Una riflessione visiva sui «ristretti»
Apre a Roma la mostra «La Memoria del Dolore. Un progetto di rinascita»

Fuga verso la libertà

Marco Delogu «Sentiero dell’isola di Santo Stefano»
18 maggio 2021

Fotografie per tornare a vivere


«La pena dell’ergastolo non è né giusta, né utile, né cristiana. Sta scritto che Iddio vuole la penitenza, non la distruzione del peccatore». Le parole dello scrittore e patriota Luigi Settembrini, rinchiuso dal 1851 al 1859 nel carcere di Santo Stefano a Ventotene, riecheggiano insieme a quelle di altri detenuti comuni e politici. Di Rocco Pugliese, Sandro Pertini, Athos Lisa, Giuseppe Mariani, Luigi Podda, Gaetano Bresci e Giovanni Andrea Addressi — tenendo però anche conto di Eugenio Perucatti (di cui Carola Susani ha scritto uno splendido ritratto proprio su queste pagine), direttore della struttura detentiva dal 1952 al 1960: sono le testimonianze selezionate da Pier Vittorio Buffa per corredare le fotografie alla base della mostra La Memoria del Dolore. Un progetto di rinascita visitabile, al Museo nazionale romano delle Terme di Diocleziano, dal 19 maggio al 13 giugno. L’esposizione intende sì non dimenticare quello che è stato un luogo di asperità e di esilio per 170 anni, ma vuole pure riflettere sulla condizione dei ristretti di ieri e di oggi; su quei “residui di libertà” in cui si esplica la personalità individuale di chi è sottoposto a detenzione, e soprattutto sottolineare, dopo 50 anni di abbandono e degrado, la ripresa dello storico complesso.

L’ex carcere di Santo Stefano/Ventotene, costruito nel 1795 nell’arcipelago delle isole ponziane secondo i principi del Panopticon di Bentham è infatti oggetto di un programma di recupero governativo, per cui diventerà «Scuola di alti pensieri»: spazio espositivo dedicato alla memoria del carcere, centro culturale e formativo, in chiave europea e mediterranea, sulle tematiche dei diritti umani, del patrimonio artistico e dello sviluppo sostenibile.

L’esposizione è non a caso promossa, insieme al direttore del Museo nazionale romano Stéphane Verger, dalla commissaria straordinaria per il recupero del sito Silvia Costa. «La mostra vuole testimoniare, prima che si intervenga col restauro, lo stato di una struttura che, su iniziativa del ministro Franceschini con la comunità di Ventotene, avrà nuova vita e destinazione polivalente: oltre all’attività espositiva di tipo storico-culturale e a quella sulla formazione — prosegue Costa —, grande spazio verrà dedicato alla produzione artistica tramite apposite residenze e pure, grazie a diversi partenariati, alla ricerca, allo sport, al potenziamento degli aspetti prettamente ambientalistici del territorio e della straordinaria realtà archeologica presente. Lo scorso novembre sono già partiti i primi interventi su alcuni punti a rischio crollo, mentre attualmente è in fase di aggiudicazione l’appalto per i lavori di messa in sicurezza del Panopticon; ancora, a giugno, verrà presentato al Maxxi il concorso internazionale di progettazione dell’intero complesso».

Ma è Marco Delogu, fotografo di fama internazionale e curatore della mostra, a scendere nei dettagli. «Non si tratta — ci racconta — di un’esposizione tradizionale o retorica. Senza calcare su quegli aspetti che sarebbero stati i più facili da mostrare, dagli spioncini alle serrature del carcere si cerca di trasmettere, coi suoi panorami e tanto altro, la bellezza di un luogo di cui certo la storia non può essere dimenticata e che al contempo può effettivamente trasformarsi in qualcosa di incredibile, in pensieri, idee e fatti: uno spazio dove si può rinascere».

Sono circa 80 le fotografie, a colori e in bianco e nero, che, come si diceva, sono pronte a essere affiancate dalle testimonianze dei reclusi e, durante l’inaugurazione, da una lettura di Edoardo Albinati, con cui lo stesso Delogu ha collaborato in un precedente lavoro su Rebibbia e sull’Asinara, nonché da un video del regista Salvatore Braca relativo al futuro di Santo Stefano/Ventotene. Una vera e propria contaminazione di linguaggi, insomma, al centro della quale può emergere «il rapporto intimo e diretto tra chi fotografa e chi osserva la fotografia» continua Delogu.

«Quando ho deciso di accettare l’incarico di curatore della mostra l’ho fatto perché ho ritenuto giusta e importante l’idea di rilancio della struttura e del luogo in generale. Dal 2015 al 2019 ho vissuto in Inghilterra come direttore dell’Istituto italiano di cultura di Londra: il 2016 è stato l’anno della Brexit e non ho potuto fare a meno di pensare che quasi 75 anni prima proprio a Ventotene venne redatto il manifesto per l’Europa. Ecco, anche per questo, per la storia che vi è intrinseca, non posso che credere profondamente nel progetto». E poi la mostra in argomento, importante nondimeno per il fatto che rappresenti la ripartenza dei musei dopo i periodi di chiusura dovuti all’emergenza sanitaria, non prevede soltanto le opere di Delogu. «Ho voluto fortemente — dichiara — che l’esposizione avesse altri sguardi oltre al mio. Di conseguenza, sono stati coinvolti i fotografi Raffaela Mariniello, perché mi interessa molto l’occhio di una donna su un carcere maschile, e Mohamed Keita, che ha una storia da raccontare. A 13 anni Keita — prosegue Delogu — perde i genitori nella guerra civile in Costa d’Avorio, il suo Paese; cerca di scappare ma è solo e non sa dove andare. Tra deserti, macchine e pullman arriva in Libia dove viene arrestato; una volta scappato giunge a Malta e anche stavolta viene sottoposto a prigionia. Soltanto in seguito, per mezzo d’un trasportatore agroalimentare, mette piede in Italia, prima a Pozzallo e poi a Roma. È qui — dice ancora — che conosco Keita: dopo che trascorre tre mesi nei pressi della stazione Termini, a presentarmelo è un membro dell’associazione Civico Zero che gli aveva precedentemente dato una macchina fotografica usa e getta. Quando ho visto le foto, mi sono subito accorto del suo talento».

Così La Memoria del Dolore. Un progetto di rinascita si compone essenzialmente dei punti di vista dei tre fotografi: quello femminile e di artista interessata, nel corso della sua carriera, al cambiamento dei luoghi storici; quello di chi ha vissuto la detenzione sulla propria pelle; e infine quello di chi ha osservato per lungo tempo le realtà carcerarie con straordinaria sensibilità (c’è da dire che Delogu ha, tra le altre cose, fotografato gli ex condannati a morte). «Nel mio sguardo — puntualizza il curatore — c’è anche l’osservazione verso meridione, verso Ischia, verso la luce più forte. Una fuga verso la libertà».

In definitiva, l’allestimento dà spazio a un secondo momento: sono le foto di ulteriori artisti legati a Ventotene; foto che, se acquistate, possono contribuire a una fondamentale iniziativa solidale. «I proventi di queste opere donateci — conclude Delogu — sosterranno il laboratorio fotografico a Bamako, in Mali, che l’associazione Kinè di Keita, con grandi sforzi, ha realizzato. Si tratta di un progetto sullo studio della fotografia rivolto a ragazzi senzatetto». Anche in tal caso, dunque, fotografie contro l’abbandono, fotografie per tornare a vivere.

di Enrica Riera