La lezione di Ignazio

Il cambiamento è possibile

Ignazio ferito durante la battaglia di Pamplona
22 maggio 2021

Íñigo López de Oñaz y Loyola, fu un uomo del suo tempo; è stato terribilmente criticato e lodato, amato e odiato, diffamato e difeso, incompreso e sostenuto; cavaliere, cortigiano, mendicante, studente, peccatore e santo. Marcelino Menéndez Pelayo, grande erudito e scrittore spagnolo, diceva: «Ignazio è la più viva personificazione dello spirito spagnolo nella sua età d’oro. Nessun leader, nessun saggio ha avuto un’influenza più potente sul mondo».

Vale la pena ricordare la conversione di Ignazio di Loyola, la sua lotta interiore? È conveniente parlare oggi della sua santità?

Forse basterebbe mettere in rilievo le sue diversità da far risalire ai diversi livelli o dimensioni della sua unica poliedrica personalità e alla ricchezza dei doni ricevuti da Dio messi in evidenza con la sua lotta interiore e la sua conversione.

In modo particolare oggi si abbina il nome di Ignazio di Loyola al dono del discernimento spirituale. Però, spesso si limita la stima del santo per questo dono a lui elargito in maniera straordinaria alla sua sola capacità di cogliere i segni dei tempi, i segni di Dio nella storia, marcata allora, nel secolo xvi , da un cambio epocale — un po’ come ai nostri giorni — perché tesa tra un mondo vecchio, il Medioevo duro a morire, e il mondo nuovo dell’Umanesimo, del Rinascimento e della modernità che stava per venire alla luce e affermarsi sempre più.

La Compagnia di Gesù, insieme a tutta la Chiesa, e ovviamente alla Pontificia Università Gregoriana desidera ricordare quel momento privilegiato in cui lo Spirito Santo lo guidò nella sua decisione di seguire Cristo e il significato profondo di questo pellegrinaggio per “approfittarne”. Mi sembra molto significativo che quest’oggi si apra un Anno Ignaziano con il ricordo della prima conversione e che questa celebrazione avrà come fulcro centrale il 12 marzo 2022, giorno che commemora il quarto centenario della canonizzazione di sant’Ignazio insieme a san Francesco Saverio, santa Teresa di Gesù, san Isidro Labrador e san Filippo Neri. Conversione e santità.

A mio avviso, celebrare questo anno potrebbe essere un’occasione, un appello, per permettere al Signore di operare la nostra conversione e ridestare la nostra missione. Può essere un momento di trasformazione che libera nuova energia, nuova libertà, nuove iniziative, nuovo amore per gli altri e per i nostri fratelli e sorelle più afflitti, specialmente in questo tempo di pandemia. Ricordare sant’Ignazio di Loyola e la sua conversione ci dà nuovo slancio per rafforzare la speranza e credere che il cambiamento è possibile e che i nostri “cuori di pietra” possono diventare “cuori di carne”.

Sant’Ignazio di Loyola ”non è un santo facile”


La capacità di discernimento spirituale in Ignazio risplende soprattutto viva nella sua capacità di cogliere, di avvertire e di distinguere i vari aspetti e le varie componenti della sua ricca personalità spirituale e dei diversi livelli del suo carisma. E con questo, la sua risposta alla chiamata alla santità. Ignazio è un uomo di grande attività, ma nello stesso tempo, ha lasciato numerosi scritti attraverso i quali possiamo arrivare a conoscerlo intimamente; questi suoi scritti, poi, sono di generi letterari così diversi e di contenuti così disparati che se si accostassero senza conoscerne l’autore si potrebbe essere facilmente indotti a ritenerli composti da persone diverse.

Di fatto si tratta soltanto di una diversità da far risalire ai diversi livelli o dimensioni della sua unica poliedrica personalità e alla ricchezza dei doni ricevuti da Dio, messi in evidenza con la sua lotta interiore e la sua conversione. In modo particolare oggi si abbina il nome di Ignazio di Loyola al dono del discernimento spirituale e, questo ci aiuta, senz’altro ad avvertire e distinguere i vari aspetti e le molteplici componenti della sua ricca personalità spirituale e i diversi livelli del suo carisma e la sua grande capacità di pedagogo che ha imparato da Dio pedagogo, il suo ideale di «fare altri santi» con la comunicazione della possibilità di vivere la vita intensamente; di gestire e superare le prove e i fallimenti, di lasciarsi accompagnare da altri, di non avere paura del silenzio e la solitudine, di comprendere che la vita è solo un pellegrinaggio e, soprattutto di avere come unico baricentro della vita il Signore Gesù e questo, povero e umile, unico cammino a Dio, l’unico Assoluto.

Discernere la presenza di Dio e trovarlo in tutte le cose


La figura di Ignazio di Loyola ci conduce con estrema facilità a una riflessione molto attuale di un’esperienza spirituale cristiana dei nostri giorni. Rappresenta anche un esempio di come il carisma incarnato dall’uomo che vive una lotta interiore forte e su cui si basò la sua conversione spirituale comunicandola all’Istituto religioso da lui fondato, insieme con altri nove compagni universitari, risponda alla chiamata universale alla santità. Ce lo ricorda la Costituzione dogmatica Lumen gentium del concilio Vaticano ii al numero 50 e che il cardinale Semeraro ci ricorda spesso: «Il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura (cfr. Eb 13, 14 e 11, 10); nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità. Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell’immagine di Cristo (cfr. 2 Cor 3, 18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo regno verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cfr. Eb 12, 1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati.

