Il mistero (svelato)
delle opere “messicane”
dell’argentiere Luigi Valadier

Salomon_17_x.jpg
17 maggio 2021

Luigi Valadier (1726–1785) fu l’argentiere più insigne della Roma del Settecento. Creò opere profane impregnate di gusto archeologico per i nobili dell’epoca, e squisite suppellettili religiose per molte chiese romane e per vari committenti ecclesiastici. Purtroppo, però, l’invasione napoleonica della Penisola decretò la distruzione di una quantità ingente di opere dell’artista: tutto quel che Valadier aveva realizzato in materiali preziosi (oro e argento) per le chiese e l’aristocrazia di Roma, venne fuso per fornire i fondi necessari ad arrestare l’avanzata dei francesi nel 1796. Con il Trattato di Tolentino, un anno dopo, quel che non era stato già distrutto fu sequestrato e fuso. È quindi molto raro che oggetti significativi di oreficeria e argenteria prima di quel periodo sopravvivano a Roma.

Le opere più notevoli giunte di Valadier fino a noi sono quelle che erano state inviate al di là dei confini degli Stati Pontifici. Tra queste, ricordiamo l’altare maggiore della cattedrale di Monreale, le tre grandiose lampade d’argento per l’abside della cattedrale di Santiago de Compostela, e il tabernacolo eucaristico nella cattedrale di Siviglia. Nel 1994, un servizio liturgico in argento dorato, creato intorno al 1768 da Valadier per il cardinale Domenico Orsini d’Aragona, fu riscoperto nel duomo di Muro Lucano, in Basilicata. All’epoca si trattò di una scoperta eccezionale, dovuta alla singolare scelta, nel testamento del cardinale, di destinare il servizio a una remota chiesa della Lucania che egli contava tra i suoi titoli, dove sfuggì alle devastazioni napoleoniche. Molte opere perdute di Valadier sono note ancora oggi grazie al Diario Ordinario, un giornale pubblicato a Roma tra il 1726 e il 1848. Con precisione cronachistica, il periodico descrive regolarmente le opere d’arte eseguite da Valadier ed esposte nella sua bottega di via del Babuino prima di essere inviate all’estero. Tra il 1767 e il 1768, il Diario descrive l’esposizione nella bottega di suppellettili sacre destinate a una «chiesa principale del Messico».

Il 10 gennaio 1767, per lo spazio di giorni 10» in una bottega «fatta ornare a tale effetto di damaschi», Valadier presentò un’opera eccezionale: «un ricchissimo Ostensorio». Alto sette palmi, l’ostensorio era in argento dorato, tempestato di dodicimila topazi bianchi di Sassonia; la base era decorata con i simboli degli Evangelisti e al di sopra erano le figure delle Virtù e «molti altri Puttini, e teste di Cherubini». Furono in molti a vedere l’opera nella bottega e l’ostensorio fu portato al «Pontificio Palazzo» in modo che Clemente xiii potesse «osservarlo con molto suo piacere». L’anno successivo, il 17 settembre 1768, Valadier esponeva di nuovo opere per le «Indie della Spagna»: questa volta si trattava di «14 Candelieri di metallo dorato alti palmi cinque… Tredici Calici di argento, e metallo dorato, di diversi ottimi disegni (...). Tre Legivi d’Altare di metallo dorato ben cisellati».

Le suppellettili eseguite da Valadier per l’America latina compaiono menzionate negli studi di tutti gli specialisti di Valadier. Cosa fosse successo a questo consistente gruppo di opere “messicane” è sempre, però, rimasto un mistero. Alcuni disegni di Valadier (in particolare uno per un ostensorio, ora in collezione privata a New York) sono stati connessi in passato a queste opere perdute e hanno fornito una guida generale per immaginare come le opere potessero apparire.

Avendo lavorato insieme ad Alvar González-Palacios, il massimo esperto sull’artista, alla mostra su Valadier a New York nel 2018-2019, e avendo studiato attentamente il disegno per l’ostensorio e le descrizioni nel Diario Ordinario, mi sono spesso chiesto quale potesse mai essere questa «chiesa principale del Messico», e se le opere di Valadier per caso vi sopravvivessero ancora. Negli ultimi anni, anche giovandomi dell’aiuto di un giovane assistente messicano, Sebastián Zelaya-Cervantes, ho cercato di rintracciare le suppellettili in varie chiese del Messico. Fino al mese scorso, tuttavia, le mie ricerche non avevano dato alcun esito. Ora però, chiuso in casa durante il lockdown, spulciando online tra migliaia di fotografie di chiese del Sud America, è stato possibile scoprire non solo il preziosissimo ostensorio di Valadier, inviato da Roma nel 1768, ma anche gran parte del corredo sacro che lo accompagnava. Il tesoro, del tutto ignoto agli studiosi, è rimasto invece visibile per gli ultimi 250 anni a tutti i fedeli della chiesa per cui — ho scoperto — fu eseguito: la cattedrale di León in Nicaragua. Una delle più importanti chiese dell’America centrale, la cattedrale fu costruita tra il 1747 e il 1814 e, dopo che il Nicaragua conquistò l’indipendenza nel 1838, fu finalmente consacrata nel 1860. Inventari nell’archivio diocesano di León chiaramente identificano l’ostensorio come un’opera «ammirata da tutti gli esperti a Roma», e gran parte delle suppellettili nella cattedrale sono impresse con i punzoni di Valadier.

Il vescovo di León, Monsignor Sócrates René Sándigo Jiron, entusiasta del ritrovamento nella sua sede episcopale, è stato un tramite indispensabile per lo studio delle opere, che finora si è potuto svolgere solo a distanza, nell’attesa di poter nuovamente viaggiare e svolgere un esame meticoloso delle opere in loco, che fornirà la base per uno studio scientifico di prossima pubblicazione. Cosa avrebbe pensato Valadier? Le opere da lui inviate in una parte del mondo all’epoca così lontana, sono sopravvissute intatte attraverso i secoli, e rimangono oggi a testimoniare tanto la gloria artistica dell’argentiere più raffinato della Roma dei Papi, quanto lo scambio d’arte e di cultura tra la Santa Sede e le giovani provincie dell’America latina.

di Xavier F. Salomon