Vincere il “nomadismo esistenziale”

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22 maggio 2021

Il 20 maggio si è aperto, indetto da Papa Francesco, l’anno ignaziano per commemorare il quinto centenario dalla ferita che portò sant’Ignazio ad un radicale cambiamento di vita ed alla conversione.

Sant’Ignazio è ben noto come fondatore della Compagnia di Gesù, ma, in realtà, l’influenza della sua testimonianza e della sua spiritualità va ben oltre la Compagnia ed ha plasmato il percorso di intere generazioni di cristiani, ma anche di appartenenti ad altre religioni e di non credenti “in ricerca”.

Qui, come donna laica, vorrei svolgere alcune brevi riflessioni su quella testimonianza e su quella spiritualità, cercando di comprendere il valore ed il significato che oggi esse possono avere.

Innanzi tutto, la testimonianza della conversione di sant’Ignazio ci dice che Dio non aspetta che noi ci “arrampichiamo” fino a Lui, ma che irrompe nella nostra vita in modo assolutamente imprevedibile, sconvolgendo piani e progetti e riorientando tutte le nostre scelte.

Qualsiasi situazione, anche la più buia, può essere trasformata ed a questo proposito sant’Ignazio aiuta ricordandoci di agire come se tutto dipendesse da noi, ma poi abbandonandoci perché tutto dipende da Dio.

Riguardo, poi, alla spiritualità di sant’Ignazio, come emerge da tutti i suoi scritti ed in modo particolare dagli Esercizi spirituali, si vogliono qui sottolineare due aspetti, strettamente connessi, che oggi parlano a tutti e specialmente ai laici impegnati nel mondo: l’orientamento finalistico di tutta l’esistenza e la cosiddetta “indifferenza” ignaziana.

L’orientamento finalistico richiede che ognuno individui chiaramente quale è il fine ultimo della sua vita che, nella prospettiva ignaziana, non è un vagabondare senza meta e senza scopo, ma un pellegrinaggio indirizzato ad un fine che dà significato ad ogni singolo passo.

Si tratta, a questo proposito, di far emergere una precisa gerarchia dei fini, in cui il fine ultimo non annulla tutti quelli intermedi, come se essi fossero da abbandonare, ma li riorganizza in funzione di qualcosa che li trascende dando ad ognuno di essi il suo giusto valore.

L’“indifferenza” ignaziana, poi, è una diretta conseguenza del finalismo: sant’Ignazio non ci propone l’atteggiamento freddo e distaccato di chi disprezza la terra, i suoi beni ed i rapporti interpersonali, ma ci invita a lasciare ogni cosa, per quello che può valere in se stessa, per ritrovarla in Cristo, nella Sua luce e nel Suo amore.

Si potrebbe, ovviamente, sottolineare tanti altri rilevanti aspetti, ma già questi sono sufficienti per comprendere l’attenzione che, con l’anno ignaziano, Papa Francesco ha voluto riservare a sant’Ignazio ed allora ci si chiede: a chi parla sant’Ignazio nella nostra contemporaneità?

Sicuramente parla ai giovani, sui quali incombe il pericolo del “nomadismo esistenziale”, cioè della mancanza di un chiaro filo conduttore che guidi i passi che successivamente si effettuano, in vista di obiettivi significativi e vitali.

Parla, però, anche agli adulti che molto spesso vivono situazioni di identità frammentate, nelle quali è molto difficile ricostruire una solida unità, trovando un senso globale e complessivo, capace di illuminare scelte e decisioni.

In definitiva, l’anno ignaziano può essere un’occasione per tornare ad uno dei grandi maestri della tradizione spirituale cristiana, troppo spesso trascurata o dimenticata.

di Giorgia Salatiello