La doppia dimensione di creazione e peccato

Per meglio
abitare il mondo

Marc Chagall, «La creazione  dell’uomo» (1956-1958)
14 maggio 2021

Solo chi non ha voglia di futuro può chiudere gli occhi sul proprio passato. Questo vale a giusta ragione anche per la teologia. La quale si snoda tra speranza delle cose ultime (escatologia) e memoria di quello che è stato all’inizio (protologia) e così aiuta i viandanti della storia a trovare le risorse per meglio abitare il mondo. Su questa parabola così articolata e complessa va compreso il volume di Ursicin G.G. Derungs e Marinella Perroni, In principio. Una teologia della creazione e del male (Milano, San Paolo, 2021, pagine 256, euro 22).

Il lettore si trova di fronte a due segmenti che, contrariamente a ogni sensazione di primo acchito, sono ampiamente convergenti. C’è anzitutto una convergenza sulla tematica sottesa al classico trattato teologico su «Creazione e peccato», di cui le due parti del libro ci offrono una rilettura in chiave biblica (prima parte di Marinella Perroni) e in chiave sistematica (seconda parte di Ursicin Derungs). La convergenza riesce in maniera originale e produttiva, anzitutto perché i due segmenti svolgono la propria parte con profondità di analisi e originalità di impianto, manifestando forte attenzione l’uno per l’altro. Così l’analisi biblica non è chiusa nell’approccio testuale fine a sé stesso e la parte sistematica si nutre di riferimenti biblici ampiamente messi a frutto per lo sviluppo delle idee teologiche. Il libro nasce nell’orizzonte di una collana (Exousia) che si propone di adottare la sensibilità di genere per ripensare i temi forti della teologia. Questa bella e necessaria impresa manifesta anche qui il suo vantaggio e apre a nuove prospettive. Nel volume si respira la tematica di genere in una modalità indubbiamente diversificata, tra la prima e la seconda parte: più evidente nell’una, recondita e sottesa nell’altra. Ma nel gioco di specchi tra evidenza e latenza di questo approccio di genere, per il lettore si forma un cono di luce, una possibilità di annodare le due parti in un discorso che alla fine egli stesso saprà riconoscere unitario, costruttivo, stimolante. Ispiratore di uno sguardo nuovo.

Il centro di questo nuovo sguardo sul tema della creazione e del male sta nel fatto che esso viene offerto in una lettura che decisamente tende al superamento del ritmo binario, in chiave di contrapposizione, un ritmo che ha fortemente condizionato in senso certamente non positivo sia l’accostamento ai testi sacri, sia lo sviluppo delle idee teologiche.

Nell’esegesi biblica sulle origini, condotta qui in attenzione alla prospettiva di genere, Perroni smaschera la radice di sopraffazione e di dominio, effetto della contrapposizione binaria che si riflette sui rapporti dell’uomo con il mondo, con gli altri esseri viventi, con la donna, con Dio. E nell’approccio sistematico su cui si regge la seconda parte Derungs stana la medesima tendenza, che in passato aveva fatto del trattato «Creazione e peccato» il luogo classico della contrapposizione tra l’onnipotenza di Dio e l’impotenza dell’uomo, ma anche della iniziativa escludente e accaparrante di Dio rispetto al mondo, all’uomo e al suo destino.

Le pagine spese sul tema del caos e del nulla preesistente all’atto creativo di Dio sono un telaio fitto e ricco di considerazioni che ripropongono il rapporto Dio-mondo in un’ottica diversa e nuova, recuperando così ogni spazio possibile di dignità del mondo e in esso di dignità dell’umano. Il Dio affabile e condiscendente non ha bisogno del vuoto iniziale, per irrompervi con la sua potenza creatrice e la sua volontà di generare vita. E l’uomo non deve temere questo Dio che lo trascende e che lui non inventa, ma faticosamente scopre e riconosce.

La tenuta del libro nella sua unità è assicurata anche da tenore alto e solido delle analisi condotte. Esso offre una lettura affrancata e liberante del tema della creazione e del male e lo fa rileggendo con sensibilità di genere i testi sacri e con dialettica di decostruzione/ ricostruzione il formarsi delle dottrine e delle idee teologiche.

Il passaggio finale, nella riuscita mediazione del linguaggio creativo e dello sguardo estetico, ma anche l’ineludibile presa di coscienza delle forme culturali e storiche di sfruttamento del mondo e di disgregazione dell’umano, aprono a uno sfondo etico onesto e decisivo che stimola oltre ogni misura di convenienza la nostra responsabilità di uomini e di credenti, soprattutto in un’epoca come questa, nella quale il mondo, la vita, i viventi sono avvolti nella nube di una indicibile vulnera-bilità.

di Antonio Autiero