La settimana di Papa Francesco

Il magistero

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27 maggio 2021

Venerdì 21


La Santa Sede sostiene ogni sforzo per contribuire alla causa della pace

Sono lieto di accogliervi come Ambasciatori  presso la Santa Sede: di Singapore, Zimbabwe, Bangladesh, Algeria, Sri Lanka, Barbados, Svezia, Finlandia e Nepal. Poiché gli effetti del coronavirus continuano a farsi sentire e viaggiare rimane difficile, ringrazio vivamente ciascuno di voi per la presenza qui oggi. A causa della pandemia, la crisi sociale ed economica è diventata in tutto il mondo ancora più grave. Molti hanno perso persone care e mezzi di sussistenza. Le famiglie, in particolare, si trovano ad affrontare gravi difficoltà  e spesso non dispongono di un’adeguata protezione. Essere attenti ai poveri e agli indifesi... Compiere passi concreti, coraggiosi, per sviluppare  nuove relazioni e strutture di cooperazione al servizio della solidarietà, del rispetto della dignità, dell’assistenza reciproca e della giustizia.Affrontare questioni globali urgenti come quelle delle migrazioni e del cambiamento climatico. Penso anche al debito economico che grava su molti Paesi e al “debito ecologico” che dobbiamo alla natura stessa, nonché ai popoli e ai Paesi colpiti dal degrado ambientale causato dall’uomo e dalla perdita di biodiversità. La Santa Sede, attraverso le sue rappresentanze diplomatiche e la sua attività internazionale, sostiene ogni sforzo per costruire un mondo in cui la persona umana sia al centro, la finanza al servizio di uno sviluppo integrale e la Terra protetta. Attraverso opere di educazione, carità e assistenza sanitaria, la Chiesa  promuove lo sviluppo delle persone e dei popoli e  cerca di contribuire alla causa della pace.

(Le lettere credenziali dei nuovi ambasciatori
di nove Paesi presso la Santa Sede)

Siete le mani e il sorriso di Dio per le persone escluse e rifiutate

È sempre una gioia vedere che anche oggi molte persone, piene di fede, buona volontà e  coraggio, si impegnano per vivere l’esperienza del servizio e della fraternità... andando incontro agli altri nelle loro situazioni e formando una famiglia in cui regnano l’armonia e la gioia di vivere insieme [nelle] periferie della società. Cari giovani, avete scelto di mettervi al servizio della dignità umana, di farvi prossimi delle persone escluse, senza dimora, rifiutate, spesso tradite nei loro diritti. Servendo loro... ci aiutate a capire che ogni persona è una storia sacra.Invece di sprecare la vita pensando soltanto a voi stessi,  fate l’esperienza della coabitazione solidale.Avete voluto essere, per le persone che servite, la mano, gli occhi, le orecchie, il sorriso di Dio. Trasmettete la fiaccola della speranza e dell’amore. Siate testimoni della tenerezza di Dio in mezzo alla cultura dell’egoismo, dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto.Cari amici che beneficiate di tale iniziativa, vivete questa bella avventura con la vostra storia carica di tristezza, solitudine, lacrime, prove,  esclusione e rifiuto. Non siete  uomini inferiori, persone fallite, come vuole a volte farci credere la società. Agli occhi di Dio, siete un tesoro. Avendo ricevuto bene e  attenzioni, diventate a vostra volta capaci di risollevare,  consolare, lenire le ferite.

(Udienza all’Associazione francese Lazare nel decennale di fondazione)

Costruire la fraternità

Questa iniziativa comporta un mutuo dialogo nato dalla saggezza e dall’esperienza di diverse tradizioni cristiane.
Essa offre un’opportunità per affrontare le sfide  che si pongono ai popoli insulari: violenza, terrorismo, povertà, fame e  molte forme di ingiustizia e disuguaglianza sociale ed economica.
Molti popoli insulari sono esposti a cambiamenti ambientali e climatici estremi...   Di conseguenza, non sperimentano solo il deterioramento ambientale ma anche umano e sociale.
In questi mesi di pandemia siamo diventati sempre più coscienti della nostra fragilità e di conseguenza della necessità di un’ecologia integrale che possa sostenere non solo gli ecosistemi fisici, ma anche quelli umani.

