LA FAMIGLIA NELL'ARTE
Schiele tra sentimento della morte e speranza

Quelle mani (di Maria)
che trasmettono amore

«La sacra famiglia» (1913, particolare)
21 maggio 2021

Egon Schiele dipinge La famiglia (1918) dopo le sue nozze, avvenimento che ha rappresentato o doveva rappresentare una svolta nella sua vita. Ma il matrimonio — che normalmente dà la possibilità di progettare una nuova vita in due, di riscattare le proprie origini, sanare ferite, avere figli — non riesce a dissuadere Schiele che nella vita tutto è morte. Qualche anno prima aveva provato a sperare in una vita nuova dipingendo una famiglia, questa volta declinata come “sacra”. Una speranza? Dipingere una “Sacra famiglia” prima di formarsene una doveva essere un buon auspicio? Un affidamento interiore, intimo, alla famiglia santa? Non lo sapremo mai. Notiamo che non vi è molta differenza tra La sacra famiglia (1913) e La famiglia (1918), ovvero tra l’ideale e il reale. La pittura di Schiele non mente mai, ecco perché le due famiglie dicono la stessa verità: la morte inevitabile. Schiele dipinge un’umanità disperata, logora, spenta, quasi in decomposizione. Linee taglienti, acute, mani che sembrano dire la loro capacità di fare il male e di far male (forse contaminazione della pittura bizantina, dove mani e viso dicono la personalità). Si possono intravedere nelle due famiglie richiami fiochi alla vita, come se, per qualche secondo, il senso di colpa e l’angoscia della morte svanissero. Tutto legato alla sua esperienza di famiglia, dove la felicità ha rappresentato un’istante, visto che l’influenza spagnola porterà via la sua Edith. Abbiamo sovrapposto le due famiglie in pittura di Schiele perché l’una è l’estensione dell’altra. Nel dipinto del 1918 il bambino è stato inserito successivamente. Morto nel grembo a causa della spagnola. Nell’opera del 1913 sembra già prefigurato, come una premonizione, Gesù sembra fluttuare nella placenta di Maria, come il figlio del pittore, che non ha visto la luce ma è rimasto unito alla madre nella morte. Morte che l’artista ha ritratto, dipingendo l’agonia della moglie.

La sacra famiglia appare come un’espressione di fatica. La fatica di amare, inseguita da Schiele, vissuto in Austria tra ‘800 e ‘900, si conferma nel suo dipinto. La coppia di sposi, Maria e Giuseppe, che dovrebbe essere unità di anime perfetta, nella versione di Schiele diventa un quadrato di difficoltà.

Difficoltà che attrae perché la forza espressiva di Schiele coglie quel lato oscuro in cui l’osservatore si identifica. Le ombre dell’esistenza disturbano la ricerca estetica di una certa bellezza, ecco perché questa pittura attrae, perché non troviamo quel che cerchiamo e ci provoca a cercare meglio. Gesù, Maria, Giuseppe vengono rappresentati come persone segnate da un destino incerto, chiamati da Dio a realizzare l’impresa più assurda della storia, portare al mondo il Salvatore, permettergli di amare, di rivelarsi. I loro cuori sono inquieti per quell’incertezza sul destino del figlio che si schiarirà solo nell’esperienza contro natura, di vedere un figlio morire.

Entriamo nel “quadrato di difficoltà”. Giuseppe ha il viso scavato, la mascella contratta, le labbra serrate, la fronte aggrottata. Non trasmette quella forza che dovrebbe infondere il custode di Gesù. Non guarda la sposa, neppure il bambino. Cosa pensa? Ci colpiscono le mani. Si incrociano con quelle della sposa formando una specie di grata. Rigide come rami, più legno che carne. Si direbbe che non sono in grado di compiere nulla, meno che mai un gesto di tenerezza nei riguardi di Maria e Gesù. Eppure le mani per un pittore sono tutto: vita, lavoro, il mezzo attraverso il quale dipinge. Da sempre le mani comunicano, dicono il carattere come sulle pitture rupestri (Cueva de las Manos Patagonia). Leonardo nel Cenacolo, attraverso le mani degli apostoli, descrive la reazione, diversa secondo la personalità di ognuno, alla notizia del tradimento di uno di loro. Le mani di Giuseppe sembrano chiodi, uncini, lame di spada, coltelli. Rimandano agli strumenti della passione, come se Giuseppe, escluso dalla narrazione della passione e morte, volesse dirci “so come morirà mio figlio”.

