«Una vita da ricostruire» di Brigitte Riebe

E i magazzini riaprirono

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11 maggio 2021

Brigitte Riebe decide di raccontare una delle pagine più atroci e dolorose del Novecento, l’avvento al potere di Hitler, non raccontandola. In Una vita da ricostruire (Roma, Fazi Editore, 2021, pagine 366, euro 17,50, traduzione di Teresa Ciuffoletti e Nicola Vincenzoni) indaga il prima e il dopo del nazismo con dolcissima ferocia. Punta lo sguardo sul momento cruciale della Ricostruzione, non solo e non tanto degli edifici distrutti, dei ponti saltati in aria, delle strade e dei monumenti rasi al suolo, ma su quella più devastante e solcata da cicatrici profonde degli individui.

La famiglia Thalheim è proprietaria dei grandi magazzini che troneggiano sul corso. Li vediamo, Friederich e Alma, raggianti mentre varcano l’ingresso tenendo per mano i figlioletti Rike, Silvie e Oskar. «Rike afferra la mano del padre (...) è la cosa più bella che abbia mai visto. Le nuove scale mobili che scivolano silenziose, ampie cabine di prova con tende bianche, delicate fragranze diffuse a intervalli regolari dagli impiegati alla ventilazione e luci così brillanti che quasi la accecano».

Il racconto comincia nella Berlino del 1932, ricca e sfavillante, quando nulla sembra far presagire la tragedia, la diabolica operazione studiata nei minimi dettagli. I Thalheim festeggiano i propri investimenti, la classe imprenditoriale tedesca brinda alle intuizioni fortunate e ai guadagni. Si respira un’atmosfera di bellezza e opulenza. Riebe, con accuratezza e grande fluidità stilistica, tratteggia la serenità e il benessere della vita di prima e rende in modo limpido e sofferto il periodo dell’immediato dopo guerra. Con la perizia cinematografica di un montaggio alternato, le scene iniziali si sovrappongono all’ingresso a Berlino dell’Armata rossa. La guerra è finita e la popolazione viene liberata, un miraggio che durerà poco più di una manciata di giorni.

Sullo sfondo della dittatura sovietica, Riebe cambia ritmo e investe le sue tre protagoniste di un nuovo ruolo. Mentre le Trümmerfrauen — le donne chiamate dal regime a ripulire le città dalle macerie — lavorano anche di notte, Rike, Silvie e la sorellina nata dal secondo matrimonio del padre si introducono nei magazzini e riescono a recuperare le vecchie macchine da cucine Singer, i carta modelli, le forbici da sarta e gran parte dei tessuti. I cumuli di macerie si trasformano in supporti per passerelle, assi di legno accatastati ai bordi della strada, panche per gli spettatori. Una ventata di gioia sembra colorare il grigiore di una città piegata dal dolore. «L’entusiasmo del pubblico ormai era incontenibile. (...) Rike salì sulla passerella e chiamò le altre, fecero un inchino raggianti di gioia. Non sarebbe passato molto tempo che un evento straordinario si sarebbe realizzato: i Grandi magazzini Thalheim avrebbero riaperto».

Riebe abbatte i confini tra verità e finzione, realtà e verosimiglianza, è quasi un rivivere la parabola delle Sorelle Fontana, tre giovani coraggiose che armate di aghi e puntaspilli sono divenute l’emblema della rinascita in Italia. Nulla avrebbe potuto fermare il vigore di una generazione in piena esplosione, capace di affrontare oscuri segreti e un passato a tratti da dimenticare. A qualunque costo la vita avrebbe vinto ancora e la paura sarebbe stata sconfitta, recitava Orwell nella sua satira capolavoro pochi anni dopo. La memoria, quella sì, ci permette sempre di restare uomini.

di Flaminia Marinaro