(Lettera per la Conferenza ecumenica online
 «Costruire la fraternità, difendere la giustizia»)


Sabato 22


I giovani portatori di speranza e di vita nuova

Questo incontro avrebbe dovuto avvenire, credo, lo scorso febbraio, nell’anniversario dell’inizio dell’epidemia in Europa, proprio nella città di Codogno.
Appena ricevuta la vostra proposta, avevo visto che era importante accoglierla, perché la vostra scuola, nel contesto di questa dura prova, rappresenta un segno di speranza.
Primo perché una scuola è luogo educativo per eccellenza.
Secondo perché è un istituto tecnico-professionale, cioè prepara direttamente i giovani al lavoro; e proprio l’occupazione, è una delle vittime di questa pandemia.
Dunque, siete un doppio segno di speranza... “non vi siete mai persi d’animo”.
Quando si incontrano la generatività degli insegnanti con i “sogni” degli studenti non c’è virus che possa fermarli!
Il vostro Istituto mette in risalto il legame tra l’apprendere e il fare, tra lo studio e l’operatività, tra la “testa” e le “mani”. Ne manca uno: il vostro cuore.
I tre linguaggi: quello della testa, quello del cuore e quello delle mani. Per arrivare a quella coerenza per cui si pensa quello che si sente e si fa, si sente quello che si pensa e si fa, si fa quello che si sente e si pensa.
Queste tre dimensioni devono sempre interagire nella scuola, come sono connesse nella persona, nel cammino della vita.
La dimensione relazionale è stata penalizzata nei lunghi mesi della didattica a distanza. Vi invito a imparare da questa mancanza: che questa esperienza negativa possa insegnare... l’importanza della relazione interpersonale reale, non virtuale.
Siete figli della società digitale, che ha aperto nuove vie a conoscenza e comunicazione; ma c’è il pericolo di chiudersi in sé e vedere la realtà attraverso un filtro.
La pandemia, con questa “astinenza” dalle relazioni amicali, possa stimolare un maggiore senso critico nell’uso di questi strumenti.
Avete sentito tante volte: “i giovani sono il futuro”. Niente: voi siete il presente.
Senza i giovani, una società è quasi morta... perché portate vita nuova.
Vi auguro di concludere bene questo anno scolastico, non solo sul piano dei voti, ma anche e soprattutto su quello dei volti!

(A insegnanti e studenti dell’Istituto Ambrosoli di Codogno, Lodi)

Profezia di unità tra i cristiani

Desidero ringraziare questa Chiesa anglicana  in primo luogo, ringraziare il mio amico e fratello, l’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, che ha condiviso una bellissima riflessione sullo Spirito Santo.
Ringrazio anche Charis, per avermi ascoltato e reso realtà in questa Veglia la missione che vi ho affidato di lavorare per l’unità dei cristiani.
Questa è una notte molto speciale, desidero condividere con voi ciò che c’è nel mio cuore, pensando a Gerusalemme, la città santa per i figli di Abramo.
Penso alla stanza di sopra, la upper room, dove l’inviato del Padre, lo Spirito Santo che Gesù promette dopo la risurrezione, discende potentemente su Maria e i discepoli, trasformando per sempre la loro vita e tutta la storia.
Penso alla chiesa di San Giacomo, la chiesa madre, la prima, la chiesa dei credenti in Gesù, il Messia, tutti ebrei.
Questa notte risuona dentro di me più che mai il “guardate come si amano”. Com’è triste quando si dice dei cristiani “guardate come litigano”.
Siamo divisi, abbiamo rotto in mille pezzi ciò che Dio ha fatto con  amore, passione e tenerezza.
Tutti abbiamo bisogno di chiedere perdono al Padre e anche di perdonare noi stessi.  Se sempre è stata necessaria l’unità dei cristiani nell’amore reciproco, oggi è più urgente che mai.
La notte odierna può essere una profezia, può essere l’inizio della testimonianza che noi cristiani, insieme, dobbiamo dare: essere testimoni dell’amore di Dio, riversato nei nostri cuori dallo Spirito.
Questa notte  uscite insieme a contagiare il mondo! Lasciamoci cambiare dallo Spirito per poter cambiare il mondo. Dio è fedele, non ritira mai la sua promessa.