Anche le mani e lo sguardo della Madonna ci colpiscono. Una mano è rigida e si incrocia con quella di Giuseppe. L’altra va verso il Bambino, in un cenno di protezione. Gli occhi sono belli sì, di un azzurro speciale. Maria con quegli occhi belli non riesce a dar voce al suo sguardo. Gli occhi sono una cosa, lo sguardo è un’altra. Il capo è chino dalla parte opposta del bambino, disallineando il profilo del naso fino a farlo sparire, il biondo dei capelli si perde in un mantello marrone. Non è di cielo, ma di terra. Non è un mantello di grazie ma è un fardello che sa di morte, caducità, umanità che pesa sul fiat di Maria e che passerà a Gesù sul marrone e nodoso legno della croce.

Rappresentando i corpi in modo scomposto, grotteschi, indecenti, dolorosi, con muscoli contratti come se fossero in preda a convulsioni, Schiele, pittore espressionista, cerca di trasmettere il disagio che prova chi non trova il significato della corporeità. Di chi non riesce a cogliere l’equilibrio del tutto: come armonizzare l’energia, la passione e la tenerezza? Schiele non trova il senso del corpo in riferimento all’altro e vuole gridarlo attraverso le opere. Qui i corpi sono mortificati, le mani sembrano attaccate al collo o sbucano da ingombranti tuniche nere, forse per simboleggiare l’assenza di fisicità nel matrimonio di Giuseppe e Maria, per sottolineare quel segreto ripudio. Tutto crollava intorno a Egon, come l’Impero Austroungarico, la sua patria. Conosce momenti terribili, come la malattia del padre che gli causa problemi mentali. Il rapporto con la madre rimane difficile e Schiele cerca di scoprire l’universo femminile attraverso la raffigurazione di bambine, ragazze e donne. La prima è la sorella Gertrude, poi chiederà a tante ragazze di posare, tra di esse Wally Neuzil, sua amante per anni. La pittura libera gli causerà l’accusa di pornografia e alcuni giorni di carcere, dietro la denuncia del padre di una giovanissima modella. Finalmente, dopo tanto disordine, aveva raggiunto un affetto stabile, suggellato dalle nozze con Edith Harms.

C’è una speranza quindi, nella raffigurazione della famiglia. Una mano di Maria si avvicina al figlio, in una trasparenza sui toni caldi del giallo, del rosso e dell’arancio che ritroviamo all’interno del suo mantello e nella manica di Giuseppe. Gesù conquista, influenza positivamente, salva. Chiuso in una forma ovoidale, vuole uscire. Le sue mani aperte, vogliono rompere il diaframma che lo separa da noi: «Le cose non vanno, esco a spiegare il senso della vita, il vangelo, la bella notizia sull’uomo e sulla donna, sulla paternità e maternità e tutto questo renderà felici». Nell’incertezza di proseguire il cammino intrapreso, gli sposi finiscono col non guardarsi più, come nella tela di Schiele. Ci sono coppie che si separano dopo l’arrivo di un figlio. Ma seguire Gesù sull’amore di coppia è fonte di felicità, non di dolore. Papa Francesco dice che la famiglia è un contesto educativo e che servono gesti esteriori per rafforzare i legami familiari. Un bacio, un dono, una sorpresa, un biglietto d’amore a ogni età, aspettarsi per pranzare o cenare: gesti che creano stabilità, protezione. L’Amoris Laetitia ci invita a guardare la situazione reale, accettando i limiti delle famiglie. «Nella prospettiva della pedagogia divina, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano».

Schiele, con il matrimonio, stava raggiungendo un equilibrio. Ventotto anni, una brillante attività, una sposa innamorata e un bimbo in arrivo ora gli prospettavano un futuro luminoso. La pandemia del xx secolo porta via il suo maestro e mentore: Gustav Klimt. Aveva incoraggiato la sua arte, gli aveva comprato molte tele e introdotto nel mondo degli artisti. Mesi dopo, Edith, con il bimbo di sei mesi in grembo, viene contagiata e muore il 28 ottobre. Il giovane Schiele muore tre giorni dopo.

di Massimiliano Ferragina
e Luca Pasquale