Hic sunt leones

Il clero africano e la sfida
della sostenibilità

Sacerdote celebra messa a Lagos, in Nigeria. Una zona colpita da terrorismo e scontri etnici.
07 maggio 2021

Le Sacre Scritture, la Tradizione e il Magistero della Chiesa hanno sempre sottolineato la centralità dello Spirito Santo nell’azione evangelizzatrice. Ciò significa che la dimensione pneumatica è fondamentale e dunque imprescindibile nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo. Ciò non toglie che nel momento in cui nasce una comunità essa debba essere organizzata e amministrata sostenendo stabilmente, anche a livello economico, i vari servizi preposti alla liturgia, alla catechesi e alla carità, per non parlare di altre attività legate comunque all’affermazione dei valori del Regno. Tutto questo nella consapevolezza che non è comunque possibile prescindere, eticamente parlando, dal principio non negoziabile della destinazione universale dei beni. È in questo perimetro che si colloca la riflessione, sempre attuale, sul sostentamento del clero nelle chiese particolari.

Se da una parte è fondamentale la fede nella Provvidenza che ogni credente è chiamato a coltivare; dall’altra, come peraltro indicato dai padri conciliari nel Decreto Presbyterorum Ordinis, è importante che i ministri ordinati «non trattino l’ufficio ecclesiastico come occasione di guadagno, né impieghino il reddito che ne deriva per aumentare il proprio patrimonio personale» (PO 17). In duemila anni di storia, sono state messe in campo diverse iniziative per garantire la remunerazione del clero: dai cosiddetti «diritti di stola», dovuti e riservati per alcuni servizi religiosi specifici, ai patrimoni beneficiali, che garantivano un reddito ai ministri del culto e alle loro comunità.

Questi ultimi di fatto crearono delle disparità in quanto alcuni esponenti del clero titolari dei suddetti patrimoni, disponendo di molti benefici legati alle loro parrocchie, erano in una condizione di privilegio rispetto ad altri confratelli. Com’è noto il Concilio Vaticano ii non solo ribadì l’insegnamento dell’Apostolo Paolo — «il Signore ha disposto che coloro i quali annunciano il Vangelo vivano del Vangelo» (1 Cor 9,14) — ma precisò che «se non si provvede in un altro modo a retribuire equamente i presbiteri, sono i fedeli stessi che vi devono pensare, dato che è per il loro bene che essi lavorano; i fedeli, cioè, sono tenuti da vero obbligo a procurare che non manchino ai presbiteri i mezzi per condurre una vita onesta e dignitosa» (PO 20). Inoltre, nello stesso Decreto conciliare si dichiarò «che il sistema beneficiale deve essere abbandonato, o almeno riformato a fondo, in modo che la parte beneficiale — ossia il diritto al reddito di cui è dotato l’ufficio ecclesiastico — sia trattata come cosa secondaria, e venga messo in primo piano, invece, l’ufficio stesso» (PO 20).

Quanto scritto finora rappresenta una sorta di doverosa premessa, in termini generali, per comprendere la complessità di un tema che riguarda il clero a livello mondiale, e dunque anche quello disseminato nel vasto continente africano. A differenza di quanto avviene in molti Paesi europei, in Africa non esistono impianti legislativi che possano garantire il sostentamento del clero e in alcuni contesti, profondamente segnati dall’esclusione sociale, è assai arduo reperire delle risorse che possano rispondere all’istanza lucana secondo cui «l’operaio ha diritto alla sua paga » (Lc 10,7). Sebbene, in linea di principio, ci si possa appellare a quanto prescritto in materia da Diritto Canonico Universale, soprattutto in considerazione dell’attuale congiuntura segnata pesantemente dagli effetti collaterali della pandemia Covid-19 sull’economia continentale, molti presbiteri diocesani, unitamente alle loro comunità, sono in grande sofferenza. Da questo punto di vista è certamente di grande aiuto, sebbene insufficiente a rispondere alla domanda, il contributo delle Pontificie opere missionarie (Pom), che erogano stabilmente, attraverso il cosiddetto Fondo universale, un contributo annuale per ogni Diocesi, oltre a coprire i costi per la formazione dei seminaristi maggiori, dei catechisti a tempo pieno, garantendo peraltro l’erogazione di sussidi straordinari, oltre al sostegno dell’infanzia attraverso il finanziamento di progetti.

