Reportage

Colombia: un malcontento
con radici profonde

Manifestazioni di protesta in Colombia (Ansa)
07 maggio 2021

Sciopero nazionale a oltranza dal 28 aprile scorso in Colombia. Più di una settimana di ininterrotte, agitate proteste a Bogotá come a Medellín, a Cali come a Barranquilla, a Cúcuta, Cartagena, Duitama, e poi a Montería, a Popayán e Ibagué contro il controverso disegno di legge sulla riforma fiscale voluta dal governo del presidente colombiano Iván Duque.

Si è scoperchiato, con violenza, il vaso contenente forti tensioni e differenze sociali, acuitesi con la crisi generata dalla pandemia di Covid-19. Nel 2020, infatti, il numero di poveri nel Paese è aumentato di 3,6 milioni di persone, da 17,4 milioni a 21 milioni, secondo il Dipartimento amministrativo di statistica nazionale. Di queste ben 2,8 milioni sono finite in condizione di estrema povertà. E ancora sono oltre cinquecentomila le attività costrette a chiudere e un milione i nuovi disoccupati registrati lo scorso anno.

In tale contesto la proposta di riforma fiscale — ritenuta inizialmente assolutamente necessaria e comunque ritirata domenica scorsa dallo stesso Duque —, con un previsto aumento delle tasse soprattutto per la classe media e per chi guadagna di meno, ha acceso la miccia dell’indignazione popolare, che oggi appare inarrestabile. Nonostante, dunque, il proposito di Duque di arrivare con urgenza a un nuovo piano di riforma del sistema tributario, da raggiungere col più ampio consenso possibile attraverso un tavolo negoziale con le opposizioni, il moto di rivolta della popolazione è proseguito.

Come spesso accade nei Paesi latinoamericani quando la popolazione è esausta, si sveglia da una forma di costante torpore — quasi una sorta di autodifesa inconsapevole — e, non più anestetizzata, tira fuori tutta la propria rabbia. La protesta monta e la motivazione iniziale rimane solo la scintilla da cui è scaturito un malcontento che in realtà ha radici profonde.

Ciò che è affiorato nelle città colombiane dalla scorsa settimana contro la politica economica programmata dal governo, a dir la verità, si era già abbondantemente palesato nel novembre 2019, ed era ripreso nel settembre scorso, dopo l’uccisione di un avvocato a Bogotá da parte delle forze di Polizia. In entrambe le occasioni, secondo quando sottolineato dal Comitato per il Paro Nacional (sciopero generale), il governo non si era premurato di istituire un tavolo di negoziazione con le opposizioni e con i vari movimenti rappresentativi delle fasce più deboli e delle comunità indigene del Paese.

E ora la protesta si sta già scagliando contro i progetti di riforma della sanità e del lavoro, nonché contro la modifica del sistema pensionistico. L’assenza di leader riconosciuti come punto di riferimento nelle manifestazioni, poi, rende più complicate eventuali trattative per trovare soluzioni al problema, che possano dirsi soddisfacenti. «Le manifestazioni non sono gestite da nessuno, sono le persone stanche da anni di miseria», ha scritto su Twitter César Pachón, leader del mondo contadino che nel 2013 ha guidato le proteste nelle campagne contro il governo precedente e che oggi siede in Parlamento in rappresentanza del Movimento alternativo indigeno e sociale.

I colombiani che scendono in piazza, ora, hanno l’obiettivo massimo. Ovvero stanno mettendo in discussione l’intero operato del governo centrale guidato da Duque, il cui mandato è in scadenza nell’agosto 2022. La sua popolarità, al momento soprattutto per la gestione della pandemia, sembrerebbe scesa ai minimi storici.

L’esecutivo di Bogotá, da parte sua, ha sempre sostenuto come la riforma del fisco fosse assolutamente necessaria e in linea con le indicazioni del Fondo monetario internazionale. Puntava infatti a raccogliere 23,4 miliardi di pesos per migliorare lo stato delle finanze pubbliche e dare continuità ai programmi sociali per i più poveri. Obiettivo del disegno di legge era raccogliere fondi — abbassando la soglia a partire dalla quale si inizia a pagare l’imposta sul reddito — da adoperare poi in programmi sociali che avrebbero raggiunto 19 milioni di persone che vivono in situazioni di forte disagio.

