PER LA CURA DELLA CASA COMUNE
La preoccupazione per il clima è sempre più una questione sociale

Ecologia vittima ignota
del virus

 Ecologia   vittima ignota del virus  QUO-121
31 maggio 2021

Non può esserci lotta al cambiamento climatico senza la volontà politica di restringere la forbice sociale. Necessità resa ancora più evidente dal Covid. A rivelarlo è la terza e ultima indagine sul clima, promossa dall’European Investment Bank (Bei) nel corso del 2020. Oltre 7 persone su dieci, interrogate un anno fa dal Bei in Unione europea, Stati Uniti e Regno Unito, hanno affermato che le politiche ecologiche non possono trascendere da quelle sociali. Percentuale che si alza ulteriormente quando a rispondere sono gli intervistati in Cina: l’85 per cento ha infatti dichiarato che per arrivare al successo nella lotta climatica, le disuguaglianze sociali e i divari nel reddito sono da tenere in gran conto.

«L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale», scriveva nel 2015 Papa Francesco nella Laudato si’. Pensiero che trova riscontro nei dati forniti dalla Banca europea per gli investimenti le cui domande riguardo ai cambiamenti climatici sono state rivolte principalmente ai Paesi più avanzati.

Nonostante, infatti, Europa, Stati Uniti e Cina esprimano, secondo i calcoli della World Bank, i primi tre pil al mondo del 2019, è in questi stessi Paesi che il Covid ha costituito un ulteriore motivo di divario tra le classi sociali. Non è un caso, sarebbe difficile pensarlo, che nelle prime due indagini sul clima promosse dal Bei, rispettivamente nel 2018 e nel 2019, ben più alta è stata l’attenzione registrata in merito ai temi ambientali: quasi 8 persone su 10 in Europa ne riconoscevano la gravità, mentre per Cina e Stati Uniti le stime superavano il 60 per cento.

Questa attenzione è drasticamente scesa, soprattutto in Occidente, con il comparire della pandemia. In Europa la percentuale di quanti ritengono quella del clima una delle sfide principali da affrontare è scesa di 15 punti rispetto all’anno prima, andando al 33 per cento, mentre in Usa è soltanto il 27 per cento a riconoscere il bisogno di arginare urgentemente la crisi climatica. È la Cina a lasciare al clima il primato del quale necessita: nel 2020, nel primo Paese in ordine di tempo ad aver conosciuto la pandemia, sono ancora oltre 6 persone su 10 a ritenere l’ambiente la sfida prioritaria da affrontare.

Insomma, oltre alla salute, nei Paesi più ricchi del mondo, a preoccupare nel post-pandemia sono anche e soprattutto gli equilibri sociali ed economici. L’andamento dei rispettivi tassi di disoccupazione nel corso del 2020 dimostra quanto questo equilibrio sia stato precario e messo a dura prova. Confrontando, infatti, i dati economici con quelli relativi alla percezione del rischio riguardo al cambiamento climatico emerge quanto sia sempre più condivisa la sfida di una “ecologia integrale” proposta da Papa Francesco.

Nel 2020, negli Stati Uniti, dove il negazionismo climatico sembra aver attecchito con maggiore facilità, la preoccupazione a proposito del climate change è calatadi dieci punti percentuali in un anno: dal 39% del 2019 al 27% nel 2020. Non a caso, nello stesso periodo il Paese ha dovuto affrontare un tasso di disoccupazione di circa il 15%. Un’impennata che supera di circa 10 punti percentuali la soglia raggiunta nel 2019, penalizzando soprattutto persone di colore e giovani lavoratori.

L’Unione europea, per quanto sia improprio analizzarla come blocco unico dei 27 Paesi membri, specialmente a cavallo dell’entrata in vigore della Brexit, ha superato e mantenuto un tasso di disoccupazione di 7 punti percentuali per tutto il 2020 e per l’inizio del 2021. Tasso, secondo le stime fornite da Eurostat, cresciuto di oltre un punto rispetto all’anno precedente, al quale è corrisposto un -15%per cento sulla percezione europea riguardo al rischio climatico.

Questo vale anche se si stringe il campo all’area euro dei 19, dove si è invece sfiorato il 9% nel terzo trimestre del 2020, ondeggiando fino a raggiungere l’8% odierno. Cifre che si appesantiscono ulteriormente quando si guarda all’Italia (10%) o alla Spagna (15%).

Secondo la World Bank, la Cina ha toccato nel 2020 un tasso di disoccupazione del 5 per cento; numeri che il Dragone aveva conosciuto soltanto nel 2009, dati della Banca mondiale alla mano. Sebbene in calo rispetto all’anno precedente, superano il 60 per cento i cinesi convintamente preoccupati per la crisi climatica.

«Questa mancanza di contatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali. Ciò a volte convive con il discorso “verde”. Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» si legge nell’enciclica di Francesco del 2015.

L'Europa sta per calare l'asso del Next Generation Eu, il suo più ambizioso piano di ripresa. Ma serviranno riforme capaci di garantire una significativa ristrutturazione, e non solo una ripartenza, del mercato del lavoro, per evitare che quest'ultimo diventi una discriminante capace di allargare le maglie del tessuto sociale. È ormai chiaro a molti, appunto, che la transizione ecologica impone che si tenga radicalmente conto della fragilità umana presente in ciascun Paese del mondo.

Per quanto sia confortante immaginare che il proprio impegno e le singole buone azioni possano realmente condizionare una questione di dimensioni mondiali e di durata decennale come il cambiamento climatico, non è più tempo di nascondersi dietro al dito che indica la luna. A maggior ragione, quando si è chiamati ad amministrare due dei più corposi finanziamenti mai stanziati, quali sono il Next Generation Eu per l’Europa e l’American Rescue Plan per gli Stati Uniti.

Alla politica, dunque, il compito di agganciare la ripresa, promuovendo lavoro a misura d'uomo e d'ambiente.

di Elena Pelloni