In missione
Intervista con Đình Anh Nhue Nguyên francescano vietnamita
segretario generale della Pontificia unione missionaria

Solo l’amore crea

 Solo l’amore crea  QUO-117
26 maggio 2021

«Solo l’amore crea». Si ispira a questa frase di san Massimiliano Maria Kolbe padre Đình Anh Nhue Nguyên, dei frati minori conventuali, nuovo segretario generale della Pontificia unione missionaria (Pum) nonché direttore del Centro internazionale di animazione missionaria (Ciam) e dell’Agenzia Fides. Francescano cinquantunenne di nazionalità vietnamita, padre Nguyên è stato nominato dal cardinale Luis Antonio G. Tagle, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, e ha iniziato il suo servizio di durata quinquennale nelle Pontificie opere missionarie il 1° maggio scorso. L’opera che il frate francescano guida, la Pontificia unione missionaria, è nata nel 1916 su ispirazione del beato Paolo Manna, missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime), con lo scopo di animare e formare il clero e tutti i battezzati nella loro responsabilità missionaria, secondo il motto «Tutta la Chiesa per tutto il mondo». Manna anticipava le intuizioni del Concilio Vaticano ii quando ricordava che l’opera missionaria della Chiesa, corpo di Cristo, non era solo appannaggio di pochi specialisti o inviati in terre lontane. Đình Anh Nhue Nguyên tiene ben saldo questo riferimento mentre espone a «L’Osservatore Romano» le prospettive del suo servizio apostolico.

Con quale spirito inizia la nuova missione?

Sono entusiasta per la nuova missione: ringrazio il Santo Padre, il cardinale Tagle e l’arcivescovo Dal Toso, presidente delle Pontificie opere missionarie, e rimetto questa missione nelle mani di Dio e della Vergine Maria. La Pontificia unione missionaria, come l’hanno definita i papi santi Paolo vi e Giovanni Paolo ii , è «l’anima delle altre Pontificie opere missionarie»: questo rende chiaro il senso del mio servizio. È la locomotiva dell’animazione missionaria per ogni battezzato. Il beato padre Paolo Manna (1872-1952), fondatore dell’opera, beatificato da Giovanni Paolo ii nel 2001, è nostro riferimento e fonte di ispirazione. Nel 2022 la Pontificia unione missionaria celebrerà i centocinquant’anni della nascita del suo fondatore. È l’occasione per riscoprire e rivivere il suo carisma, che è lo zelo per la formazione, animazione e sensibilizzazione missionaria di tutte le Chiese locali, a servizio del Papa e della Chiesa universale. In questo attingiamo dalla fonte originaria, che è Cristo: padre Manna invitava a essere “santi prima che apostoli” e, con un approccio piuttosto francescano, sottolineava che «è un controsenso predicare il Vangelo e non essere un Vangelo vivente».

Quali saranno i pilastri del suo servizio nell’Opera?

Le quattro colonne del servizio nella Pum sono: Cristo stesso, la Parola di Dio, la preghiera, la carità. Sono i pilastri che sorreggono l’edificio della missione della Chiesa. Questi sono i punti di riferimento. Lo sono stati per i fondatori delle Pontificie opere missionarie e lo sono per noi. Vorrei ricordare che le Pontificie opere missionarie hanno l’origine dalla Pentecoste dello Spirito che, con i suoi carismi, ha ispirato a impegnarsi per la missione due donne francesi (Pauline Marie Jaricot e Jeanne Bigard), un vescovo (Charles de Forbin-Janson) e un sacerdote (Paolo Manna), divenuti fondatori di un vasto movimento per la cooperazione missionaria nella Chiesa, diffuso ovunque. Pensando a loro, cercherò di collaborare con i segretari generali e di tenere viva la relazione con i direttori nazionali delle Pontificie opere missionarie, sparsi in tutto il mondo, e anche con i direttori diocesani, in ogni nazione. Avverto con chiarezza che, in questo servizio di animazione missionaria, non sono solo: accanto a me vi soni tutti i battezzati, in un’unica famiglia. La missione appartiene a Cristo e a tutta la Chiesa. Siamo anche in comunione con tutti quei missionari che, nel silenzio o lontani dai riflettori e dai social media, offrono ogni giorno la loro vita nella missione di annuncio, ascolto, dialogo, di testimonianza fedele a Dio e di servizio disinteressato al prossimo, soprattutto ai poveri e ai sofferenti. Siamo in comunione con loro e siamo al loro fianco.