Il cambio al vertice del ministero delle Finanze, ora guidato dell’ex ministro del Commercio, Industria e Turismo, l’economista José Manuel Restrepo, lascia presagire l’intenzione del governo di dialogare con tutte le parti sociali per arrivare ad una nuova versione della riforma tributaria. Questa dovrà «tener conto dei più vulnerabili della società», le prime parole del neo ministro.

Per molti analisti, il piano abolito per riformare le finanze colombiane era di fondamentale importanza per limitare il debito pubblico, salito a livelli record dall’inizio dell’era “Covid”, e far ripartire il prodotto interno lordo che ha fatto registrare un passivo di quasi il 7% nel 2020.

E comunque la diffusione del virus, come nel resto dell’America Latina, è stata e continua a essere preoccupante con un totale di circa 76.000 decessi e quasi tre milioni di contagi. Il Paese è nel vivo della terza ondata, caratterizzata dalla diffusione della virulenta variante di Manaus (Brasile), e il sistema sanitario è messo a dura prova con i posti letto delle terapie intensive esauriti in molte città.

Il presidente Duque, il 1° maggio, ha deciso di schierare l’esercito e la Squadra mobile antisommossa (Esmad) per fronteggiare quelli che ha definito «atti di terrorismo urbano». E il ministro della Difesa, Diego Molano, ha accusato i gruppi armati illegali che operano nel Paese di essere dietro le violenze registrate durante le manifestazioni di protesta. Molano ha parlato di “atti organizzati” e finanziati dalla dissidenza delle Farc e dell’Eln. Le forze dell’ordine, in molte circostanze, hanno letteralmente represso le manifestazioni e messo in atto abusi e violenze nei confronti dei dimostranti. Per questo hanno però ricevuto la condanna delle Nazioni Unite e della comunità internazionale. «Siamo profondamente allarmati dagli eventi nella città di Cali in Colombia, dove la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendo e ferendo un certo numero di persone» ha dichiarato nei giorni scorsi Marta Hurtado, portavoce dell’Alto Commissariato per i diritti umani a Ginevra. L’Unione europea si è pronunciata tramite Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, delineando come «una priorità» il porre fine all’escalation di violenze ed «evitare qualsiasi uso sproporzionato della forza da parte delle forze di sicurezza», e aggiungendo, in tal senso, di confidare «sulle istituzioni colombiane per indagare e assicurare alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani e delle libertà».

L’Organizzazione mondiale contro la tortura (Omct) in un comunicato stampa del 4 maggio, ha affermato che «durante le proteste è stato segnalato in tutto il Paese l’uso sproporzionato e indiscriminato di armi letali e meno letali. Una moltitudine di materiali fotografici e audiovisivi mostrano le brutali azioni delle forze di sicurezza, che in flagrante violazione degli standard internazionali e dei protocolli interni utilizzano armi letali contro manifestanti e passanti indifesi». L’Omct ha pure riferito che ci sono state almeno 42 azioni delle forze dell’ordine contro difensori dei diritti umani e attacchi subiti da oltre 30 giornalisti. Per questo ha formalmente richiesto «la creazione di una commissione indipendente con supporto tecnico internazionale per indagare, senza indugio, su tutti gli atti di violenza, l’uso indiscriminato della forza, la violenza sessuale e la privazione arbitraria della libertà, al fine di identificare i responsabili e applicare le sanzioni previste».

Anche l’Organizzazione nazionale dei popoli indigeni della Colombia ha invocato il ritiro dell’esercito e dell’Esmad. Proprio la presenza e l’atteggiamento degli agenti della Squadra antisommossa nelle strade avrebbe alimentato l’impeto dei manifestanti più facinorosi, che, in risposta, hanno tramutato la disperazione in brutali atti di vandalismo. Non sono mancate fasi di durissimi scontri nelle varie città colombiane, e, tragicamente, come capita in tali circostanze, non sono mancate le vittime, oltre una ventina tra i civili, tra cui almeno tre minori, e un capitano della polizia, Jesús Alberto Solano, accoltellato a Soacha, vicino a Bogotá.

Dialogo e riconciliazione sono le uniche strade da percorrere. In tal senso si è pronunciato anche l’episcopato colombiano, che per oggi, primo venerdì del mese, ha promosso una Giornata di preghiera per la pace nel Paese.

di Fabrizio Peloni