#CantiereGiovani

Volti, non voti

Salvador Dalí «Metamorfosi di Narciso» (1936-1937)
17 maggio 2021

«A scuola non si matura solo attraverso i voti, ma attraverso i volti che si incontrano». Così venerdì mattina Papa Francesco nel discorso agli Stati Generali della Natalità organizzati dal Forum delle Famiglie. La riflessione sul crollo delle nascite dei bambini conduce inevitabilmente a riflettere sul tema dell’educazione e quindi della scuola. Far nascere degli esseri umani vuol dire farsene carico, ancora di più per i cristiani che «come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini» (dalla Lettera a Diogneto ). La frase del Pontefice è potente nella sua semplicità come spesso capita con le sue affermazioni che appaiono come ovvie e poi ci si rende conto che sono soltanto vere e che di quella “ovvietà”, in questi  tempi convulsi e confusi, avevamo bisogno.

Ora in questo caso il Papa ci ricorda che i voti sono parte essenziale del processo educativo che avviene negli anni della scuola ma non sono il “cuore” di quel processo: al centro dello sviluppo e della maturazione dei giovani c’è l’incontro, l’incontro con un volto, con tanti volti. Chiunque ha fatto l’esperienza della scuola, e tutti l’hanno fatta, almeno come studenti, conosce la verità profonda e insieme evidente delle parole del Papa, che suonano ancora più vere oggi in questo periodo di  pandemia in cui la scuola si è trasferita in buona parte nella prassi della didattica a distanza che ha reso quasi impossibile quell’incontro tra volti. È paradossale ma proprio quando la lezione è diventata una galleria di facce, chiuse nelle finestrelle di una piattaforma social, il punto cruciale dell’incontro personale è diventato un problema e la sua possibilità di realizzazione si è drasticamente allontanata. E senza questo incontro la scuola perde la sua ragion d’essere. Diventa solo procedura, pratica burocratica, prestazione (con relativa ansia). Si riduce, scade, direbbe sempre Papa Francesco, dalla dimensione della teologia del sostantivo, alla cultura dell’aggettivo. Se la scuola è solo performance e valutazione, se è solo espressione numerica-contabile (i voti, le medie), allora è un luogo soltanto per “aggettivare”, esprimere una qualificazione che suona come una definizione, inevitabilmente insufficiente e soffocante, dello studente. Quest’ultimo invece ha bisogno non di essere “aggettivato”, ma di essere riconosciuto; di qualcuno che lo guardi faccia a faccia e dica il suo nome. La scuola è luogo generativo, vivificante proprio perché popolato da sostantivi e non occupato dagli aggettivi. Nel grido che abbiamo raccolto qui oggi, in #CantiereGiovani , si sente in sottofondo questo desiderio di essere riconosciuti, che è il più radicale di tutti i desideri di ogni uomo, giovane o anziano che sia.

di Andrea Monda


Se lo specchio riflette qualcun altro

Voci che chiedono ascolto


Lettera di Ester Vrabie al suo ex professore di religione


Caro professore, non so se sto scrivendo più a lei o più a me stessa, ma poco importa, lo sto facendo e basta. Non ricordo che ore fossero, era mattina, e non sarei dovuta essere in quel posto ma penso fosse l’unico posto in cui potessi andare. Scrivere penso fosse la migliore cosa da fare, l’unica. Mi sembrava tutto così surreale, stavo nel parco in cui sono cresciuta e tutto era così familiare. Ero sola, io e i miei fantasmi. Eppure non ricordo a cosa stessi pensando, forse ero là ma non ero là davvero.

Penso che stare in silenzio sia come urlare a denti stretti. Penso che il silenzio possa essere una risposta. E possa dire più di quanto riesca a esprimere. E io ho sentito il silenzio fin dentro le ossa. Assieme al freddo. Quel giorno.

Su un’altalena mezza rotta, la nebbia nei polmoni, gli occhi in fiamme e il cuore di ghiaccio. Ho visto una luna che spero di non dimenticare, era piena ed era immersa in un cielo rosato. È stata la prima volta che ho visto l’alba da sola. Tutto echeggiava intorno a me. Il vento correva tra gli alberi insieme a qualche ricordo lontano. Ero sola e mi sono sentita sola. Per un po’.

Per qualche motivo è come se avessi paura di passare troppo tempo con me, come se fossi l’unica persona che non voglio incontrare faccia a faccia o semplicemente avere intorno. Così mi sono messa delle cuffiette per non ascoltarmi ma era inutile perché avevo troppo chiasso dentro.

