A Gerusalemme la veglia di Pentecoste per invocare la pace

Solo l’amore
può cambiare il cuore

Nadim Asfour/CTS
24 maggio 2021

«Su invito del Santo Padre Francesco, oggi tutta la Chiesa cattolica si unisce in questa preghiera corale con noi, Chiesa madre di Gerusalemme»: così ha esordito il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa, aprendo la preghiera per la pace che si è svolta sabato pomeriggio nella basilica di Santo Stefano retta dai domenicani, lungo la Nablus road, appena fuori la Porta di Damasco, teatro di innumerevoli scontri nelle passate settimane. Una liturgia della Parola che ha visto riunita, per la prima volta dal termine delle restrizioni sociali connesse alla pandemia, una folta rappresentanza della comunità cristiana di Gerusalemme. Molte religiose e religiosi, ma anche tanti cattolici di lingua araba contenti di potersi ritrovare lasciandosi alle spalle il doppio incubo della pandemia e dei bombardamenti delle ultime due settimane. Anche se la cessazione attuale delle ostilità ha restituito un po’ di serenità è però ben lungi dal risolvere i problemi all’origine della violenza. Un’origine tanto lontana nel tempo, ha detto il patriarca nella sua omelia, da rendere ormai difficile credere che la pace sia davvero raggiungibile. «Non è la prima volta che, proprio in occasione della veglia di Pentecoste, ci ritroviamo qui a pregare e intercedere per la fine della guerra nella nostra terra». Pizzaballa ha poi continuato ricordando come «la prima frase pronunciata da Gesù nel cenacolo dopo la Risurrezione è stata “Pace a voi”, poi ha effuso lo Spirito Santo. Per questo anche noi siamo qui in una sorta di nuovo Cenacolo, per chiedere al Risorto la pace, primo fra i frutti dello Spirito».

A significare il messaggio di pace che i cristiani di Terra Santa rivolgono a tutti i suoi abitanti, la liturgia si è espressa in più lingue. Il ritornello del Salmo è stato recitato in arabo, mentre il testo è stato proclamato in lingua ebraica. Così come è risultato intenso il momento della preghiera del Padre nostro, che ognuno ha recitato nella propria lingua realizzando quel profilo di Gerusalemme «casa di preghiera per tutti i popoli» (Isaia 56 ,7), che è in definitiva — secondo monsignor Pizzaballa — la vera identità della Citta santa, una città i cui tempi sono segnati «dai rintocchi delle campane, dai richiami del muezzin, e dai suoni dei corni»: Gerusalemme è di tutti.

Il patriarca ha riservato in seguito un’attenzione particolare alle tensioni che negli ultimi giorni si sono registrate anche all’interno delle città dove israeliani ebrei ed arabi vivono insieme: un segnale preoccupante che, ha detto, non può mettere in discussione il «carattere plurireligioso, pluriculturale e pluri-identitario della nostra società. Ma è stato anche bello, dall’altro lato, vedere che ci siano state anche manifestazioni di amicizia e fratellanza tra israeliani ebrei e musulmani. Lo Spirito ci renda capaci di una lettura redenta della nostra presente realtà», ha concluso il patriarca. «Solo l’amore, che è sinonimo dello Spirito, può cambiare il cuore dell’uomo».

di Roberto Cetera

Foto di Nadim Asfour/CTS