Uno sguardo
al femminile

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29 maggio 2021

«Nessuno sfoggio di pietà bizzarra, semplice umanità. Troppo semplice per gli agiografi e per i cronisti dal lungo sapere»: così scrive Simon Tugwell nel suo Omaggio a un santo (in G. Bedouelle, Domenico. La grazia della Parola), preghiera che rivolge a san Domenico. «Semplice umanità»: Domenico vive in un periodo caratterizzato da cambiamenti d’epoca e di nuove sfide per la missione evangelizzatrice della Chiesa, come ha scritto Papa Francesco nella sua lettera — Praedicator gratiae — all’Ordine. Potremmo tranquillamente dire: niente di nuovo! Anzi, oggi viviamo un’epoca di cambiamento, come lo stesso Papa ci ha più volte ricordato. Cosa può dire il carisma di Domenico, oggi, alle donne e agli uomini del nostro tempo? Certamente è ancora affascinante, visto che il suo Ordine è ben vivo! Se ne parlerà, e sicuramente ci saranno persone molto più competenti di me e con maggior esperienza che potranno proporre risposte a questa domanda.

Tuttavia, in quanto monaca dell’Ordine dei predicatori, posso accogliere questa domanda per la mia vita, anche alla luce di quella santità “al femminile” ben presente nella nostra storia.

Tutto iniziò… da un incontro che Domenico fece lungo il cammino intrapreso con il suo vescovo Diego, organizzato per una missione diplomatica.

Superati i confini della Spagna, nel sud della Francia, Domenico incontra l’eresia catara, o meglio, incontra gli eretici catari. Ascolta, discute, convince: la luce del mattino vede la conversione dell’albergatore ma anche quella di Domenico che coglie in quell’esperienza l’urgenza di una predicazione rinnovata nello stile e nella testimonianza, visibile in una comunità che viva come la prima comunità apostolica. E il primo nucleo dell’Ordine sarà costituito proprio da un gruppo di donne provenienti dall’eresia catara: accogliendo la predicazione e lo stile di vita da lui proposto, si raduneranno a Prouille, nel sud della Francia e formeranno la prima comunità di monache.

Una presenza che non si è mai interrotta. Donne, catare: una “periferia”, se volessimo usare una terminologia cara a Papa Francesco. Attraverso questa scelta, Domenico esprime la sua convinzione che non c’è nessuna persona che non meriti di essere ascoltata, e nessuno o nessuna a cui non siamo inviati ad annunciare la Parola di vita, Cristo Signore.

Sono innumerevoli le testimonianze di donne che lo hanno incontrato e che sono state attirate dalla sua amabilità, dalla sua umanità e dalla sua gioia e lo hanno seguito nel cammino di sequela di Cristo… Altro che “santo dalla faccia triste”: i testimoni ci dicono che nessuno più di lui era gioioso e, poiché tutti amava, da tutti (e tutte!) era amato (cfr. Libellus, 107).

Domenico è il santo che forse più di ogni altro ci ha manifestato la fiducia di Dio in ogni uomo e ogni donna. Questo lo si può vedere concretamente nello stile di vita in comune, voluto proprio da lui, che comprende anche il nostro particolare stile di governo: noi siamo sorelle, fratelli, che si ritrovano per comprendere insieme quale sia il cammino che il Signore ci chiede di intraprendere, sia esso verso nuove frontiere, sia — più difficile! — di conversione. Insieme.

I nostri Capitoli sono la nostra Croce e la nostra Grazia: quante volte entriamo in Capitolo con delle preoccupazioni o delle tensioni e poi usciamo sconcertate dalle soluzioni che sono emerse e dalla gioia che condividiamo!

Domenico aveva fiducia nelle donne, nelle sue sorelle: mentre è lui stesso che si occupa della formazione delle prime monache di Prouille, per le monache di Roma saranno chiamate proprio le monache francesi a trasmettere il carisma, senza che questo minasse in alcun modo la figura del fondatore. Fiducia e rispetto saranno anche del primo successore di Domenico, il beato Giordano di Sassonia, che chiederà (e otterrà) che alcune monache del monastero romano si trasferissero alla nuova fondazione di Bologna per formare le donne che avevano da lui ricevuto l’abito religioso.

Fratelli e sorelle: un unico Ordine, da 800 anni, la Sancta praedicatio. Una unità non sempre facile da incarnare e vivere, ma certamente una sfida e una opportunità da accogliere…

Nel Libellus, la prima biografia di san Domenico scritta dal beato Giordano, si legge che «Il Signore gli aveva concesso la singolare grazia di piangere per i peccatori, per gli infelici e gli afflitti, le cui sventure portava come un peso nell’intimo del cuore e l’amore per essi, che lo bruciava all’interno, prorompeva al di fuori attraverso gli occhi» (cfr. Libellus, 12). Nel Medioevo, l’«intimo del cuore» doveva essere solo di Dio: eppure il cuore di Domenico era abitato dal Cristo, che amava infinitamente, e da tutti coloro che sono nel cuore di Dio, i poveri, i peccatori, gli eretici, i lontani.

Le monache sono chiamate a continuare ad essere questo “grembo”, questo “cuore nascosto”, ricco di compassione, in cui tutti trovano posto, in cui nessuno è escluso e dal quale si leva costantemente una preghiera di lode e di intercessione.

I nostri monasteri sono ancora oggi questo “porto aperto” ai quali chiunque può giungere, con la certezza di trovare un cuore che ascolta, che offre l’unica Parola che può donare speranza, libertà dagli idoli e dalle catene che opprimono e la certezza del ricordo nella preghiera! Le monache sono la memoria costante che la predicazione nasce dalla contemplazione, dall’esperienza di Dio.

Lungo il percorso di questi 800 anni si trovano molte luci di santità nei nostri monasteri. Vorrei qui ricordare due sorelle a me molto care e meno conosciute delle grandi Caterina da Siena e Rosa da Lima: santa Caterina de’ Ricci (Prato) e la venerabile Domenica da Paradiso (Firenze), che ricordano il «parlare con Dio o di Dio» di san Domenico.

Entrambe riconosciute come “madri spirituali”, “predicatrici”, attraverso gli scritti (notevole l’Epistolario della santa di Prato) e gli incontri nel parlatorio, erano punti di riferimento nella vita e nella storia del loro tempo. Testimoni entrambe di un amore straordinariamente appassionato dell’umanità di Cristo, della sua parola di verità.

È questo amore, dono dello Spirito, che apre i loro occhi e le rende contemplative: capaci, come Domenico, di guardare la realtà, la storia con gli occhi stessi di Dio. Lo sguardo di Dio è «carità fattiva», come quella che Domenico aveva chiesto per se stesso, per essere veramente un discepolo di Cristo. Una carità che ha la sua radice nella verità vivificante e liberante della Parola di Dio (cfr. Papa Francesco, Praedicator gratiae).

«Firma appena leggibile sulle pergamene della storia. Così semplice da non nascondere la rugiada della luce divina», scrive ancora Simon Tugwell: Domenico sparisce tra le pieghe della storia, poche righe e nulla di più. Non lega a sé, ma sempre rimanda al suo Signore; non lascia scritti, perché è umile servo della Parola, della Chiesa e del Magistero.

E così, con tutta la nostra storia plurisecolare, anche noi, figlie e figli di Domenico: umili servi della Parola, del Cristo che salva, di ogni fratello e sorella. «Semplice umanità».

Sì: Domenico, Praedicator gratiae, è vivo nel suo Ordine. Impossibile non amarlo…

di Paola Panetta
Monastero domenicano Maria di Magdala a Serralunga di Crea (Alessandria)