Le organizzazioni cristiane sulle politiche europee per l’immigrazione e l’asilo

Per liberarsi dagli errori
del passato

 Per liberarsi dagli errori del passato   QUO-102
07 maggio 2021

Nonostante le «buone intenzioni» espresse dalla Commissione europea in occasione del lancio del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo nel settembre 2020, presentato allora come un nuovo inizio per la gestione dei flussi migratori nel Vecchio continente, molte proposte contenute nel testo ricordano, «in tanti aspetti, le politiche del passato, con i loro difetti», e per questo vanno analizzate con cura, controllando se sono davvero nuove, valutando in che misura rispettino i diritti umani e come affrontano le attuali irregolarità nell’ambito dell’asilo e della migrazione. È quanto ritengono numerose organizzazioni cristiane, tra cui la Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea (Comece), la Comunità di Sant’Egidio, il Jesuit refugee service, l’International catholic migration commission (Icmc) Europe, la Commissione delle Chiese per i migranti in Europa (Ccme), Eurodiaconia e ancora Don Bosco International. Allo stesso tempo, queste istituzioni emettono anche una serie di raccomandazioni specifiche in diversi settori. Riguardano la gestione e il finanziamento dell’asilo e della migrazione, i controlli antecedenti all’ingresso in un paese di accoglienza e le procedure alle frontiere, le politiche di rimpatrio, la cooperazione con i paesi terzi, nonché la questione della criminalizzazione delle operazioni di ricerca e delle missioni di salvataggio in mare.

Nel loro commento, le organizzazioni cristiane manifestano preoccupazione in merito «al rispetto del diritto fondamentale e internazionale e all’efficacia nel fornire protezione immediata a chi ne ha bisogno». «Sfortunatamente — deplorano — le proposte sembrano ancora essere condizionate dal presupposto che all’interno dei flussi migratori misti verso Europa, la maggior parte delle persone non abbia diritto alla protezione». Altrettanto inquietante è il fatto che nel Patto si ritenga che soltanto un terzo delle persone che arrivano in Europa hanno diritto ad una protezione internazionale. Una affermazione, insistono le organizzazioni cristiane, che «potrebbe mettere a repentaglio il principio della valutazione individuale di ogni singola situazione». Ecco perché una particolare attenzione va garantita ai molti candidati che, provenienti da gruppi specifici (negli ultimi anni, ad esempio, i cittadini siriani o afgani), hanno bisogno di una protezione riconosciuta da tribunali indipendenti dal punto di vista organizzativo e politico, che del resto «spesso criticano la qualità delle decisioni prese in un primo tempo».

Successivamente la Comece e i suoi partner europei chiedono che sia posta «una maggior attenzione sull’asilo come diritto individuale» e sulla «responsabilità» comune dei paesi. Notano poi «alcuni miglioramenti lodevoli per quanto riguarda i legami familiari — che ora includono le persone con cui si è creato un legame dopo aver lasciato il paese di origine». Inoltre, il possesso di un diploma o di un titolo rilasciato da un istituto scolastico di uno Stato europeo «è stato giustamente introdotto come criterio di individuazione dello Stato responsabile». Tuttavia, deplorano, alcune correzioni previste ai regolamenti di Dublino non sono state portate a termine, come invece era stato annunciato, e nella maggior parte dei casi lo Stato membro responsabile rimane il primo paese di entrata.

Da parte sua, la Comece si era già espressa sul tema delle migrazioni in una dichiarazione rilasciata a metà dicembre, nella quale augurava che il processo di negoziazione del Patto europeo mantenesse «quei punti che pongono l’uomo, la dignità umana e il bene comune al centro delle politiche di migrazione e di asilo» e che affrontasse «alcune disfunzioni del sistema attuale, per esempio le indecorose condizioni di accoglienza dei migranti». Il Patto «deve promuovere un contesto di accoglienza e un approccio equo e giusto nei confronti dei bisognosi», affermava ancora la Comece, poiché, come ha detto Papa Francesco nella sua «Lettera sull’Europa» dell’ottobre scorso, «si tratta di scegliere fra un modello di vita che scarta uomini e cose e uno inclusivo che valorizza il creato e le creature».

di Charles de Pechpeyrou