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I tre Gino Cervi

 I tre  Gino Cervi  QUO-110
18 maggio 2021

A Bologna, in via Cartolerie, c’è il vecchio e glorioso Teatro Duse. In quella stessa via, al civico numero 3, è nato (nel maggio del 1901) Gino Cervi. Difficile pensare che nascere sotto lo stresso portico di uno dei teatri storici della tua città, non influisca circa quello che vuoi fare da grande. Da grande, di solito, vuoi fare ciò che è stato potente quando eri ragazzo. Gino Cervi è riuscito a diventare “volto”, a essere il viso di alcuni personaggi indimenticabili dell’immaginario popolare italiano. Ma nel ricordo della gente non ci entri solo quando la tua faccia diventa quella indissolubilmente legata a certi personaggi bensì quando, a quel personaggio, hai saputo aggiungere qualcosa di tuo. Di volti, Cervi, ne ha incarnati almeno tre; il Maigret della versione televisiva italiana, quello del cardinale Lambertini del drammaturgo bolognese Alfredo Testoni e infine quel Peppone che Guareschi sembrava aver scolpito sulla sua figura. Pensate alla distanza di questi tre personaggi e a quanto Cervi abbia saputo calare in ognuno di essi, qualcosa di suo. Quella seriosità bonaria che tutti ricordiamo, un burbero col cuore pronto. Una seriosità fatta di intuito e dimestichezza con l’umano (nel Maigret) una seriosità macchiavellica e pungente nel Cardinale Lambertini, una seriosità “fumantina” ma pronta ad esplodere in bontà nel Peppone amico/avversario di don Camillo. Immediatamente alto è l’inizio di Cervi a teatro, siamo nel 1924 ed è un testo di Henri Diamant Berger (La vergine folle, a sua volta ispirato al dramma di Henri Bataille) che gli spalanca il mondo del palcoscenico. L’anno successivo, ancora giovanissimo, lo chiama Luigi Pirandello nella Compagnia del Teatro d’arte di Roma, lo attende una parte ne i Sei personaggi in cerca d’autore. A quel tempo il grande schermo attingeva dal teatro, non viceversa, pertanto dopo alcuni passi nel cinema storico di Alessandro Blasetti arriva Quattro passi fra le nuvole (sempre di Blasetti). Un film semplice, partecipe dell’avventura neorealista, nel quale Cervi interpreta un commesso viaggiatore cui una ragazza madre chiede di accompagnarla a casa e dichiarare alla famiglia che lui è il padre del bambino. Ma è grazie ai film ispirati alla saga di Guareschi che Cervi trova una sua vis da commedia, in prolifica e virtuosa sintonia con Fernandel, l’attore francese che dava volto a don Camillo. L’amicizia fra i due divenne talmente profonda che, alla morte di Fernandel durante il sesto episodio della saga, Cervi lasciò anch’egli la parte di Peppone e non volle terminare le riprese. La tv gli riconsegna poi il ruolo del cardinale Lambertini ispirato all’opera di Testoni. La commedia ha per protagonista il cardinale bolognese Prospero Lorenzo Lambertini, futuro Benedetto XIV, arcivescovo di Bologna dal 1731 al 1740. Astuto e sarcastico, Lambertini è anche profondamente umano, la sua lingua è sapida e tagliente ma sempre in ascolto della pancia più popolare della sua gente. Ma è ovviamente il Maigret televisivo del 1964 a consegnargli il suo volto più immortale. Quattro stagioni, sedici sceneggiati divisi in trentacinque puntate, un successo gigantesco di pubblico (toccò i 18 milioni di telespettatori) e di critica (la forza di quella Rai era questa, dare tanto a tanti). Per le prime due serie, del 1965 e del 1966, attenendosi più strettamente all’epoca nella quale erano ambientati e pubblicati gran parte dei romanzi originali di Simenon, fu scelto di ambientare gli episodi negli anni Trenta-Quaranta (basta osservare gli arredi e gli abiti indossati, gli apparecchi telefonici e i modelli di automobile). A partire dalla serie del 1968, invece, l’ambientazione fu riportata al contesto contemporaneo, vale a dire agli anni Sessanta per la terza serie, e ai primi anni Settanta per la quarta e ultima serie. Del Maigret originale Cervi custodisce quella sua capacità di calarsi nel mondo, di ascoltare  e osservare chiunque, di annusare la pena dei criminali e la miseria di una certa “gente perbene”, unita a una sorta di “irraggiungibilità” che ne fa, sostanzialmente, uno che al risolvere omicidi preferisce quella strana quiete domestica fatta del rapporto con una moglie discreta, quasi una perpetua e dell’abbandono ai propri vizi, dalla pipa al buon vino. Maigret vive nel mondo ma può anche farne a meno perché ha il suo. Nell’ultimo episodio lo vediamo in pensione, felice, nel gesto di stapparsi un vino da lui prodotto. La felicità di Maigret, in cosa questa realmente consistesse, ce l’ha mostrata Cervi. E così, come se le storie sapessero riconoscere il momento di finire, nel 1972 mentre si chiude il viaggio televisivo del Maigret di Cervi giunge al termine anche quello su carta, con l’ultimo Maigret simenoniano dal titolo Maigret e il signor Charles. È bello finire insieme. C’è una “maniera” nella recitazione di Cervi, è vero, un istinto che talvolta spinge alla caratterizzazione dei personaggi. Nel Peppone di Guareschi in primis ma anche nel cardinale Lambertini e persino nel Maigret, sebbene mimetizzata dalla grande scrittura di Simenon, c’è traccia di quell’impostazione attoriale tipica delle scuole e degli anni in cui Cervi è diventato attore. Se la solidità della letteratura di Simenon metteva al riparo da qualche eccesso, un po’ meno al riparo, non per colpa dei Guareschi ma forse più dell’impronta che cinema e tv intendevano dargli, è nel  Peppone  dove, con genuinità e professionalità, si tendeva la mano al pubblico. Felicemente ricambiati.

di Cristiano Governa