Dall’organizzazione di volontariato un aiuto continuo ai senza tetto

Nessun lockdown
per Missione solidarietà

 Nessun lockdown per Missione solidarietà  QUO-114
22 maggio 2021

Si rivolge a coloro che hanno perso tutto, che vivono ai margini della società, sulla strada, senza prospettive né speranze per il futuro, perché per loro il domani è soltanto oggi ed è un presente incerto. Si tratta di “Missione solidarietà”, un organismo di volontariato nato nel 2019 per volontà di Angelo Romeo, professore di sociologia alla Pontificia Università Gregoriana, da sempre attento alla realtà dei senza fissa dimora. «Ho iniziato questo percorso quando mi sono trasferito dalla Sicilia a Roma tanti anni fa — racconta —. Fino a quel momento non avevo una chiara percezione di cosa realmente fosse la povertà, non l’avevo toccata con mano. Poi un giorno, affacciandomi su via dei Mille dove abitavo all’epoca, vidi alcune persone che rovistavano tra i rifiuti gettati nelle pattumiere. Gli scarti degli altri erano il cibo di cui si nutrivano. Quella visione ebbe su di me un impatto decisivo, capii cosa significasse essere poveri in una grande città». Toccato da quell’immagine di miseria, Romeo comincia a distribuire pasti caldi ai senzatetto che dormono a Termini. Non li chiama mai “barboni”, nel rispetto che deve alla loro complessità di essere umani, persone che hanno avuto vite difficili, sfortunate. Un passaggio cruciale nella sua opera di carità, che porterà poi alla nascita dell’associazione, arriva grazie all’incontro con le suore di madre Teresa di Calcutta e la mensa “Casa Dono di Maria”. «Lì ho fatto esperienza diretta, immediata, con la povertà. Ho sentito il carisma di madre Teresa, la sua relazione con gli ultimi, i suoi insegnamenti mi hanno aiutato ad approcciarmi ai senzatetto senza alcuna paura. Mi sono reso conto che non chiedevano soltanto un pasto, ma un rapporto vero, un ascolto sincero. Ho cominciato a familiarizzare con loro. La mensa — spiega — è un luogo di passaggio, dove i poveri entrano, si siedono, mangiano e vanno via. In strada il discorso cambia, siamo noi a cercarli, siamo noi a trovarli. Si sentono meno soli, alla pari di chi va ad aiutarli». Proprio frequentando la “Casa Dono di Maria”, Romeo si accorge di come il suo servizio di sostegno ai senza fissa dimora può diventare più incisivo il giovedì, giorno della settimana destinato per le suore di madre Teresa esclusivamente alla preghiera. «La mensa non era attiva, così ho deciso di far da mangiare a casa mia con l’aiuto di altri volontari, per poi recarmi di persona tra le banchine del Tevere a lasciare un piatto caldo e dialogare con i clochards che incontravo. La mano di Gesù mi ha sempre accompagnato in questo cammino, non mi sono mai sentito solo». Tra i tanti poveri incrociati lungo questo percorso di avvicinamento agli ultimi, gli invisibili di cui ricordarsi in ogni stagione dell’anno e non solo a Natale, il presidente dell’associazione ricorda Jonas, un uomo di nazionalità marocchina che aveva trovato rifugio dalle sofferenze e dall’emarginazione della strada nell’alcol, in quello stordimento che per un lasso di tempo consente l’oblio, l’illusione di essere altrove. «Lo hanno trovato morto, fu un duro colpo per me. Lo porto nel cuore, lo ricordo sempre per l’infinito senso di solitudine che i suoi occhi trasmettevano». Uno degli elementi rilevanti che emergono dall’intenso racconto di Romeo è che i nuovi poveri, con cui mai avrebbe pensato di interagire così di frequente, sono i padri separati. Uomini sprovvisti di risorse economiche, impossibilitati a sostenere la propria famiglia e sé stessi, che in poco tempo finiscono sulla strada. Tra i senza fissa dimora ci sono anche molti ex detenuti, che faticano a reinserirsi nel tessuto sociale e si ritrovano sui marciapiedi o a rinfoltire le frange della malavita. A loro porta cibo e speranza “Missione solidarietà”, la cui opera di carità non ha subito battute d’arresto neanche durante la pandemia, nonostante l’impossibilità di un’interazione a stretto contatto. Negazione, quest’ultima, che ha creato un doppio distanziamento, sociale per via dell’emarginazione nella quale costantemente i clochards vivono, e fisico, non essendo consentito accostarsi troppo a loro. Tuttavia, anche durante l’emergenza sanitaria, il presidente dell’associazione, coadiuvato da altri volontari, ha continuato a cucinare in casa sua fino a cento pasti ogni giovedì e a consegnarli ai senzatetto che popolano le vie della città, in particolare nei pressi di San Pietro. «Partiamo dalla scala opposta all’ospedale Santo Spirito in Sassia, percorriamo le banchine del Tevere fino al carcere di Regina Coeli, per poi tornare a via della Conciliazione. Molti commercianti ci mettono a disposizione dolci e pizza, che inseriamo in una busta confezionata all’interno di borse termiche, dentro le quali oggi trovano spazio anche le mascherine chirurgiche. Restiamo a parlare con i poveri che incontriamo anche due-tre ore consecutive. Nel mese di maggio recitiamo un mistero del Rosario per celebrare la Madonna», conclude Romeo.

