Un grande paese con le ali

 Un grande paese con le ali  QUO-111
19 maggio 2021

Alle prove si presentò in anticipo. Per l’edizione della Notte della Taranta dell’agosto 2004 avevo dato vita a un’orchestra molto originale composta da strumenti popolari: circa una settantina di strumentisti, fra cui decine di organetti, zampogne, chitarre battenti, mandole e mandolini, ghironde, violini e poi tanti tamburelli e percussioni. Avevo voluto mettere sul palco tutto il territorio del Salento scegliendo con Sergio Torsello musicisti e cantanti provenienti da ogni piccolo centro della provincia di Lecce: era un grande paese con le ali la mia orchestra. C’era molta attesa per le prove generali e sopratutto per il suo arrivo.

Come in ogni progetto visionario c’erano tanti buchi ancora da riempire e questo mi preoccupava. Temevo la reazione di questo gruppo così eterogeneo e poco esperto a suonare di fronte ad un personaggio così importante che, nonostante tutte le difficoltà insite nel progetto, aveva accettato di interpretare dei canti popolari in dialetto, spinto dalla sua naturale generosità e dal suo entusiasmo. Ma appena andai incontro a salutarlo il mio malessere svanì.

Franco Battiato, accompagnato da Giovanni Lindo Ferretti, all’epoca mio sodale in quell’impresa e suo grande amico, incominciò a salutare calorosamente tutti i musicisti. Non aveva mai visto tanti strumenti popolari insieme e questo lo elettrizzava. Tutti gli orchestrali erano emozionati e commossi per le belle parole con cui Franco si era presentato. Iniziammo così a concertare i brani in programma senza timori e come per incanto l’orchestra girò con scioltezza ed energia su un ritmo incalzante che in pochi minuti riuscì a contagiare tutti i presenti. Franco ci aveva uniti.

Con le sue parole e la sua eleganza da galantuomo meridionale ci aveva contagiato diventando il nostro “centro di gravità” permanente. Tanto che l’indomani, al Concertone, la sua energia fu così contagiosa che tutto il pubblico lo acclamò decretando il successo straordinario di quella iniziativa. Un’edizione che rappresentò una svolta nella storia di quel festival.

Ricordo che prima del concerto ci fermammo a parlare in camerino con Manlio Sgalambro sul valore della tradizione popolare e del suo potere fascinatorio. Franco citava testi tratti da culture e saperi diversi ma aveva un’attenzione specifica alla sua terra siciliana. Conosceva tutte le raccolte ottocentesche di canti popolari con un’attenzione particolare a quelle del Pitrè e del Favara. A un certo punto il nostro dialogare ci portò a parlare del valore simbolico dei luoghi e in particolare di quei territori (come il Salento) sospesi tra mare e distese di ulivi, in cui secondo un’arcaica credenza ogni angolo può offrire il senso della presenza o della manifestazione di qualcosa di sacro che l’uomo avverte o può avvertire, a qualsiasi tipo di religione appartenga.

Le sue parole curarono l’ansia che mi divorava per lo spettacolo che da lì a pochi minuti avrebbe avuto inizio rendendomi sicuro e generoso di fronte a un muro umano di ottantamila persone che volevano vivere una notte calda di musica e di gioia per la vita. «Damme ‘na mano e tienimela forte, così fino alla morte e non mi abbandonare». Così cantò Franco quella notte e così voglio ricordarlo ora che ci ha lasciato.

di Ambrogio Sparagna