«Patris corde»
Storia di un padre che, amando la figlia, le ridona dignità ogni giorno

Custodire la vita
nella fragilità

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18 maggio 2021

L’intimità è un bene prezioso. Difficile da descrivere, ma conosciuto a tutti. In una famiglia si manifesta in più modi: sguardi, gesti, ricordi, frammenti di vita vissuta. Più o meno recenti. L’intimità spesso conduce alla tenerezza. Un passaggio non obbligato, ma quasi sempre desiderato. Una carezza, l’ascolto, un’attenzione. Le forme sono diverse, a non mutare è la sostanza che accompagna al significato più profondo della parola amore. Quello, ad esempio, di un padre che ama la propria figlia e ne ha cura, fin dai primi giorni di vita. Una vita che gli chiederà, poi, di curarla in un altro senso. Il meno auspicato.

Giuseppe Crea, 68 anni, secondo di tre figli, nipote di un sacerdote che lo crescerà come un padre, dopo essere rimasto orfano a soli 8 anni. Siamo nella Calabria del dopoguerra. Giuseppe mostra presto una notevole predisposizione allo studio assieme a una sensibilità che lo apre facilmente agli altri. Decide di entrare in seminario ma la vocazione muta col passare degli anni e matura in lui la scelta di diventare medico, marito e padre. Laureato con lode, sposa il suo primo amore, Mariagrazia, conosciuta nel coro della parrocchia. Medico anche lei, dopo gli studi alla Sapienza di Roma decidono di tornare a Palmi, nel reggino. Qui formano una bellissima famiglia: i primogeniti sono due gemelli, Francesco e Giacomo, poi Alessandro. Quando nasce Mariangela, il primo aprile del 1994, Giuseppe sta per compiere 41 anni.

I problemi di salute di Mariangela si manifestano nel gennaio 1998. A marzo il primo ricovero in ospedale, a Reggio Calabria. Lo specialista che la visita afferma: «Questa bambina mi fa ricordare le meningiti tubercolari che si vedevano un tempo». Nei successivi cinque mesi saranno altrettanti i ricoveri: due a Reggio, tre a Trieste. È qui che viene diagnosticata una infezione da Bartonella. Mariangela torna a casa, ma la situazione peggiora: le lesioni cerebrali appaiono più consistenti, a giugno un primo giorno di coma che si risolve spontaneamente. Da Trieste si passa a Bruxelles, dove viene esclusa la Bartonella: si tratta di un’infezione tubercolare. Gli interventi chirurgici si moltiplicano in estate. Ai primi di ottobre di nuovo il coma, che diverrà la condizione di stato vegetativo in cui Mariangela si trova ancora oggi. La piccola resta sette mesi con la mamma a Bruxelles e ritorna a casa nel maggio del 1999, pochi giorni dopo aver compiuto 5 anni.

Nella lettera apostolica Patris corde, Francesco dedica un paragrafo al “Padre nella tenerezza”. «Anche attraverso l’angustia di Giuseppe — si legge alla fine del paragrafo — passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza». Essere genitori significa donare al mondo una nuova vita, custodirla, lasciarla poi libera di andare. Una libertà che implica coraggio, responsabilità, maturità. Tutte qualità ancor più necessarie a chi si trova dinanzi a una figlia malata, che ha bisogno di essere custodita perché fragile, oggi come nei primi anni di vita. E che chiede tenerezza.

È una vita diversa quella di Mariangela, ma il male non intacca la dignità della figlia che il papà difende in ogni occasione e a ogni costo. E con lui il medico e l’essere umano. «Ora lei è nel suo mondo, ma non per questo ha smesso di essere una persona», ribadisce raccontando la sua storia. Che è quella di una famiglia alla quale la vita ha chiesto di attingere a risorse di forza prima inesplorate. «Se non le do da mangiare e da bere, mia figlia muore. Lasciar morire di fame e di sete chi è nella sua situazione vuol dire offendere il genere umano, perché quello che è accaduto in più di un’occasione nel mondo — afferma Giuseppe con la voce rotta dall’emozione — fa perdere la dignità di persona».

La tenerezza di Giuseppe verso Mariangela si manifesta nella quotidianità, fatta di piccole attenzioni. Le stesse che ogni giorno mostrano nei suoi riguardi la mamma Mariagrazia, le nonne, i fratelli. Mariangela non è sola, non lo è mai stata in questi vent’anni e più di malattia. A Palmi, città dove vive da sempre, c’è Villa Mazzini, uno dei luoghi più incantevoli della provincia di Reggio Calabria. Da qui sembra di toccare la Sicilia, lo stretto è ben visibile, così come lo sono le Isole Eolie. In questa villa, specie d’estate, i genitori portano Mariangela nelle ore più tarde del mattino, quando il sole è già caldo, ma l’aria si mantiene fresca. Quella passeggiata, con il blu del mare da un lato e dall’altro il verde della natura, è per Giuseppe “un paradiso”. «C’è il sole, l’aria fresca, vero Mariangela?», dice alla figlia, sfiorandola con una carezza. «E facciamo finta che la vita sia normale».

di Andrea De Angelis