«Prepariamo i pasti grazie alle donazioni di persone comuni che preferiscono rimanere anonime, come coloro i quali vivono sulla strada — spiega Patrizio Gemello, volontario e segretario dell’associazione —. Poi indossiamo le casacche azzurre con il nostro logo, un tratto distintivo che ci consente di essere riconosciuti facilmente, e ci avviamo per le vie della città. Ci approcciamo a loro con estrema cautela, all’inizio sono più diffidenti, quando comprendono che siamo lì per supportarli si aprono. Esistono clochards per scelta e altri che lo sono diventati per necessità. Non vogliono essere giudicati, questo li accomuna. Non chiedono nulla, se non il minimo indispensabile — prosegue Gemello —. Quando ricevono un piatto caldo, una parola di conforto, è come se si sentissero riconosciuti. Ma spesso sono proprio loro a dare qualcosa di significativo a noi. Il segreto dei nostri scambi è il dialogo, la parola. Oggi la comunicazione è cambiata e non tutti possono adeguarsi ai nuovi mezzi, in particolare coloro che non hanno a disposizione pc e cellulari. Questa condizione li pone ancor di più al di fuori della società e delle logiche che la governano». Le storie di vita che raccontano Angelo e Patrizio sono di uomini e donne particolari, che hanno trovato nell’abbraccio di “Missione solidarietà”, un posto caldo in cui potersi sentire finalmente accolti e rispettati. Poco importa se il luogo fisico dell’incontro rimane la strada o un ponte, lo spazio in cui i volontari e i senza fissa dimora si ritrovano è un “altrove” fatto di assistenza, soccorso e solidarietà. Come nel caso di Cristina, una donna che li aspetta tutte le settimane quasi fossero suoi figli. «In passato era un’ostetrica che ha fatto nascere tanti bambini. Non so altro di lei, né di come sia finita sulla strada. Sento il suo spirito materno, è accudente e caloroso. Adora Papa Francesco e ci invita sempre a recitare una preghiera per lui», aggiunge infine Patrizio.

La miseria, cui cerca di far fronte l’attività di assistenza ai bisognosi svolta da “Missione solidarietà”, non è fatta soltanto indigenza materiale, mancanza di cibo e beni di prima necessità, ma soprattutto di solitudine, emarginazione sociale, bisogno di accoglienza. A queste urgenze tenta di provvedere il suo presidente, insieme ad altri volontari, mediante un’infaticabile opera di carità, che prova a portare sollievo ai senzatetto, ormai sempre più numerosi anche a causa dell’inasprimento della crisi economica, per le strade della Capitale.

di Lorena Crisafulli