Nella nebbia di misteri mai chiariti

Senza parole né proclami

 Senza parole né proclami  QUO-103
08 maggio 2021

Nel 2018 ho avuto la fortuna di essere invitato al festival annuale del Club Tenco, il “vero” festival della canzone, almeno per me, che ci sono stato la prima volta nel ‘78. A una delle cene serali, mentre Morgan e altri si scatenano in una jam session, si siede accanto a me un signore che non conosco. Il discorso, improvvisato come la musica là dietro, va da un argomento all’altro, finché si ferma sulla morte di Tenco. L’uomo che mi parla non ha dubbi, è stato ucciso, ma aggiunge particolari che ignoravo. Era stato in Argentina. È vero, laggiù era famoso. Ma ci era andato anche prima del festival, mi dice. Aveva con sé una valigetta di documenti. E la mattina dopo il ritrovamento del corpo quella valigetta in camera sua non c’era più. Non riesco bene a capire, dato il fracasso che fanno Morgan e gli altri, se Tenco fosse un agente segreto, e per conto di chi. Per l’esercito italiano che l’aveva lasciato andare in Argentina nel 1965, anche mentre era a militare, o per qualche internazionale di sinistra per la quale Tenco stava raccogliendo prove contro la dittatura del generale Juan Carlos Onganía e del suo colpo di stato del ‘66? Ma il signore che mi informa presto si congeda, come fa Michael Caine quando in un film di spionaggio si siede al tavolo di un ristorante, lascia cadere alcune informazioni mescolate a perle di saggezza e sparisce nella notte. Per quale motivo uno dovrebbe portare con sé una valigetta di documenti segretissimi in quel porto di mare che è il Festival, non mi verrà mai chiarito. Io invece preferirei pensare (ma so che sbaglierei) che se c’è un mistero è la sparizione dagli archivi Rai della registrazione di Tenco che canta Ciao, amore, ciao il 26 gennaio ‘67, poche ore prima di morire. Il video non c’è più. È rimasto un audio di pessima qualità, e soltanto un nastro ricavato da una trasmissione all’estero ci permette di ascoltare con una certa approssimazione la sua ultima esibizione. Su YouTube lo trovate, è una performance contro il festival e il suo intero apparato, senza parole né proclami, realizzata con la voce e un ritmo che nega il tempo dell’orchestra. Ciao, amore, ciao, la cui stesura fu molto tormentata, non raggiunge minimamente l’altezza delle canzoni più grandi di Tenco. Non sta nemmeno vicino a Mi sono innamorato di te, Vedrai, vedrai, Angela o Lontano, lontano. Ma Tenco, che pure lo sapeva e non ne era soddisfatto, voleva che fosse una ballata, non una “marcetta”, come gli era sembrata nell’arrangiamento con cui la cantava Dalida, e come anche lui l’aveva cantata su disco. Doveva essere rallentata, ma Gian Piero Reverberi che dirigeva l’orchestra non era d’accordo, non c’era tempo di cambiare. Tenco allora decise di fare a modo suo (e che avesse bevuto prima di entrare in scena a mio modesto parere non c’entra niente). Iniziò a ritardare i versi, a lasciare l’orchestra e il pubblico col fiato sospeso, a far temere che non sarebbe arrivato in tempo alla fine. Stava facendo regredire la canzone, non voleva farle lasciare i “campi da arare” da cui il protagonista voleva e non voleva fuggire, preoccupato di quegli “aerei nel cielo” che sarebbe andato ad incontrare. Anni dopo, Ivano Fossati avrebbe costruito un’intera carriera sull’arte del ritardando, ma a Sanremo nel ‘67 e dal vivo, con l’orchestra precisa come un metronomo, questo non era possibile. Tenco aveva messo in scena quel che davvero pensava di tutta la situazione in cui si era cacciato. Quello non era più il suo pubblico. Ne avrebbe avuto un altro di lì a poco, quello che gli stessi autori suoi amici stavano creando, ma non fece in tempo a saperlo. Le teorie di complotto sono una grande consolazione. Non è vero che siamo nessuno, ci rassicurano. Anzi, siamo abbastanza importanti che qualcuno si dà la pena di perseguitarci; di ucciderci, perfino. O di cancellare la nostra ultima esibizione dagli archivi. In quegli anni, molte cose che oggi è ovvio considerare arte per molti non lo erano affatto, e i nastri delle registrazioni venivano spesso cancellati per far posto a registrazioni nuove. Molta musica e teatro che oggi daremmo chissà cosa per rivedere (un esempio per tutti: Eduardo De Filippo che interpreta Sabato, domenica e lunedì) si è perduta per poter risparmiare il costo di qualche nastro. Allo stesso modo, è difficile ammettere che una vita si possa perdere per così poco, per rabbia contro una giuria che sceglie Io, tu e le rose e ti lascia pieno di debiti, come un nastro cancellato. Ma anche questo è possibile.

di Alessandro Carrera