(Videomessaggio a conclusione della veglia ecumenica
organizzata da Charis a Gerusalemme)


Domenica 23


Significato di Paraclito Consolatore

Paraclito vuol dire due cose: Consolatore e Avvocato.
Tutti noi, specialmente nei momenti difficili, come quello che stiamo attraversando, a causa della pandemia, cerchiamo consolazioni.
Ma spesso ricorriamo solo a consolazioni terrene, che svaniscono presto, sono consolazioni del momento. Gesù ci offre oggi la consolazione del Cielo, lo Spirito, il «Consolatore perfetto».
Sorella, fratello, se avverti il buio della solitudine, se porti dentro un macigno che soffoca la speranza, se hai nel cuore una ferita che brucia, se non trovi la via d’uscita, apriti allo Spirito.
Pure noi siamo chiamati a testimoniare nello Spirito Santo, a diventare consolatori... [a] dare corpo alla sua consolazione.
Come? Non facendo grandi discorsi, ma facendoci prossimi; non con parole di circostanza, ma con preghiera e vicinanza.

Avvocato

Lo Spirito ci difende dalle falsità del male ispirandoci pensieri e sentimenti. Lo fa con delicatezza, senza forzarci: si propone ma non si impone. Il maligno, fa il contrario: cerca di costringerci, vuole farci credere che siamo sempre obbligati a cedere alle suggestioni cattive e alle pulsioni dei vizi.

Tre antidoti

Proviamo allora ad accogliere tre suggerimenti tipici del nostro Avvocato. Sono tre antidoti basilari contro altrettante tentazioni, oggi tanto diffuse.
Il Paraclito afferma il primato dell’oggi, il primato dell’insieme nell’armonia delle diversità e il primato della grazia.
Vale anche per la Chiesa. Non salviamo nessuno e nemmeno noi stessi con le nostre forze.
Se in primo luogo ci sono i nostri progetti, le nostre strutture e i nostri piani di riforma scadremo nel funzionalismo, nell’efficientismo, nell’orizzontalismo e non porteremo frutto.
Gli “ismi” sono ideologie che dividono, che separano.
La Chiesa non è un’organizzazione umana... è il tempio dello Spirito.
La Chiesa si riforma con l’unzione, la gratuità dell’unzione della grazia, con la forza della preghiera, con la gioia della missione, con la bellezza disarmante della povertà.

(Omelia nella messa di Pentecoste celebrata nella basilica vaticana)


