Atlante - Cronache di un mondo globalizzato
Sfruttamento dell’Amazzonia e piano di azione della Fao per l’ambiente

Agricoltura e biodiversità,
il mondo sarà salvato
dai contadini

Convogli di legname sul fiume Manacapuru (Oliveira/Afp)
28 maggio 2021

Avanza la soja, retrocede la foresta. Il braccio di ferro fra green e growth, il difficile equilibrio fra la crescita e la sostenibilità ambientale, è ritratto dai satelliti puntati sulla regione dove si gioca una delle grandi partite del mondo, l’Amazzonia.

Polmone (ma anche fegato e reni) del pianeta inquinato e surriscaldato, terra nativa degli indigeni, spogliata delle sue foreste per alimentare il commercio di legname, incalzata dagli allevamenti intensivi ai quali, a ruota, seguono le monocoltivazioni intensive — soja innanzitutto —: l’Amazzonia incarna tutte le possibilità ed i rischi di una globale crisi alimentare ed ecologica. Ed offre il libro delle soluzioni applicabili per tutti.

Il mondo ha fame di soia, fonte proteica, e di legname, i cui prezzi (più 50% in sei mesi) stanno andando alle stelle. I satelliti puntati sulla regione dei mille fiumi che si allarga fra Brasile, Perú, Colombia, Venezuela, rimandano lo snodarsi della frontiera della cenere che serpeggia tracciata dagli incendi e dalla deforestazione in genere.

La crescita economica esponenziale, che ogni Stato avverte come un diritto naturale, si nutre della biodiversità che mantiene letteralmente in vita, depurandolo e rinnovandolo, l’organismo globale al quale tutti apparteniamo. La soia è oro per il Brasile, gigante agroalimentare che esporta ovunque. E la stagione che si annuncia è fra le più promettenti.

Le terre coltivate a soia sono cresciute, infatti, del 4 per cento. Il meteo è favorevole. Ma il rischio è che il guadagno giunga a spese dell’ambiente come le riprese satellitari starebbero a dimostrare. La deforestazione avanza un incendio dopo l’altro. I mille fiumi dell’Amazzonia sono percorsi da castelli galleggianti di tronchi, che portano il legno della foresta pluviale verso le fabbriche del mondo ed il consumo usa e getta, soprattutto quello dell’Europa, forte acquirente della materia prima. La magistratura brasiliana ha addirittura aperto nei giorni scorsi un’inchiesta penale sull’ipotesi che la corruzione ed il contrabbando stiano alimentando la messa al sacco della foresta pluviale. L’occhio del satellite, infatti, registra il via vai sui fiumi a spese dell’ambiente. E qui la crescita del Paese c’entrerebbe poco. La corruzione per definizione desertifica l’economia e la fa diventare un giardino per pochi e la condanna per tanti. L’equilibrio fra green e growth non può coesistere con la corruzione.

La coltivazione intensiva avanza nei varchi e impoverisce il suolo che ha bisogno di ricambio e riposo. E la magica stagione della soja 2021, dicono i dati del Conab (Compagnia nazionale di approvvigionamento), dovrebbe fruttare 135 milioni di tonnellate di semi oleaginosi avendo impegnato 38 milioni e mezzo di ettari di terra sugli 851 milioni dell’estensione complessiva. Ma la ricaduta del successo ed il prezzo della crescita ininterrotta sono gli allevamenti intensivi, la forte pressione ambientale che lasciano poi il terreno sfruttato alle monocoltivazioni. Garantire lo sviluppo economico senza destabilizzare uno dei filtri del pianeta sembra una missione impossibile.

La Fao, il programma delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, propone di inserire il primato del benessere e della sicurezza alimentare dell’uomo come punto di equilibrio fra green e growth. Senza questo equilibrio si potrà garantire la crescita, diseguale, delle economie nazionali ma lo si farà a spese di chi verrà.

Se l’Amazzonia, come altre riserve verdi del pianeta, si trasforma in tronchi naviganti, allevamenti e distese monocolori e disinfestate, le certezze sono il fallimento del pianeta ed un clima inadatto alla vita umana. La risposta della Fao è: l’agricoltura deve inglobare la biodiversità. Non sostituirsi ad essa. E potrà farlo solo con un’alleanza con i principali portatori di interessi: contadini, pescatori, allevatori di bestiame, forestali: il cosiddetto settore agri-food che da solo è il principale soggetto che usa il suolo del pianeta. Per il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, nulla si può fare senza il ritorno dei contadini alla gestione, tecnologicamente avanzata e sapiente, dell’ambiente. L’osmosi fra la biodiversità vegetale ed animale e la produzione diversificata di cibo e materie prime è un imperativo globale come il taglio delle emissioni industriali. Il 25 maggio scorso ne hanno parlato insieme i vertici della Fao, dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), l’alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e l’agenzia per l’ambiente (Unep). Le soluzioni stanno scritte nella biodiversità, si è detto. E i contadini sanno leggerle. La sicurezza alimentare del mondo non è meno a rischio del suo clima. L’Amazzonia, dunque, non è il problema, ma il libro delle soluzioni che le Nazioni Unite intendono aprire.

di Chiara Graziani