Rimane il fatto che sebbene vi siano numerose organizzazioni e gruppi di appoggio disseminati nelle Chiese di antica tradizione come quelle occidentali, in genere i contributi destinati direttamente alla pastorale attiva in Africa scarseggiano. A questo proposito occorre rilevare che la forte diminuzione di missionari/e stranieri in Africa, legata al deficit di vocazioni ad gentes, sta sempre più avendo incidenze negative anche sugli aiuti dall’estero e sulla gestione dei beni.

A tale proposito occorre rilevare che molte comunità parrocchiali, come anche strutture educative e sanitarie, sono passate in questi anni dalla gestione dei missionari/e al clero autoctono il quale purtroppo, molto spesso, non dispone di sufficienti benefattori in grado di garantire un proseguo delle attività sul campo. A ciò si aggiunga il fatto che lo stesso areopago missionario, sebbene abbia goduto dei benefici del sostegno a distanza, in molti casi non è stato capace di avviare programmi di sostenibilità nella gestione delle opere.

Sempre in tema di remunerazione del clero, occorre rilevare che nell’Africa Sub Sahariana, dove è concentrata la maggioranza dei cattolici afro, alcune Diocesi hanno preso l’iniziativa di incaricare i fedeli delle varie comunità parrocchiali di provvedere al sostegno del clero e delle attività parrocchiali. Un discreto numero di vescovi ha fatto dunque appello alla creatività e alla fraternità, declinata in termini di solidarietà e condivisione. Si tratta però di iniziative che nelle zone più svantaggiate rimangono a volte infruttuose per la scarsa disponibilità di risorse economiche da parte delle comunità locali.

In un’interessante indagine ricognitiva sul sostentamento del clero nel mondo, redatta nel 2019 e aggiornata al 2020, Monsignor Luigi Bressan, Arcivescovo emerito di Trento ed ex diplomatico della Santa Sede, ha osservato che in un Paese come la Nigeria, il più popoloso del continente con quasi 200 milioni di abitanti, dove i cattolici costituiscono il 14 per cento della popolazione, per il sostentamento del clero non c’è uniformità tra le Diocesi, ma sostanzialmente vi sono due distinti sistemi. «Il primo è centralizzato: vale a dire che tutte le offerte raccolte durante le celebrazioni sono destinate al Fondo parrocchiale, il quale versa l’80 per cento alla Diocesi, che cerca a sua volta di realizzare un’equa distribuzione a livello diocesano per il sostentamento; ma se una determinata comunità non riesce a garantire un introito sufficiente per il parroco, il Consiglio parrocchiale deve trovare i mezzi per supplire. Il secondo sistema è invece contributivo: dalle parrocchie si versa il 25 per cento alla Diocesi, mentre la parrocchia si impegna a mantenere il proprio parroco generalmente tramite offerte in natura. Qualora poi vi fossero intenzioni di Sante Messe, esse rimangono al sacerdote; se per caso ne avesse in eccesso, egli è tenuto a versarle alla Diocesi per le vocazioni. Qua e là, ma ancora raramente, vi sono poi generosi benefattori che arrivano a donare il 10 per cento del proprio reddito alla Chiesa».

Diversa è invece la situazione in Sud Africa dove le Diocesi locali sono impegnate a raggiungere l’autosufficienza e dispongono di una «Financial Commission» per garantire un equo sostegno ai sacerdoti. «Ogni Diocesi — spiega Monsignor Bressan — stabilisce un minimo e vi contribuisce, ricevendo comunque un sostegno direttamente dalle parrocchie. È cura della Diocesi dare direttive, stabilire il minimum cui ogni prete abbia diritto, promuovendo comunque la promozione della solidarietà». In Kenya invece vi sono solitamente due collette domenicali, ossia una per la parrocchia e l’altra per il sacerdote, a cui si cerca di assicurare circa 200 euro al mese. In questo Paese, spiega sempre Monsignor Bressan, «la comunità deve comunque poter fornire gli alimenti al parroco; talvolta questo principio è posto dal Vescovo come condizione prima dell’assegnazione di un sacerdote ad una determinata parrocchia. Similmente si procede in Tanzania».

In alcuni Paesi si constata la tendenza, da parte di frange cospicue del clero, a far fronte alla penuria di risorse economiche, attraverso attività private generatrici di reddito. Come accade anche in altre parti del mondo, all’interno di una stessa Diocesi possono esservi zone benestanti ed altre depresse. Ciò può determinare una sperequazione nella condizione di vita dei fedeli e del clero loro assegnato.

di Giulio Albanese