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Quindici secondi
e miriadi di emoji

 Quindici  secondi  e miriadi di emoji  QUO-117
26 maggio 2021

Con centinaia di milioni di utenti, TikTok, il social preferito dai giovani, rappresenta un nuovo continente digitale nel quale portare la Parola di Dio, soprattutto adesso che  la pandemia limita la vita delle comunità


Il più emblematico tra di loro è forse don Fiel Pareja, un giovane prete filippino, che può vantare ben 1,7 milioni di fan. Da più di un anno, quasi ogni sera, dalla sua casa parrocchiale a nord di Manila, Pareja trascorre ore e ore a registrare brevi video, pregando, ballando e cantando i grandi successi della musica pop cristiana. Tutti i contenuti vengono poi messi in rete sul suo profilo TikTok, sperando così di raggiungere nuovi fedeli tramite quello che è diventato il social preferito dalla cosiddetta generazione z, quella nata dal 1995 in poi. I giovani, del resto, sono i maggiori frequentatori dei social e in tutto il mondo si contano centinaia di milioni di utenti che, attraverso questa app, guardano e creano video o clip musicali di massimo 15 o 60 secondi, eventualmente modificando la velocità di riproduzione, aggiungendo emoji a cascata, filtri ed effetti particolari. Di fatto, in ogni angolo del mondo, i preti che hanno adottato TikTok ottengono riscontri importanti soprattutto dopo che il Covid-19 ha imposto numerose e severe limitazioni alla vita in presenza delle comunità cristiane.

«Il nostro obiettivo è fornire contenuti pertinenti, creativi e “non noiosi», spiega don Pareja, ordinato poco prima dell’inizio della pandemia che ha costretto le autorità dell’arcipelago filippino a decretare per diversi mesi misure di isolamento. In maglietta o in casula, il sacerdote recita versi della Bibbia, propone preghiere in inglese o tagalog, la lingua nazionale filippina. Ciascuno dei suoi quasi 700 video ha ricevuto decine di migliaia di “like”, che gli sono valsi il soprannome di “padre TikTok”.

Dall’altra parte dell’Oceano Pacifico, nella città messicana di Puebla, Ezequiel Padilla spopola su TikTok nei panni di “padre Cheke”. Dalla sua parrocchia del Sacro Cuore e di San Gaetano, il sacerdote latinoamericano si mantiene costantemente in contatto con i fedeli. Il suo profilo oggi registra quasi 700.000 follower e 3,1 milioni di “like”. «La mia curiosità per questo social è iniziata nei primi mesi della pandemia», spiega il sacerdote. Allora nel suo paese la quarantena non era obbligatoria, ma lui, quarantasettenne, per «responsabilità», ha deciso di limitare i contatti diretti con le persone. «Essendo a casa non riuscivo a trovare molte attività — ricorda Padilla — e così ho iniziato a guardare i video. Poi, mi sono deciso a scaricare l’app e sperimentare io stesso la piattaforma».

TikTok è stato scelto anche da alcuni preti nei paesi di antica evangelizzazione. In Francia, ad esempio, il profilo di don Matthieu Jasseron, della diocesi di Sens-Auxerre, in Borgogna, sfiora i 400.000 iscritti. Con umorismo, il sacerdote risponde alle domande dei giovani utenti, spesso lontani dalla Chiesa. Domande sulla fede — come pregare, come farsi battezzare, cos’è il Paradiso — ma anche questioni ecclesiali, su tematiche come il sacerdozio femminile o il celibato. Uno dei primi preti francesi ad approdare sul continente TikTok è stato don Vincent Cardot, nell’ottobre 2019, grazie ai giovani della sua parrocchia. Usando il social network, il sacerdote della diocesi di Langres ha avuto l’impressione di scoprire un nuovo mondo, dove la fede è del tutto assente. «La sostanza non era davvero edificante — ricorda Cardot — ma mi sono detto che se non siamo lì per essere vicini a questi giovani, altri prenderanno questo posto, e non necessariamente per buoni motivi».

La pertinenza dei contenuti rappresenta infatti una delle sfide principali. «Il problema è proprio che TikTok non dà spazio all’argomentazione, l’obiettivo è colpire, impressionare emotivamente lo spettatore», commenta don Alberto Ravagnani, giovane sacerdote di Busto Arsizio diventato in pochi mesi un fenomeno mediatico con i suoi video su YouTube. «Se vuoi far passare un messaggio è molto difficile perché serve prima catturare l’attenzione del tuo spettatore — prosegue — questo rende diverso TikTok rispetto agli altri social ed è, in un certo senso, pericoloso perché c’è il rischio di sbilanciarsi solo sulla forma a scapito del contenuto». I sacerdoti sono quindi chiamati non tanto a ricercare il successo ma a dare la precedenza al messaggio che vogliono trasmettere. «TikTok pone l’accento sul viso, il corpo. Dietro questa coreografia personale, bisogna approfondire come “mettere in scena” il Vangelo», analizza per il nostro giornale don Vincent Breynaert, direttore del servizio nazionale della Conferenza episcopale francese per l’evangelizzazione dei giovani. «Questi preti si rivolgono ad un pubblico molto lontano dalla Chiesa, persone curiose ma sprovviste di ogni cultura religiosa o non praticanti. Bisogna riconoscere comunque che questi video suscitano centinaia di commenti, alcuni dei quali sono molto validi e necessitano di una risposta unificata, condivisa da tutti noi», afferma don Vincent. Per questo motivo «si è deciso di creare un gruppo di dialogo, riunitosi per la prima volta proprio ieri, composto da alcuni “preti TikTok” e da responsabili della comunicazione della Cef, al fine di far capire al pubblico che dietro ogni sacerdote presente sul social vi è un “noi”, per testimoniare il Vangelo».

di Charles de Pechpeyrou