Il culto di Maria nell’Occidente cristiano dopo la “grande paura” dell’Anno Mille

Giglio, aurora
e stella del mare

 Giglio, aurora e stella del mare  QUO-108
15 maggio 2021

Passata la grande paura dell’Anno Mille, nell’Occidente cristiano si diffuse a macchia d’olio un nuovo clima di spiritualità. Era nato nell’abbazia di Cluny, in Borgogna, e tra i suoi iniziatori spicca la figura di Sant’Odilo (od Odilone, 961-1049), il grande abate della prima metà dell’ xi secolo.

La figura della Madre del Salvatore balza ora in primo piano, analogamente a quanto già avveniva nell’Oriente cristiano; ella è corredentrice per la salvezza del genere umano e a lei si dedicano componimenti poetici e musicali nelle varie nazioni. Il critico letterario tedesco Ewald Erb scrisse di lei nel 1960: «Maria diventa il sole o, accanto al Cristo-sole, la luna. Viene definita stella, spesso stella del mare, gemma, aurora, fiore, giglio, rosa, mirra, nardo; lei era stata indicata dalla stella di Giacobbe, dal germoglio della radice di Jesse, dalla rugiada che inumidiva il vello di Gedeone, dalla verga rifiorente di Aronne, mentre la sua verginità durante il concepimento di Gesù, e persino nella di lui nascita era prefigurata dal roveto di Mosè, che ardeva senza consumarsi, dall’hortus conclusus del Cantico dei Cantici, dalla porta clausa del tempio di Gerusalemme; infatti ella concepì e partorì come il raggio di sole, che splende attraverso il vetro, senza dischiuderlo né romperlo». L’apprezzamento è tanto più significativo se si considera la posizione marxista di Erb, docente nell’allora Repubblica Democratica Tedesca.

Proprio nel mondo germanico nascono i primi canti di omaggio alla Madre del Signore. Il monaco Ermanno il Contratto (1013-1054) compose tre delle quattro antifone, che concludevano l’ufficiatura serale: Salve Regina, Alma Redemptoris Mater e Regina Coeli laetare. Altri ecclesiastici composero inni e sequenze; tra queste rimase celebre la citata Ave nobilis, venerabilis Maria, nell’uso liturgico fino al concilio di Trento.

La figura di Maria era il modello sommo per tutte le donne. Il Movimento Cluniacense fu in fondo la radice della grande cultura trobadorica, momento fondamentale del Medioevo europeo. La donna venne idealizzata e a lei si dedicarono migliaia di canzoni, spesso altamente poetiche. Nel xii secolo nascono le prime canzoni a Maria nelle lingue volgari; nell’ambito del linguaggio tedesco ci sono pervenute 7 lunghe sequenze, che alla lode alternano l’invocazione.

Dal monastero benedettino di Vorau nella Bassa Austria, viene un canto di 18 sestine. Composto verso il 1130, celebra in poesia la nascita di Gesù dalla Vergine, come già annunciato nella profezia di Isaia. «Ella doveva portare un fiore, prezioso e buono, nobile e sapiente: giglio è chiamato. Salute sia a chi lo sa riconoscere; esso è un ornamento della terra (...) e su di lui si posò lo Spirito amorevole di Nostro Signore, con un settuplice dono (…). Il virgulto designa la Vergine, che è diventata gravida per una parola, mediante la grandiosa forza di Dio, senza l’apporto di alcun uomo. Il fiore è il figlio unigenito, della Nostra Signora, Maria». L’appellativo “Nostra Signora” compare qui forse per la prima volta: non presente nell’innodia latina si diffonderà poi in ampia misura, formando spesso il titolo di chiese dedicate a Maria nel mondo tedesco o francese.

Le strofe conclusive formano una solenne litania. «Lodiamo ora il virgulto e salutiamolo con le parole: Salve o Vergine, sublime regina del cielo, nata dalla radice di Jesse, nutrice del Figlio di Dio. Tu sei il fiore del campo ed ognuno vorrebbe rallegrarsi di te. Maria, Maria, nobile e cara Signora. Da te è nato il giglio, il fiore delle convalli (in latino nel testo tedesco), l’onore della mansuetudine, Cristo, nostro Signore. Il tuo profumo è tale che nessun unguento al mondo può averne anche una sola stilla. (...) Da te è nato il giglio di ogni gioia».

Nel manoscritto il testo è privo di notazione; gli studiosi ritengono che esso venisse cantato sulla melodia di qualcuna delle sequenze o meglio ancora degli inni mariani di uso liturgico: la regolarità della forma sembra confermare ciò.

di Benno Scharf