In dialogo
Eternità dell’amore divino

L’infinito in un istante

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12 maggio 2021

Il quinto capitolo del Vangelo di san Matteo, da alcuni chiamato il “sermone escatologico del Signore”, si conclude con la predicazione di Gesù del «giudizio sulle nazioni» (Matteo, 25, 31-46). È un annuncio che descrive la venuta degli eventi finali del regno dei cieli, narrato al presente dal Maestro di Galilea, ma riferito a eventi passati. È una sorta di linea immaginaria infinita, eterna, che trova il suo punto culminante narrativo temporale nelle decisioni del momento, dell’istante preciso in cui si consolida l’eternità dell’amore divino e del suo regno. In un articolo precedente ho fatto una considerazione teologica profetica della diagnosi di Gesù su quella capacità contraddittoria che abbiamo (il fatto riguarda, e soprattutto, gli uomini di fede) di non capire i segni dei tempi che cambiano. «Se sanno discernere l’aspetto del cielo e della terra, come mai non sanno discernere i tempi in cui vivono?» (Luca, 12, 56). In quel testo riflettevo sulla possibilità del nostro essere protagonisti di una svolta, o di una nuova era nella storia dell’umanità. In questo senso, e riflettendo sulla tensione permanente tra il “qui e ora” e il “non ancora” del regno di Dio, consideravo che questo dinamismo vitale ci spinge a rileggere i tempi in modo permanente. Un tentativo di comprendere saggiamente i tempi della storia umana e il kairos del regno di Dio. Questa pericope di san Matteo ci aiuta a capire che il destino eterno di ogni uomo si gioca quindi nel temporale rapporto di accoglienza dei tempi planetari e celestiali.

Papa Francesco, nel prologo della sua lettera enciclica Fratelli tutti, menziona questa tensione temporale in prima persona: «Mentre scrivevo questa lettera, la pandemia di Covid-19 è scoppiata inaspettatamente, esponendo le nostre false sicurezze» (7). In questo senso, ha espresso il suo pensiero più profondo, unendo la temporalità di questa enciclica apostolica ai tempi attuali: «Spero che in questo tempo in cui viviamo, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far nascere un desiderio mondiale di fratellanza tra tutti» (8).

Il testo evangelico su cui abbiamo riflettuto è particolarmente presente nella predicazione e nel pensiero di Papa Francesco, e certamente trova un posto chiave nella sua ultima enciclica. Il Santo Padre lo esprime chiaramente: «Per i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione trascendente; esse implicano il riconoscimento di Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso (Matteo, 25, 40-45). In realtà, la fede riempie il riconoscimento dell’altro di motivazioni inaudite, perché chi crede può arrivare a riconoscere che Dio ama ogni essere umano con un amore infinito e gli conferisce così una dignità infinita» (Fratelli tutti, 85). In un passaggio precedente, e a proposito del dramma dei migranti, Papa Francesco ha ricordato il testo «Ero forestiero e mi hanno accolto» (Matteo, 25, 35), riflettendo che «Gesù poteva dire quelle parole perché aveva un cuore aperto che faceva suoi i drammi degli altri» (Fratelli tutti, 84).

In questo venticinquesimo capitolo del primo Vangelo, Gesù inizia rivelando il regno di Dio al suo futuro avvento: «Quando il Figlio dell’uomo verrà in maestà, accompagnato da tutti i suoi angeli, si siederà sul suo trono glorioso» (Matteo, 25, 1). Poi il Signore parla loro di eventi passati che prende per sé: «Ho avuto fame, ho avuto sete, ero un emigrante, ero nudo, ero malato, ero in prigione» (ibidem, 25, 35-36). Questa inaspettata svolta nell’asse del tempo che Gesù fa nella sua predicazione è pedagogicamente spiegata in un dialogo immaginario con “i giusti”. Questi ultimi, sconcertati e autosufficienti nella loro religiosità, chiedono di conoscere il momento in cui si verificano tali gravi disattenzioni. Infine, Gesù, come il re che si annuncia in maestà, prende a sé gli eventi temporali che i “giusti” o coloro che «non sanno discernere il tempo in cui vivono» (Luca, 12, 56) hanno omesso. «Egli risponderà: Vi dico la verità: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi ultimi, non l’avete fatto a me» (Matteo, 25, 44).

Viviamo in tempi mutevoli e drammatici sul piano umanitari0, sanitario e planetario. Si tratta di cambiamenti di vita inaspettati e imprevedibili. Credo che questi siano eventi epocali che le generazioni future studieranno come un punto di svolta nella storia dell’umanità. Ma questa analisi cronologica degli eventi non solo non dovrebbe offuscarci, ma anzi risvegliarci per capire i tempi del regno di Cristo. Quello che facciamo in questo momento per i malati, per gli assetati e gli affamati, nel nostro attuale spazio di influenza a favore dei deboli attuali (migranti, nudi e imprigionati), definirà il momento dell’amore con implicazioni che si proiettano all’infinito. Riveleranno la nostra vera appartenenza al Verbo incarnato, inculturato e immortalato che ha deciso di prendere queste pene per sé, in ogni tempo e come unico sovrano del regno di Dio e della sua giustizia.

di Marcelo Figueroa