Come entrerà lo stile francescano nel suo servizio e nella sua missione?

La via francescana della missione è fatta di misericordia, di fraternità, di coraggio nell’annuncio del Vangelo. Soprattutto passa attraverso la vita stessa. La testimonianza di vita accompagna e precede la parola, l’annuncio del kerygma, ed è sempre caratterizzata da uno spirito di cordialità e di pace. La missione è portare il dono dell’amore di Dio e della sua salvezza all’umanità. Vediamo in questo mondo, come dice Francesco d’Assisi, che l’Amore non è amato. Qui sta il nostro umile contributo di essere e offrire all’umanità un messaggio di amore e misericordia, sempre con gioia e affabilità. Qui sta la nostra parte: possiamo mettere a disposizione i nostri “cinque pani e due pesci”, ma è Cristo Gesù che fa il resto e che compie l’opera della sua missione. Vorrei ricordare le parole di san Massimiliano Maria Kolbe: «Solo l’amore crea». Solo l’amore è fecondo e generativo. Se, nell’opera di animazione missionaria, vogliamo essere creativi, è necessario iniziare dall’amore a Dio e l’amore al prossimo, binari dell’essere e dell’agire di ogni cristiano.

Padre Nguyên, quale contributo porterà dal Vietnam e dall’Asia e alla Chiesa universale?

Vengo da una “terra di missione”: sono nato in Vietnam da una famiglia cattolica da almeno tre generazioni. Custodisco nel mio cuore la fede vissuta nell’infanzia e nella giovinezza in Vietnam: lì il Signore ha acceso in me la vocazione al sacerdozio, grazie all’esempio di un prete redentorista che si prendeva cura dei bambini e giovani della parrocchia. Il Signore ha guidato il mio cammino fino qui, dopo tante tappe missionarie: dopo il liceo ho superato gli esami per entrare all’università e ho avuto l’opportunità di studiare ingegneria in Russia, nella città di Tula. Lì, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, sono approdati i missionari francescani dalla Polonia. Ho vissuto con loro le prime esperienze di missione porta a porta, di casa in casa, che tanto hanno segnato il mio viaggio umano e spirituale. Attratto da una missione vissuta nella dimensione comunitaria e fraterna, è nata la mia vocazione all’ordine francescano. Sono stato in Polonia per la formazione religiosa iniziale, come postulante, novizio e seminarista. Poi sono stato inviato a Roma per proseguire gli studi teologici e, dopo alcuni anni, ho avuto l’opportunità di insegnare teologia alla Pontificia facoltà teologica «San Bonaventura» - Seraphicum e, in seguito, alle università pontificie Urbaniana e Gregoriana. Credo fortemente che il Signore mi abbia preparato, tramite le diverse esperienze pastorali e missionarie, per il lavoro attuale, al servizio della missione del Santo Padre e della Chiesa universale. In questo pellegrinaggio tra diverse nazioni vorrei citare un incontro speciale: quello con il cardinale vietnamita François-Xavier Nguyên Van Thuân, accanto al quale svolgevo servizio da diacono, a Roma. Il cardinale mi ha lasciato una preziosa testimonianza di fedeltà quotidiana alla Parola di Dio, intessuta di umiltà, perdono e amore. È un’eredità che porto nel mio cuore. Oggi sono qui, dal Vietnam, perché, in ogni epoca e in ogni luogo, Dio chiama uomini e donne al suo servizio, donando loro la grazia necessaria. È il circolo virtuoso della missione, che ha sempre un respiro universale. Ci si arricchisce a vicenda e si uniscono le forze per servire meglio la Chiesa e il mondo.

di Paolo Affatato