: le comunità indigene e creole competono per la terra, ed entrambe si vedono espulse dalle multinazionali che vengono qui a comprare migliaia di ettari di terra a prezzi irrisori. Una trappola che si stringe attorno al destino di tutto il Gran Chaco.

Ma la natura, la pachamama come è chiamata qui, cura le ferite con l'amore e la pazienza di una madre. E così, laddove ieri c'era una superficie brulla ed erosa, oggi sta sorgendo lentamente un bosco, cicatrizzando le ferite e rimediando agli errori degli uomini. La Finca è stata infatti identificata come sito privilegiato per il recupero del “Palo Santo”, una specie arborea in pericolo, oggi protetta dal Cites iii (la Convenzione sul commercio internazionale delle specie in pericolo della fauna selvaggia e della flora). Fornisce un legname durissimo, con stupende venature verdi bluastre, che lo fanno assomigliare all'alabastro vegetale. E non è l'unico, i boschi che si rigenerano nella regione, fissando l'anidride carbonica dell'atmosfera, regalano quebrachos colorados y blancos, itines, algarrobos, urundeles, palos amarillos, tutti legnami preziosi e poco conosciuti.

Con l'aiuto della scienza, calcolando con cura il carico massimo e controllando la rotazione del bestiame con recinti e abbeveratoi, all'ombra del bosco che sta crescendo, si possono recuperare anche i vecchi pascoli perduti. Nel frattempo milioni di api lavorano ininterrottamente impollinando piante e alberi. Il Chaco infatti è il regno perfetto per il miele. Il clima caldo, con fioriture durante tutto il corso dell'anno, permette di produrre fino a 80 chilogrammi di miele per arnia, ma la zona nasconde anche un altro segreto: accanto alle api comuni (le “europee” come le chiamano qui) lavorano almeno altre 8 specie di api native che non hanno pungiglioni. Il loro miele, sebbene prodotto in minore quantità rispetto alle “colleghe europee”, ha eccellenti proprietà curative, una medicina ancestrale custodita dalle popolazioni indigene e ancora poco conosciuta dal mondo scientifico, così come molte specie animali dell’area. Mauricio Nuñez Regueiro, biologo dell'Università, sta conducendo il monitoraggio della fauna nella tenuta. Le foto-trappole posizionate nella foresta mostrano volpi, charatas, conejos de los palos. Ma gli animali avvistati sono tantissimi. Nuñez Regueiro, con orgoglio, racconta di aver rilevato attraverso le macchine fotografiche automatiche anche una femmina di puma che si aggira con il suo cucciolo, segno che il luogo è accogliente per questa specie (pazienza per alcune capre che spariranno ogni tanto…)

Tutti questi animali, soprattutto gli uccelli, assieme ai paesaggi offerti dal fiume Bermejo che con le sue acque color ruggine, cariche di detriti delle Ande, attraversa lentamente la pianura del Chaco nei suoi più di mille chilometri di curve, rappresentano un enorme potenziale per il turismo responsabile e gli appassionati di natura.

A pochi chilometri da El Paraiso, nella località di Morillo, funziona poi il Tepeyac del Equipo Nacional de Pastoral Aborigen Católica, un centro di volontariato che aiuta le popolazioni indigene della zona. Qui funziona una piccola sala sperimentale per la produzione di farina d'algarrobo blanco, un albero che il popolo wichí ha sempre considerato una benedizione venuta dal cielo, dato che le sue carrube, dolcissime e con un vero concentrato di nutrienti, ha permesso durante i millenni agli indigeni di superare i mesi più duri dell'anno. Questo alimento, considerato per anni un alimento da "selvaggi" e per questo trascurato dai bianchi, si sta imponendo oggi nelle tavole più raffinate dell'Argentina per le sue eccellenti proprietà. Antonio, che collabora con la Ucasal nella Finca, spiega che c'è ancora molto strada da fare: alcune industrie argentine infatti producono biscotti con farina d'algarrobo, ma invece di usare quella locale, importano dall'Europa una farina di carruba che non ha nulla a che vedere con l’algarrobo e che ha un sapore molto più amaro e qualità nettamente inferiori alla carruba del Chaco. La speranza è che presto il mondo scientifico riesca a valorizzare questo prodotto che, oltre a combattere la fame, potrebbe contribuire sostanzialmente a salvare le foreste della regione.

Al termine della missione congiunta alla Finca el Paraíso, Ucasal e Museo Verde hanno lanciato un programma di collaborazione partendo da un’amara constatazione: la deforestazione è frutto di una gestione dissennata delle risorse naturali anche da un punto di vista strettamente economico. Legni pregiati sono svenduti in grandi quantità a prezzi irrisori per farne carbone. Preziose essenze non arboree sono distrutte senza alcun profitto. Eppure, un’alternativa esiste. Il legno va tagliato in piccole quantità compatibili con il mantenimento del capitale boschivo e venduto sui mercati europei a prezzi molto più alti a imprese del mobile e a cantieri della nautica da diporto. Le essenze non arboree vanno utilizzate per quanto possono offrire alle industrie della medicina naturale e della nutraceutica. Si può e si deve fare. Ucasal e Museo Verde individueranno rapidamente 5 o 6 essenze arboree e altrettante non arboree, scegliendole tra le centinaia esistenti e le proporranno alle imprese dell’arredo, della nautica e della farmacia. Realizzeranno poi progetti pilota nella Finca El Paraíso, coinvolgendo ricercatori italiani e argentini, attirando il meglio della imprenditoria interessata a ipotesi di uno sviluppo sostenibile da un punto di vista sia ambientale che economico, facendo ricorso ai saperi della comunità indigena wichi che conosce meglio di chiunque altro le risorse del territorio.

I risultati saranno portati alla prossima Cop 26, la Conferenza internazionale sulle mutazioni climatiche.

di Riccardo Tiddi