«Non veneriamo però la memoria degli abitanti del cielo solo per il loro esempio, ma più ancora perché l’unione della Chiesa nello Spirito sia consolidata dall’esercizio della fraterna carità (cfr. Ef 4, 1-6). Poiché, come la cristiana comunione tra i cristiani della terra ci porta più vicino a Cristo, così la comunità con i santi ci congiunge a lui, dal quale, come dalla loro fonte e dal loro capo, promana ogni grazia e la vita dello stesso popolo di Dio. È quindi sommamente giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo, che sono anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio, “rivolgiamo loro supplici invocazioni e ricorriamo alle loro preghiere e al loro potente aiuto per impetrare grazie da Dio mediante il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro, il quale solo è il nostro Redentore e Salvatore”. Infatti ogni nostra vera attestazione di amore fatta ai santi, per sua natura tende e termina a Cristo, che è “la corona di tutti i santi” e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato».

Il cammino di Ignazio di Loyola verso la santità ugualmente ci consegna la consapevolezza che ogni carisma deve essere caratterizzato da alcuni aspetti forti e peculiari che portano novità alla Chiesa ma sempre fedele alla tradizione ecclesiale.

Di fatto, nell’eredità spirituale del Santo, troviamo molti aspetti che lo presentano come l’uomo del suo tempo, che ha vissuto la sequela di Cristo e il suo desiderio di essere configurato a Lui in modo specifico, secondo il proprio carisma, sempre in comunione con la Chiesa e con i santi che gli hanno insegnato a vivere la sua identità con una coerenza e uno zelo apostolico sempre più appassionato, come pure un profondo desiderio di fare tutto, sempre e solo, per la maggior gloria di Dio.

Una tappa importante e significativa dell’itinerario spirituale di Ignazio tra l’ordinazione sacerdotale a Venezia nel 1537 e la professione dei voti religiosi a Roma nell’aprile 1541, è data dalla celebre Visione de La Storta, a 16 Km da Roma, mentre il pellegrino stava dirigendosi verso la città eterna in compagnia del Laínez e del Fabro, i due compagni convocati a Roma per insegnare teologia alla Sapienza durante l’anno di attesa prima di partire — secondo le loro intenzioni ancora vive — per Gerusalemme. Ignazio ricorda soprattutto che Dio Padre lo aveva messo con Gesù Redentore che porta la croce, come da parecchio tempo profondamente desiderava e insistentemente chiedeva nella preghiera attraverso l’intercessione di Maria. Ignazio coglie come fondamentale nella visione l’essere costituito compagno di Gesù da parte del Padre stesso. Percepisce la visione come una rivelazione divina della propria vocazione, della propria identità, e come un’autentica grazia mistica che conferma tutto un lungo itinerario apostolico sul quale Dio lo aveva guidato da parecchi anni. Questo tuttavia non è che un aspetto di tutta la grazia straordinaria di quel novembre 1537 alle porte di Roma.

Ignazio non è chiamato solo alla mistica dell’unione («Iddio Padre lo metteva con Cristo suo figliuolo» Autob. n. 96), ma anche alla mistica del servizio, a consacrare — cioè — la propria vita al servizio di Dio (il Padre — secondo il racconto della visione fatto dal padre Laínez e approvato da Ignazio stesso — dice a Cristo alludendo ad Ignazio: «Io voglio che tu pigli questo per tuo servitore» e Cristo ad Ignazio «Voglio che tu ci serva»).

È una visione trinitaria e cristologica-soteriologica nella quale Dio assicura la propria protezione e assistenza contro i pericoli che di lì a poco Ignazio e i compagni incontreranno e nella quale viene chiaramente indicata ad Ignazio e ai compagni l’orientazione ecclesiale-romana che la loro vita assumerà. In realtà, essi non riusciranno a partire per Gerusalemme, e Roma diventerà la loro Gerusalemme: Ignazio e i compagni sono chiamati a servire Cristo che porta oggi la croce nella Chiesa, a servire in concreto la Chiesa che in Roma ha il centro universale nella persona del Papa. Sebbene solo Ignazio ebbe questa visione, anche i compagni ne sono interessati e coinvolti nel suo significato più profondo.

Non solo Ignazio, ma tutti i Compagni con Ignazio, quale loro Padre e fondatore, sono accettati dal Padre, sono messi con Cristo e misticamente costituiti Compagni di Gesù per servirlo oggi, presente nella Chiesa, per la gloria di Dio e il bene delle anime. A tutti viene assicurata una particolare assistenza di fronte alle imminenti prove e tribolazioni. A motivo di ciò la visione a La Storta è stata vista fin dall’inizio della Compagnia e da Ignazio stesso in stretta relazione con il nome “Compagnia di Gesù”, nome che già i primi compagni avevano scelto e deciso nel settembre precedente, a Vicenza.

Ad appena due mesi, ora, questa visione è una conferma divina del discernimento e della decisione da essi operata. Ne è ulteriore conferma il fatto che, più tardi, nella primavera del 1539, quando si tratterrà di dare un nome definitivo e ufficiale al gruppo che sta per costituirsi come ordine religioso, la visione a La Storta sarà per Ignazio motivo decisivo e sufficiente per chiedere ai Compagni che non si cambi il nome deciso a Vicenza: per lui e per i compagni il nome “Compagnia di Gesù” è tutto un programma. Compendia tutta l’essenza e la missione dell’ordine: un servizio a Dio nell’aiuto alle anime in unione con Cristo crocefisso vivente oggi nella Chiesa sotto il Romano Pontefice.

Tutto questo fa parte della lotta spirituale, dei diversi gradi della sua conversione e cammino alla santità, insieme alle tribolazioni che ad Ignazio erano state misticamente rivelate nella visione de La Storta e di quel pedaggio che la novità carismatica molte volte ha da pagare per aver diritto di cittadinanza nel grande fiume della tradizione della Chiesa.

di Jaime Emilio González Magaña, s.i.