Testimoni
Ricordo di padre Jean Fontaine, missionario dei Padri Bianchi

Innamorato della cultura
e del popolo tunisini

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26 maggio 2021

«È in Tunisia che ho trovato il senso della vita. Non solo perché ho diretto l’Institut des belles lettres arabes o il Centre d’études de Carthage, ma semplicemente perché ho incontrato persone che hanno aiutato me, migrante inverso, a rendere il Paese più umano». Jean Fontaine ha riassunto con queste poche righe, nel suo ultimo libro Solidaire aller… retour (Arabesques, 2020), il senso profondo degli anni che ha trascorso in Tunisia dove è morto il 1° maggio scorso. Missionario dei Padri Bianchi, arabista, grande conoscitore della letteratura tunisina, è stato stroncato dal coronavirus. Aveva 85 anni e tutto il mondo culturale tunisino è in lutto, tanto che la Biblioteca nazionale di Tunisi ha deciso di organizzare, a metà giugno, in occasione della commemorazione del quarantesimo giorno della sua morte, una mostra dedicata alla sua opera (ha scritto 26 libri) e alla sua attività nel sociale.

Era nato in Francia, a Saint-André-lez-Lille, nel 1936. Aveva 30 anni quando si stabilì definitivamente, nel 1965, dopo i primi viaggi di studi, in una Tunisia ancora travolta dall’euforia dell’indipendenza, ma già confrontata con l’imperativo della democratizzazione. Era un insegnante di matematica. Ma la sua passione era la letteratura. Presto gli fu affidata la gestione della biblioteca dell’Institut des belles lettres arabes (Ibla), di cui è stato curatore per dodici anni (1966-1977). Fino al 2008, inoltre, è stato direttore della rivista dell’Ibla sempre al centro della letteratura e della società tunisina, delle cause dei giovani, delle minoranze, degli stranieri in difficoltà e delle libertà.

Per due anni, dal 1964 al 1965, ha vissuto anche a Roma dove ha concluso il corso di arabo presso il Pontificio Istituto di studi arabi e islamistica (Pisai) con una tesi dal titolo «La rivolta religiosa degli scrittori libanesi nel xix secolo». La sua semplicità, la sua modestia, il suo senso dell’amicizia gli hanno aperto le porte delle case e il cuore di tutte le persone incontrate nel Paese africano e nei suoi tanti viaggi di studio in Mauritania, Marocco, Algeria, Libia, Egitto, Yemen, Kuwait, Giordania, Palestina, Libano, Siria, Iraq. «Senza amore non c’è conoscenza», diceva padre Fontaine. Anche l’Occidente lo ha invitato per tenere conferenze in Canada, Stati Uniti, Finlandia, Francia, Italia, Olanda, Romania.

Con grande coraggio ha dovuto anche affrontare due prove molto dure. La prima è stata l’incendio della biblioteca dell’Ibla, il 5 gennaio 2010, in cui sono andati in fumo documenti preziosi, faticosamente raccolti e accuratamente classificati. La seconda è stata una malattia, un cancro. Considerato tra i massimi esperti della letteratura araba, e tunisina in particolare, è stato, come detto, anche direttore del Centre d’études de Carthage dal 2017 al 2019. Padre Fontaine accanto alla sua grande passione per la cultura ne ha coltivata anche una minore: amava collezionare statuine di asinelli e ne ha raccolte centinaia in Tunisia e nei Paesi che ha visitato: in tutto il Maghreb gli asini sono stati il motore della società, il primo mezzo di trasporto, di lavoro e, quindi, un simbolo di progresso e di riscatto dalla povertà. Una collezione che, prima di morire, padre Jean Fontaine ha donato al governo tunisino.

di Rossella Fabiani