Mercoledì 26


Lasciar fare a Dio

C’è una contestazione radicale alla preghiera: noi domandiamo, eppure a volte le nostre preghiere sembrano inascoltate.
Abbiamo questa esperienza, tante volte. Se poi il motivo per cui abbiamo pregato era nobile (come l’intercessione per un malato o perché cessi una guerra), il non esaudimento ci appare scandaloso.
Per esempio stiamo pregando perché finiscano le guerre, in tante parti del mondo. Pensiamo allo Yemen, alla Siria, che sono in guerra da anni! Paesi martoriati dalle guerre; noi preghiamo e non finiscono.
Ma se Dio è Padre, perché non ci ascolta? perché non risponde?
Tutti abbiamo pregato per la malattia di questo amico, di questo papà, di questa mamma e se ne sono andati.
Il Catechismo ci offre una buona sintesi sulla questione. Ci mette in guardia dal rischio di non vivere un’autentica esperienza di fede, ma di trasformare la relazione con Dio in qualcosa di magico.
La preghiera non è una bacchetta magica: è un dialogo con il Signore.
Quando preghiamo possiamo cadere nel rischio di non essere noi a servire Dio, ma di pretendere che sia Lui a servire noi.
Gesù invece ha avuto una grande sapienza mettendoci sulle labbra il “Padre nostro”. È una preghiera di sole domande, ma le prime che pronunciamo sono tutte dalla parte di Dio.
Chiedono che si realizzi non il nostro progetto, ma la sua volontà. Meglio lasciar fare a Lui.
L’apostolo Paolo ricorda che non sappiamo nemmeno cosa sia conveniente domandare. Domandiamo per le nostre necessità, i nostri bisogni, le cose che vogliamo, “ma questo è più conveniente?”.
Quando preghiamo dobbiamo essere umili: questo è il primo atteggiamento.
Così come c’è l’abitudine che per andare in chiesa, le donne si mettono il velo o si prende l’acqua benedetta per iniziare, così dobbiamo dirci, prima della preghiera, ciò che sia più conveniente: Lui sa.
Dobbiamo essere umili, perché le nostre parole siano effettivamente preghiere e non un vaniloquio che Dio respinge.
Si può anche pregare per motivi sbagliati: ad esempio, per sconfiggere il nemico in guerra, senza domandarsi che cosa pensa Dio di quella guerra.
È facile scrivere su uno stendardo “Dio è con noi”; ma pochi si preoccupano di verificare se loro sono effettivamente con Dio.
Nella preghiera, Dio deve convertire noi, non siamo noi che dobbiamo convertire Dio. È l’umiltà.
Io vado a pregare ma Tu, Signore, converti il mio cuore perché chieda quello che è conveniente, chieda quello che sarà meglio per la mia salute spirituale.
Tuttavia, rimane lo scandalo: quando gli uomini pregano con cuore sincero e domandano beni che corrispondono al Regno di Dio, quando una mamma prega per il figlio malato, perché a volte sembra che non ascolti?
Per rispondere bisogna meditare i Vangeli. I racconti della vita di Gesù sono pieni di preghiere: persone ferite nel corpo e nello spirito chiedono di essere guarite.
Sono preghiere impregnate di sofferenza. È un immenso coro che invoca: pietà.
A volte la risposta di Gesù è immediata, invece in qualche caso è differita: sembra che Dio non risponda.
Pensiamo alla cananea che supplica Gesù per la figlia: [ella] deve insistere a lungo per essere esaudita.
Ha anche l’umiltà di sentire una parola di Gesù che sembra un po’ offensiva: non dobbiamo buttare il pane ai cagnolini.
Ma a questa donna non importa l’umiliazione: importa la salute della figlia. E va avanti e questo piacque a Gesù. Il coraggio nella preghiera.
Pensiamo al paralitico portato dai suoi amici: inizialmente Gesù perdona i suoi peccati e solo in un secondo tempo lo guarisce nel corpo. In qualche occasione la soluzione del dramma non è immediata.
Anche nella nostra vita, ognuno ha questa esperienza. Quante volte abbiamo chiesto una grazia, un miracolo, e non è accaduto nulla. Poi, con il tempo, le cose si sono sistemate ma secondo il modo divino, non secondo quello che noi volevamo.
Il tempo di Dio non è il nostro tempo... Merita attenzione soprattutto la guarigione della figlia di Giairo.
C’è un padre che corre: sua figlia sta male e chiede l’aiuto di Gesù. Il Maestro accetta, ma mentre vanno verso casa giunge la notizia che la bambina è morta. Sembra la fine, invece Gesù dice al padre: «Non temere, soltanto abbi fede!».
“Continua ad avere fede”: perché è la fede che sostiene la preghiera. E infatti, Gesù risveglierà la bambina.
Ma per un certo tempo, Giairo ha dovuto camminare nel buio, con la sola fiammella della fede.
Che la mia fede cresca! Chiedere questa grazia, di avere fede.

Con umiltà e pazienza

Gesù dice che la fede sposta le montagne. Ma, avere la fede sul serio. Gesù, davanti alla fede dei suoi poveri, dei suoi uomini, cade vinto, sente una tenerezza speciale. E ascolta.Anche la preghiera che Gesù rivolge al Padre nel Getsemani sembra rimanere inascoltata. Il Figlio dovrà bere fino in fondo il calice della passione. Ma il Sabato Santo non è il capitolo finale, perché  c’è la risurrezione. Il male è signore del penultimo giorno, mai dell’ultimo. Nel penultimo giorno c’è la tentazione dove il male ci fa capire che ha vinto. Ma Dio è il Signore dell’ultimo giorno. Perché quello appartiene solo a Dio, ed è il giorno in cui si compiranno tutti gli aneliti umani di salvezza.  Impariamo questa pazienza umile di aspettare la grazia del Signore, aspettare l’ultimo giorno. Tante volte, il penultimo giorno è molto brutto, perché le sofferenze umane sono brutte. Ma il Signore c’è e all’ultimo giorno risolve tutto.

(Udienza generale nel cortile di San Damaso)