Approfondimento

Febbre bianca

Cruise ship among icebergs in the Uummannaq fjord, North-Greenland, Greenland
28 maggio 2021

Dopo l’Amazzonia, le due calotte polari sono le più importanti zone strategiche per la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra. Ma l’Artico, a causa dei drastici cambiamenti climatici, sta subendo una trasformazione definita da molti scienziati una “spirale inarrestabile”. Un dato di fatto destinato a cambiare numerose dinamiche mondiali, che rischia di fare scomparire alcune specie animali, rendendo sempre più difficile la sopravvivenza delle tribù indigene che vivono nel Nord estremo.

Nel 1996 è stato fondato il Consiglio Artico, di cui fanno parte tutti i ministeri degli Esteri delle otto Nazioni affacciate sul Mar Glaciale Artico — Canada (che rappresenta i Territori del Nord-Ovest, il Nunavut e lo Yukon), Danimarca (che rappresenta la Groenlandia e le Isole Fær Øer), Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti (che rappresentano l'Alaska) e Svezia — e delle sei organizzazioni permanenti di tribù indigene e dei Paesi associati all’organizzazione.

Nel corso dell’ultimo vertice, a Reykjavík sono stati approfonditi gli interventi sui tre grandi obiettivi che il Consiglio Artico si è sempre dato, a partire dalla lotta al cambiamento climatico per passare alla protezione ambientale e della biodiversità e nel sostenere uno sviluppo sostenibile per la immensa regione, che si estende dall’Islanda fino al Canada. Colloqui incentrati anche sui progetti volti a ridurre l’inquinamento da microplastiche, per prevenire eventuali fuoriuscite di petrolio e quelli per un sistema regionale di trasporto e comunicazioni.

L’allarme per l’Artico è molto serio. Secondo gli esperti sul clima, le rilevazioni di lungo periodo sull’andamento del global warming nell’estremo nord del Pianeta evidenziano come la temperatura stia crescendo tre volte più velocemente che altrove.

E una nuova analisi dei dati sulla temperatura di superficie rivela che la curva di crescita è più ripida di quanto accertato due anni fa. Lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico potrebbe, quindi, causare l’estinzione degli orsi polari e di altre specie animali marine, ma anche contribuire all’innalzamento del livello degli oceani, aumentando i rischi di inondazioni lungo le coste.

Il futuro non è certo roseo. A seconda dell’andamento delle emissioni future, infatti, le proiezioni indicano che entro il 2100 la temperatura media annuale dell’aria a livello di superficie nell’Artico salirà a 3,3-10°C sopra la media del periodo compreso tra il 1985 e il 2014. Già dal 2000, le ondate di freddo superiori ai 15 giorni sono sparite del tutto nell’Artico, mentre negli ultimi quattro decenni la zona ha perso in media ogni anno una superficie pari a 53.900 chilometri quadrati di ghiaccio.

Distruzione, degradazione e frammentazione degli habitat sono i principali fattori di perdita di biodiversità animale e vegetale.

La radicale trasformazione dell’Artico non avrà solo pesanti ripercussioni dal punto di vista ambientale e faunistico, ma anche sulla geopolitica. Oltre alla questione climatica, ci sono infatti altre motivazioni — soprattutto economiche — che interessano la regione.

Negli ultimi anni la zona è divenuta oggetto di mire espansionistiche da parte di diversi Stati, perché si presume siano bloccati sotto la calotta polare oltre 5 miliardi di tonnellate di gas metano e idrocarburi, una fonte immensa di risorse inattingibile a causa del clima rigido e dell’ambiente proibitivo, che suscita lucrosi appetiti. Risorse che diventeranno sempre più accessibili per via del surriscaldamento globale.

Alcuni tra i Paesi che fanno parte del Consiglio Artico stanno portando avanti propri piani di sviluppo, in aperto contrasto con gli obiettivi di conservazione dell’ambiente naturale. Lo scioglimento artico sta inoltre aprendo scenari sempre più inediti, con nuove strade di comunicazione, consentendo alle navi rompighiaccio di avvinarsi alle zone dove si ritiene ci siano gli enormi giacimenti.

La sovranità negli spazi marini dell’Artico (e dell’Antartide) è una tematica molto discussa nel Diritto del mare e tra i membri della Comunità internazionale. Il regime giuridico dell’Artico è disciplinato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare del 1982, la quale, pur non essendo specifica per l’intera regione, applica le consuete norme internazionali sul Diritto del mare, essendo la regione polare circondata dal mare.

E per comprendere come stia crescendo la “tensione tra i ghiacci”, basta ricordare che la Cina ha investito in 5 anni quasi 90 miliardi di dollari nella regione per partecipare al progetto della Silk Road — la nuova Via della Seta — che accorcerebbe di quasi venti giorni il tempo necessario a viaggiare dall’Asia all’Occidente e consentirebbe alle navi mercantili di solcare queste acque senza essere dotate di particolari strumentazioni.

E la Russia ha già annunciato l’intenzione di potenziare la fruizione della Northern Sea Route, la rotta del mare del Nord a est di Novaya Zemlya, che scorre lungo la costa artica russa dal Mar di Kara, in Siberia, fino allo Stretto di Bering. La rotta del Mare del Nord taglia circa 4.000 miglia nautiche dall’alternativa meridionale che passa dal canale di Suez. A conferma che il baricentro dell’economia globale si sia più volte spostato, nel corso della storia, proprio a causa della scoperta di nuove terre e della conseguente ristrutturazione delle relazioni commerciali.

In un ipotetico scenario in cui l’Artico fosse navigabile, le tradizionali rotte commerciali eurasiatiche e africane — come il Mediterraneo, il mar Rosso, il golfo Persico e l’oceano Indiano — perderebbero la loro importanza strategica, insieme agli Stati che vi si affacciano e alle compagnie che vi hanno numerosi interessi.

La deglaciazione dell’immensa regione che circonda il Polo Nord avrà, quindi, ripercussioni su ogni tratta commerciale e area di libero scambio (Ue, Asean, Nafta, ecc), riducendo il tradizionale ruolo delle tradizionali rotte eurafrasiatiche, ma anche pesando sulle dinamiche di sviluppo dell’area pacifica ed africana.

Proprio per questo, la regione artica va salvaguardata e aiutata a ritrovare il proprio equilibrio ecosostenibile. Diversamente, se prevarranno gli interessi nazionali, si rischia di andare incontro ad un disastro ecologico. Che potrebbe sfociare anche in imprevedibili e pericolosi risvolti militari.

di Francesco Citterich