È che in questo periodo mi sento invisibile, e sento come se il mondo pesasse e non so nemmeno se lo sento il mondo a questo punto. Mi sento precipitare, perdere l’equilibrio sui miei stessi passi persa in un limbo che mi sono creata ed è come se affogassi. Non so cosa io stia scrivendo, o cosa io stia cercando di dire sto solo descrivendo l’indescrivibile. O almeno ci sto provando.

Il fatto è che ho iniziato a sentire tutto di meno e tutto amplificato al tempo stesso. Sento meno le emozioni, l’apatia mi pervade. I pensieri sono amplificati, invece io mi sento sparire.

Ho sempre amato viaggiare in bus. Rincorrere la strada e gli sguardi della gente. Mi piace osservare. Stare lì e non starci, mi fa percepire i dettagli. E così leggo le vite degli altri. Le ascolto. Registro le voci e mi rendo parte di un’altra vita. Come se potesse cambiare qualcosa. Il fatto è che ad essere sincera no, non cambia niente ma per un po’ mi distrae e va bene così. Per questo sono andata in un parco da sola, per non dovermi aggrappare agli specchi solo per vedere il riflesso di qualcun altro. Ma anche là, da sola, ho preferito leggere un’altra vita e guardare il tempo scorrere.

Ma ci ho provato.

Le voglio dire un’ultima cosa, non sono sempre stata così. Scusi per lo “sfogo”, volevo solo raccontarle di una ragazza qualsiasi in un parco qualsiasi ad un’ora qualsiasi. Ma lei, lei come sta?

Sul profilo facebook di Sara P.


Il covid mi ha tolto tanto. Il covid mi ha tolto letteralmente il fiato, facendomi riscoprire l’ansia. Il covid mi ha tolto il sonno, facendomi passare intere notti insonni. Il covid mi ha tolto la fame, facendomi dimagrire giorno dopo giorno. Il covid mi ha tolto la forza fisica e mentale. Mi ha tolto le lacrime, la libertà e la serenità. Il covid mi ha tolto quasi tutto. Tranne la voglia di farcela. E ce l’ho fatta.

Guglielmo Gallone, 21 anni sul suo blog L’altro lato del cuscino il 10 maggio compone questo «Inno ai giovani d’oggi»


Cari adulti, non è facile per noi ragazzi stare a guardare il mondo dalla finestra della nostra stanza. Non è facile perché lì fuori vorremmo esserci anche noi. Non è facile perché abbiamo paura di contagiare noi stessi e quindi i nostri cari più deboli. Non è facile perché ci avete sempre detto che i rapporti sui social non sono così reali come crediamo, eppure ora sono indispensabili per la vita sociale. Non è facile perché non riusciamo a immaginarci come sarà la nostra vita tra un anno. Abitudini, serate, compleanni, scuola, università, notti prima dell’esame, sport: la nostra quotidianità, fatta di quelli che oggi chiamate assembramenti.

Non è facile perché i ricordi scorrono velocemente ovunque, addirittura sulle storie di Instagram, e sembrano sempre più immagini di una vita passata. Non è facile perché ci avete costantemente raccontato l’adolescenza come gli anni più belli, che sembrano finire troppo in fretta. E noi crediamo che viverli così non sia degno dell’adolescenza. Non è facile perché non ci sappiamo dare una risposta adeguata e perché di risposte adeguate non ne sentiamo. Non è facile perché di istruzione se ne parla poco: meglio discutere di stabilimenti balneari e campionato di calcio, no?

E non è facile perché, spesso, pensiamo di non essere grandi abbastanza per poter uscire da quella finestra.

Allora, a volte, persino nei pomeriggi primaverili, preferiamo tenere chiusa la finestra, come fossimo tutti allergici al polline. Vivere passivamente il presente, come spettatori di una serie su Netflix, senza sapere cosa accadrà nel prossimo episodio, nel futuro. Vivere senza realtà. Non è facile, ma noi lo facciamo. Perché crediamo in voi e nel fatto che senza passato non ci possa essere presente né tantomeno futuro. E un giovane senza fiducia nel futuro, così come uno che si limita ad essere uno spettatore passivo del presente, non può e non deve esistere. Un ragazzo deve permettersi di sognare. E vi crediamo anche perché, permettetemi, abbiamo un grande senso di responsabilità. Non dimenticatelo. Non screditateci. Parlate anche a noi e di noi. E, una volta usciti da qui, cercate di darci più fiducia e ascolto. Grazie.